Cosmic Swamp Records, 2012 |
Difficile da approcciare, molto difficile da ascoltare, quasi impossibile da contestualizzare, assolutamente impossibile da comprendere. In sintesi, questo è ciò che penso del disco di debutto degli Agamotto, un progetto italiano veramente particolare. Proponendoci di farci provare sulla pelle degli inquietanti brividi di follia, questo album può essere considerato un vero e proprio viaggio sonoro all'interno di un mondo claustrofobico, completamente privo di luce e di sbocchi verso l'esterno, rattrappito su se stesso in modo che risulta quasi insopportabile. In bilico tra le acidissime sonorità del noise e tra gli inquietanti annegamenti sotterranei dell'ambient, il disco presenta tre brani di una lunghezza spesso pachidermica (un paio di tracce superano abbondantemente i 13 minuti di durata), completamente slegati e liberi in quanto a strutture musicali (che praticamente non esistono), freddi e spietati come macchine dotate di una propria sinistra coscienza. Una specie di mostruoso incrocio noise - oriented tra la negatività nichilista dei Neurosis, la totale insanità mentale dei Khanate, la macchinosa freddezza dei Meshuggah e le terribili atmosfere plumbee dei Sunn O))), con qualche vago rimando perfino agli Esoteric di "The Pernicious Enigma", per quanto riguarda la cripticità delle sezioni rumoriste. Di metal in senso stretto ce n'è poco, si tratta solamente di qualche vaga influenza, limitata in massima parte al filone drone - doom.
Non c'è traccia di melodie, armonie, forse nemmeno di suoni che si possano dire tali; gli inserti vocali sono limitati a qualche ossessiva campionatura che ripete frasi poco sensate e talvolta si lancia in monologhi inquietanti, facendo sì che questo prodotto sia destinato ad un consenso molto settoriale. La maggior parte degli ascoltatori lo riterrà completamente privo di interesse, relegandolo a strambo esperimento dell'età moderna; qualcuno invece potrà sfruttarlo come sottofondo per un trip nel quale si fa ampio uso di sostanze psicotrope. E qualcun altro forse se ne innamorerà alla follia. Certo è che nessuno riuscirà a dare un senso razionale a tanta disumana sregolatezza; io stesso ho dovuto impormi per ascoltarlo tutto di fila senza "aiutarmi" con qualche fast forward. Personalmente non l'ho capito: quasi non si può parlare di musica, e quando gli esperimenti sfociano più nel rumore che nella musica, non so più orientarmi. Ma una persona che sia un po' più avvezza di me a certe sonorità potrebbe trovarlo interessante, anche perchè si percepisce che gli artisti hanno curato questa opera, non l'hanno buttata lì assemblando quattro campionature a casaccio. Non posso apprezzare il prodotto in sè, in quanto troppo lontano dalla mia personale sensibilità, ma posso senz'altro riconoscere che è stato fatto con un certo estro. Lascio quindi decidere al pubblico cosa pensare, ma certamente non ne consiglierei l'acquisto a scatola chiusa. Anche se, sotto sotto, questa manifestazione di gelida psicosi affascina anche me.
01 - Solomon Grundy (7:32)
02 - Eric Dolphy (13:35)
03 - Antonio Margheriti (18:38)