Sonic Vista, 2011 |
Ed eccolo qua, finalmente, il debutto discografico ufficiale dei brianzoli Dropshard. Avevo già avuto modo di restare ben impressionato dalla band, dopo averli casualmente visti dal vivo e dopo aver ascoltato i loro due demo, "DSI" e "DSII", che mostravano una band già in possesso di mezzi tecnici ed espressivi notevoli. Date queste premesse, è ovvio che aspettavo questo lavoro con una certa sollecitudine, ed ecco che finalmente me lo ritrovo tra le mani, nuovo fiammante. I Dropshard hanno centrato l'obiettivo: questo "Anywhere But Home", detto così su due piedi, è un album notevole, piacevolissimo, sinceramente emozionante, largamente impreziosito da tanti piccoli dettagli, e nonostante la proposta musicale sia debitrice del progressive rock settantiano (in particolare dei Jethro Tull, band che è sempre stata amata dai brianzoli) e del progressive metal moderno (Pain Of Salvation, Dream Theater), essa mostra una decisa personalità, che le permette di emergere dalla massa con sana prepotenza e sicurezza di sè. Sebastiano Benatti alla chitarra, Alex Stucchi al basso, Tommaso Mangione alla batteria, Marco Zago alle tastiere, Enrico Scanu alla voce: ricordiamoci questi nomi, è probabile che questi ragazzi faranno carriera.
Non è solo la giovanissima età dei componenti della band a stupirmi (la quale è già un motivo di plauso data l'ottima tecnica strumentale e non di meno vocale), ma la generale freschezza compositiva, l'energia sprigionata da ogni composizione, sia essa veloce e ritmata oppure lenta e melodiosa. Concepito per essere una lunga suite divisa in tante parti, "Anywhere But Home" è un disco che si presenta fin da subito molto fruibile e diretto, ma che sa sfruttare tutti gli elementi a sua disposizione per creare un sound dinamico, ricco di sfumature, sempre pronto a trasformarsi in qualcos'altro e ad aggiungere sorprese inaspettate. Prendiamo per esempio l'opener "Anywhere But Home", dove la voce di Enrico Scanu non teme confronti con nessuno in quanto a tecnica e capacità espressiva, mentre il tappeto strumentale riesce a passare da un semplice accompagnamento al ruolo di assoluto protagonista, in un funambolico ed emozionante finale che ricorda non poco i fasti di una dreamtheateriana "The Dance Of Eternity". Meraviglioso il momento in cui la chitarra, nervosa e aggressiva, sottende l'intervento di un organo che sa emozionare con due note, tanto è ben incastrato. Dopo un brano così potente ci si aspetta che l'attenzione cali, e invece no: "Images Of Mind" è un vero pezzo forte, interpretato da una voce ancora più drammatica e solenne, da chitarre che non esitano ad incattivirsi quando serve, da una sezione ritmica che viaggia su sincopi e contrattempi di grande effetto, e da una tastiera che si esibisce in intricati arrangiamenti di sottofondo, i quali talvolta prendono l'iniziativa e si distaccano dalle linee principali del brano. Il concept del disco tratta delle emozioni vissute dal protagonista nel suo cammino personale di evoluzione, e la musica si sposa benissimo con un tale feeling: ogni brano infatti ha un qualcosa di progressivo, qualcosa che suggerisce un cambiamento, mai la staticità. Ne è la dimostrazione la successiva "A Cold Morning", una ballata nella quale la voce è assoluta protagonista, sostenuta solo da chitarre prive di distorsioni, e perfino da un azzeccatissimo flauto traverso (suonato da Enrico) che si inserisce magistralmente nel corso di un bellissimo assolo di chitarra. Più andiamo avanti con l'ascolto e più ci rendiamo conto della terrificante sicurezza dei musicisti, che sembrano già navigati e con anni di esperienza. Con "Changing Colours" torniamo a pestare più duro, ma è un brano che confonde, essendo sempre in bilico tra l'aggressività ritmica e l'allucinata rassegnazione della voce, in una traccia molto "country" e che fa largo uso di chitarre acustiche e perfino pianoforte, a dimostrazione che i ragazzi sanno sfruttare praticamente ogni strumento e sanno anche inserirlo nel posto preciso in cui serve. "A New Beginning" invece parte lenta, pesante e distortissima, con un ritmo ossessivo che nessuno si aspettava in un simile album: ancora una volta una sorpresa! Una tastiera nervosa si affianca alla chitarra e il ritmo accelera, in un crescendo apparentemente senza fine, non interrotto nemmeno dall'entrata della voce, carica di urgenza e malessere. Ma il finale riserva ancora qualche sorpresa, con un epilogo avvolgente, appassionato e romantico, ma senza nemmeno una traccia di sdolcinatezza. E questo fa guadagnare molti punti al disco.
Non è solo la giovanissima età dei componenti della band a stupirmi (la quale è già un motivo di plauso data l'ottima tecnica strumentale e non di meno vocale), ma la generale freschezza compositiva, l'energia sprigionata da ogni composizione, sia essa veloce e ritmata oppure lenta e melodiosa. Concepito per essere una lunga suite divisa in tante parti, "Anywhere But Home" è un disco che si presenta fin da subito molto fruibile e diretto, ma che sa sfruttare tutti gli elementi a sua disposizione per creare un sound dinamico, ricco di sfumature, sempre pronto a trasformarsi in qualcos'altro e ad aggiungere sorprese inaspettate. Prendiamo per esempio l'opener "Anywhere But Home", dove la voce di Enrico Scanu non teme confronti con nessuno in quanto a tecnica e capacità espressiva, mentre il tappeto strumentale riesce a passare da un semplice accompagnamento al ruolo di assoluto protagonista, in un funambolico ed emozionante finale che ricorda non poco i fasti di una dreamtheateriana "The Dance Of Eternity". Meraviglioso il momento in cui la chitarra, nervosa e aggressiva, sottende l'intervento di un organo che sa emozionare con due note, tanto è ben incastrato. Dopo un brano così potente ci si aspetta che l'attenzione cali, e invece no: "Images Of Mind" è un vero pezzo forte, interpretato da una voce ancora più drammatica e solenne, da chitarre che non esitano ad incattivirsi quando serve, da una sezione ritmica che viaggia su sincopi e contrattempi di grande effetto, e da una tastiera che si esibisce in intricati arrangiamenti di sottofondo, i quali talvolta prendono l'iniziativa e si distaccano dalle linee principali del brano. Il concept del disco tratta delle emozioni vissute dal protagonista nel suo cammino personale di evoluzione, e la musica si sposa benissimo con un tale feeling: ogni brano infatti ha un qualcosa di progressivo, qualcosa che suggerisce un cambiamento, mai la staticità. Ne è la dimostrazione la successiva "A Cold Morning", una ballata nella quale la voce è assoluta protagonista, sostenuta solo da chitarre prive di distorsioni, e perfino da un azzeccatissimo flauto traverso (suonato da Enrico) che si inserisce magistralmente nel corso di un bellissimo assolo di chitarra. Più andiamo avanti con l'ascolto e più ci rendiamo conto della terrificante sicurezza dei musicisti, che sembrano già navigati e con anni di esperienza. Con "Changing Colours" torniamo a pestare più duro, ma è un brano che confonde, essendo sempre in bilico tra l'aggressività ritmica e l'allucinata rassegnazione della voce, in una traccia molto "country" e che fa largo uso di chitarre acustiche e perfino pianoforte, a dimostrazione che i ragazzi sanno sfruttare praticamente ogni strumento e sanno anche inserirlo nel posto preciso in cui serve. "A New Beginning" invece parte lenta, pesante e distortissima, con un ritmo ossessivo che nessuno si aspettava in un simile album: ancora una volta una sorpresa! Una tastiera nervosa si affianca alla chitarra e il ritmo accelera, in un crescendo apparentemente senza fine, non interrotto nemmeno dall'entrata della voce, carica di urgenza e malessere. Ma il finale riserva ancora qualche sorpresa, con un epilogo avvolgente, appassionato e romantico, ma senza nemmeno una traccia di sdolcinatezza. E questo fa guadagnare molti punti al disco.
Chiude l'album l'atipica bonus track "Freedom Supermarket", il cui titolo lascia già intuire la tematica trattata. In apertura e chiusura si sentono suoni e voci provenienti direttamente da un supermercato, con i classici e odiosi "bip" delle casse uniti a frasi di dubbio senso, mentre nella parte centrale siamo di fronte ad un brano di puro progressive metal, che potrebbe ricordare moltissimo i Tool. Linee vocali imprevedibili e dai cambi tonali continui si stagliano fiere su un tappeto strumentale instabile, che si muove a tentoni, riuscendo a creare un'atmosfera quasi paranoica e in fin dei conti assolutamente esaltante.
In ultima analisi "Anywhere But Home" è davvero un'ottimo lavoro, appassionato e verace, considerando che stiamo parlando del debutto di una band molto giovane, sia anagraficamente sia artisticamente. Mi sarei aspettato che l'album durasse un po' di più, poiché includendo la bonus track non raggiungiamo nemmeno i quaranta minuti, ma del resto nella botte piccola pare ci sia il vino buono: perchè voler allungare il brodo a tutti i costi, se in poco tempo si è riusciti ad esprimere tutto ciò che si voleva, e con tale efficacia? Non posso dunque fare altro che chiudere questa recensione consigliando il disco a tutti (sì, a tutti quanti) e affermando che i Dropshard sono forse la migliore realtà emergente italiana disponibile sul mercato. Talento, ragazzi, questo è talento allo stato puro, quel talento che straripa e non si può tenere nascosto nemmeno volendo.
01 - Look Ahead (1:25)
02 - Anywhere But Home (6:22)
03 - Images Of Mind (6:00)
04 - A Cold Morning (4:19)
05 - Again (1:09)
06 - Changing Colours (8:17)
07 - A New Beginning (5:06)
08 - Look Behind (1:37)
09 - Freedom Supermarket (Bonus Track) (5:45)