Roadrunner Records, 2005 |
Gli Opeth sono una band notoriamente difficile da etichettare, sebbene chiaramente riconoscibili nel loro stile personale, avendo messo insieme influenze provenienti da diversi generi. Si può dire con certezza che abbiano sempre fatto centro con le loro produzioni artistiche, variando stile e registri senza mai snaturarsi e neppure fossilizzarsi su un cambiamento fine a se stesso.
L’album "Ghost Reveries" è importante dal punto di vista della fusione di stili e di immaginari. Una sonorità chiaramente associabile alla band ma con differenze significative rispetto ai primi album. L’ispida e raccolta oscurità boschiva degli esordi si è evoluta verso un passato perduto, offuscato dal tempo e dalle distanze. In chiave moderna: siderale, non archeologico. Questi panorami sono ben percepibili nel pezzo forte dell’album,” Reverie / Harlequin Forest”, e con ogni probabilità sono frutto di un innesto delle melodie sperimentate con "Damnation" (in particolare il brano “Closure”, la cui sonorità richiama quelle egiziane) e "Deliverance". Il primo con un impianto che evoca una sensazione di calma a volte triste a volte contemplativa, il secondo con ritmi energici, potenti e a tratti alienanti nella loro ossessiva cadenza. "Ghost Reveries" bilancia in modo interessante questi due opposti bisogni dell’uomo, alternandoli nella successione di canzoni ma anche all’interno di brani stessi.
I primi tre brani sono, ad opinione dell’autore, un capolavoro. La ritmicità e la melodia sono lontane dall’assumere le usuali tinte depressive ed evocano un’eruzione vulcanica dilagante, serena e sicura di se, carica del bisogno dell’uomo di liberarsi dalle aspettative sociali ed esprimersi liberamente. Non comunicano odio, rancore, disprezzo per l’altro, ma desiderio di emergere. Il crescendo, a metà di “The Baying Of The Hounds”, sfocia in un fantastico fiume, prima travolgente, poi trascinante. Uno tsunami senza vittime. La parte centrale dell’album si sposta verso il consolidamento di questa immagine, per approdare, nel finale, su pezzi più speculativi. L’esplosione, l’espressione, il riposo. “The Baying of the Hounds”, “Beneath the Mire”, “Atonement”.
Dopo questo album le immagini, evocate da ritmi di batteria e stili melodici, cambieranno definitivamente e non torneranno più su queste colorazioni, abbandonando la sperimentazione introdotta con "Damnation" e virando verso uno stile che negli Opeth non ha avuto antecedenti e costituirà una nota decisamente nuova. "Watershed", misto tra uno stile gothic e fantasy che ben si adatterebbe alle produzioni di Tim Burton, e "Heritage", decisamente improntato al jazz / rock anni 70. L'unica continuità di rilievo col futuro è la comparsa delle tastiere, che in seguito saranno integrate permanentemente nel loro repertorio, come ad esempio nell’ottima “Burden”.
Sicuramente un album di valore, con grande carica interiore, culmine di un'evoluzione stilistica della band.
01 - Ghost Of Perdition (10:29)
02 - The Baying Of The Hounds (10:41)
03 - Beneath The Mire (7:58)
04 - Atonement (6:28)
05 - Reverie / Harlequin Forest (11:39)
06 - Hours Of Wealth (5:21)
07 - The Grand Conjuration (10:21)
08 - Isolation Years (3:52)