Tempo fa parlavo con Daniele, il proprietario del blog, del concetto di “ispirazione”. Si tratta infatti di una parola molto usata ma soprattutto abusata, la cui stessa definizione recita in modo confuso: “stato di creatività artistica, estro creativo”, rimandando quindi ad un altro concetto che viene usato in modo poco chiaro, quello di “creatività”. Non mi dilungherò cercando di darne una definizione rigorosa in questa sede, dato che quella che state leggendo è una recensione e non un saggio di linguistica, e cercherò piuttosto di darne un’interpretazione intuitiva. Che cos’è l’ispirazione? Quel che so è che se mi venisse chiesto di indicare su due piedi un album che reputo molto ispirato, citerei Portrait Of Wind And Sorrow dei Kathaarsys.
I Kathaarsys sono una band spagnola che per distinguersi dagli altri milioni di Catarsis, Catharsis, Katarsis e Katharsis che ci sono in giro ha pensato bene di piazzare nel proprio nome una “y” e di raddoppiare una “a” - un po’ come la famosa “h” dei Sonohra, che Elio ci ha ricordato essere “un’acca che non ha né scopo né destinazione, collocata alla cazzo di cane nel mezzo del nome”. Fortunatamente però non è solo questa complicazione nella nomenclatura che distingue questa band dalla massa di tutte le altre: i meriti sono prettamente musicali.
Portrait Of Wind And Sorrow è il loro esordio discografico, registrato nel 2004 e autoprodotto nel 2005, poi ristampato nel 2006 con una nuova copertina - decisamente più avvenente dell’originale... - dalla Concreto Records. L’approccio musicale è “alla Opeth”, e più precisamente ricorda molto quel clamoroso capolavoro intitolato My Arms, Your Hearse: ampio uso di chitarra acustica, arpeggi alternati a riff estremi, cantato che alterna frequentemente fasi pulite e fasi sporche. Ma come detto qui si parla di ispirazione, e infatti il tutto è reinterpretato in modo inconsueto e con una grande dose di personalità: i riff pescano direttamente dal Black invece che dal Death, e molti di essi hanno un marcato gusto Epic. Se volessimo andare a pescare tra le influenze - non che sia strettamente necessario, ma può sempre aiutare - potremmo citare, oltre agli Opeth, anche Bathory, Emperor e Primordial, tutte sfumature che fanno capolino tra le pieghe della musica dei Kathaarsys, ma che non se ne impadroniscono mai: essa rimane libera di esprimere sé stessa, libera di cavalcare le onde della propria enfasi e di assopirsi avvolta nelle fasce della propria fantasia, in cui la boschiva ruvidità della nebbia dei riff “contrasta” col tepore evocativo delle melodie. Ma, sempre per parlare di ispirazione, l’aspetto che più apprezzo di questo disco è il fatto che non si ha mai, e dico mai, l’impressione che la band stia cercando di prendere tempo, di tirar lunghe le canzoni giusto per arrivare alla fine del disco, come invece molti altri fanno. Ogni successione di riff, ogni cambio di ritmo, la melodia di ogni singolo arpeggio, ciascuno di essi appare come una piccola tesserina di un unico grande puzzle, collocata in una posizione precisa per un tempo ben definito al fine di ottenere un risultato macroscopico perfetto. Potete verificare da voi che ciò che dico corrisponde a verità: prendete ad esempio Epic Pagan Times e fatela scorrere con attenzione, scandagliatela in ogni suo particolare, e lasciatevi rapire dal superbo stacco melodico centrale racchiuso da cascate di riff sempre diversi e perfettamente incastonati tra loro, scanditi da un periodico giro di note arpeggiato degno del migliore scenario epico-medievale. Questi sono i temi ricorrenti di Portrait Of Wind And Sorrow: riff e melodie, riff e melodie, riff e melodie, il tutto in un’elegante veste progressiva. E questa capacità dei Kathaarsys di sapere esattamente cosa fare e dove farlo è un ottimo esempio di ciò che io intendo con la parola "ispirazione".
Tutto questo conferma una delle massime alle quali sono più fedele e che ho potuto largamente confermare nel tempo, massima che probabilmente mi renderà un buffone agli occhi di molti ma che non posso fare a meno di constatare in modo sempre più veritiero: mediamente la grande musica la si trova nell’underground, prodotta da band (relativamente) sconosciute che i più ignorano, e non nei grandi dischi che hanno fatto la storia e sono sulla bocca di tutti. Portrait Of Wind And Sorrow è uno di questi dischi sconosciuti, e dopo un debutto autoprodotto di questa qualità uno potrebbe immaginarsi solo due possibilità: o questa band sfornerà un capolavoro dietro l’altro, superandosi ogni volta, oppure si commercializzerà per riuscire a rimediare un buon contratto discografico e vendere qualcosa. Oggi, col senno di poi, sappiamo che i Kathaarsys hanno scelto di percorrere la prima strada.
01 - Perennial Forest Of Winter (11:09)
02 - Gnostic Seasons (09:52)
03 - Epic Pagan Times (10:29)
04 - Portrait Of Wind And Sorrow (10:18)
05 - Walk The Mist In The Lack (11:41)
06 - Nectar In The Nocturnal River (12:02)