Supernaul Music, 2007 |
Dopo la pubblicazione dell'atipico esperimento "Songs Of Grief And Solitude", che abbandonava il black metal ruvido e atmosferico degli esordi per dedicarsi unicamente al folk acustico (e che per questo motivo si attirava diverse critiche, a mio giudizio ingiuste), gli ucraini Drudkh ritornano alle loro consuete sonorità pubblicando questo mini - vinile in edizione limitata a 999 copie, contenente solo una traccia per lato, per una durata complessiva di tredici minuti e mezzo. Scopo ufficiale di questa release è preparare il terreno per l'uscita del successivo full length "Estrangement" (disco che riceverà altre critiche ingiuste, sempre secondo la mia visione delle cose), ma c'è da dire che obiettivamente il materiale qui proposto non è molto interessante, facendo sì che questo dischetto si configuri unicamente come pezzo per collezionisti e fan sfegatati del combo ucraino. Non che sia un disco particolarmente brutto, ma semplicemente siamo abituati a sentire i Drudkh suonare qualcosa di molto più ispirato e corposo delle due tracce che ci vengono qui proposte. Potrei quasi dire che si tratta di una release inutile, se non fosse che stimo troppo i Drudkh per usare un termine così perentorio nei loro confronti. Mettendo però da parte la componente personale, obiettivamente sì, si tratta di un dischetto piuttosto inutile, nonostante il tentativo sperimentale di contaminare la vena atmospheric black con qualche elemento doomeggiante. Idea buona, ma realizzazione piuttosto carente, come raffazzonata: sembra quasi che la band si sia lasciata prendere dalla fretta.
L'opener strumentale "Fallen Into Oblivion" sposa perfettamente il suo titolo con la musica, trattandosi di una lenta cantilena di sette minuti assolutamente deprimente, che si trascina stancamente in un'atmosfera sconsolata e priva di sbocchi. Il riffing è insistente e lamentoso, il ritmo sembra sempre sul punto di crollare, e ben poche variazioni ci aspettano lungo il corso del brano, fino a quando esso improvvisamente sfuma nel nulla, lasciandoci una netta sensazione di amaro in bocca. Girando il disco ci pensa però "Ashes" a risollevare parzialmente le sorti di "Anti-Urban", grazie ad un ritmo più veloce e alla presenza di parti cantate, non molto convincenti a dire il vero, ma perlomeno qui si respira un'aria più dinamica e meno mortifera rispetto a prima. Rimane il fatto che la musica è sempre piuttosto ripetitiva e, alla lunga non comunica granché, se non la solita malinconia depressiva e ombrosa made in Drudkh, caratteristica che comunque traspare e si fa sentire anche nei loro brani meno ispirati, come questi.
Non mi sento di valutare "Anti-Urban" in modo completamente negativo, ma di certo esso rimarrà una semplice curiosità nella discografia dei Drudkh, che è troppo vasta e troppo ricca di begli album per lasciare spazio ad un isolato esperimento come questo. Se vi sforzate, potreste trovarlo vagamente interessante, forse proprio in virtù del suo voler tentare qualche strada nuova, o perlomeno non troppo simile alle precedenti. Alla pari di ciò che fu "The Grey" per gli Agalloch, la tiratura limitata e la velleità sperimentale possono essere gli unici elementi che impediscono ad "Anti-Urban" di essere considerato un fallimento totale. Prendetelo per quello che è, in ogni caso, e se per caso è il primo disco dei Drudkh che ascoltate, sappiate che non avete ancora sentito niente delle meraviglie che questa band è in grado di creare.
01 - Fallen Into Oblivion (6:55)
02 - Ashes (6:20)