Silent Tree Productions, 2012 |
Un pianoforte ed una chitarra elettrica. Soli. A rompere il ghiaccio è lei, che con le sue danzanti corde seduce lui, il quale non può resistere a lungo a questo infatuante richiamo. E così inizia un emozionante fraseggio fatto di malinconici arpeggi e delicate note, di delicate note e malinconici arpeggi, un drammatico flamenco leggero e suadente che si dimena per i successivi trentatré minuti: questo è Rara Vez, un disco influenzato dal flamenco, suonato solo con pianoforte e chitarra elettrica.
Raramente capita di assistere ad una simile opera musicale, raramente capita una band così vulcanica ed orientata alla sperimentazione come i Kathaarsys, e anche una band simile raramente può concepire un disco del genere. Molte band che amano sperimentare si concedono prima o poi nella loro carriera ad un album in cui abbandonano le pesanti distorsioni caratteristiche del Metal, basti pensare ai classici Damnation degli Opeth, The White degli Agalloch, Origin dei Borknagar. Rara Vez non fa eccezione: Marta Barcia accantona per una volta le quattro corde per sedersi al pianoforte, diventando ancora più sensuale di quanto già non sia, mentre J.L. Montáns indossa la sua fida chitarra e fa danzare alla grande le proprie dita. Poesia in movimento. A tal proposito mi permetto di rivolgere dei complimenti speciali a Montáns e ai Kathaarsys per non aver ceduto alla tentazione di usare la chitarra acustica: ogni singola nota di chitarra è suonata con la chitarra elettrica, col risultato che gli arpeggi sono molto più corposi ed espressivi. Scelta felicissima, e me ne compiaccio dato che in un modo o nell’altro la chitarra acustica sembra finire sempre per contagiare chiunque. In un simile scenario in cui pianoforte e chitarra elettrica si scambiano sublimi effusioni, alla batteria di Adrián Hernández toccherebbe lo scomodo ruolo di reggere il moccolo, ragion per cui in questa occasione ha preferito defilarsi completamente. Ma non è tutto, giacché come al solito i Kathaarsys dedicano grande attenzione ad ogni singolo aspetto delle loro opere: "Lyrics with a journalistic point of view, music rooted in the Spanish classical way including piano as a new main instrument and using the Galician language for the first time. The look of the new release will be different from the usual typical plastic box and will offer a great content in a big format". Si tratta in realtà di un formato gigante 21 x 30 cm che emula un quotidiano, nero su bianco, due spesse pagine in cartone che si aprono a libro, dentro le quali si trova il disco. Insomma, a tutto ciò che riguarda Rara Vez è stata prestata una maniacale attenzione, e tutte queste stranezze caratterizzano quello che probabilmente rimarrà un capitolo isolato nella discografia della band - come del resto sembrerebbe suggerire il titolo stesso.
A questo punto qualcuno avrà notato che all’inizio ho parlato dei trentatré minuti di Rara Vez, quando invece il disco dura in realtà quaranta minuti. Infatti purtroppo negli ultimi sette minuti salta fuori la magagna: il grande rammarico di questo disco quasi perfetto è proprio il finale, ossia l’ultimo dei cinque brani: A Involución Das Masas. Esso significa sette minuti e dico sette di narrazione in gallego, la lingua parlata in Galizia, terra di origine della band. Sette interminabili minuti tutti uguali, senza che il tono di voce abbia grande espressività, senza che subisca la minima variazione, e soprattutto senza atmosfera. Dopo il primo minuto ci si sente irritati, dopo il secondo il bonus sopportazione è più che esaurito, e dopo il terzo si vorrebbe tirare una botta in testa al narratore per farlo star zitto. Ma non si può, perché davanti a noi c’è un disco e non una persona...così non resta altro da fare che fermarlo anzitempo. Tante, anzi tantissime band sono cadute sulle narrazioni, e i Kathaarsys non sono né i primi né gli ultimi: una voce troppo preponderante, troppo monotona, ma soprattutto troppo, troppo, troppo prolungata. Non so cosa volessero ottenere i Kathaarsys con questo brano, che con ogni probabilità è coerente con il concept che sta dietro il disco, ma musicalmente parlando si tratta di un pugno in un occhio, è un vero peccato chiudere un disco della raffinatezza di Rara Vez in questo modo impacciato e grossolano. A Involución Das Masas è più che altro A Involución Da Música, e lascia quella sensazione di impotenza che consiste nell’essere stati defraudati di un grande capolavoro che fino a pochi minuti prima ci era cresciuto sotto gli occhi prendendo forma poco a poco, accompagnato da quell’emozione unica che si vive quando si ascolta un nuovo disco per la prima volta e lo si scopre pezzetto dopo pezzetto. Questa conclusione è una mancanza imperdonabile.
E allora forse è proprio questa la vera degna conclusione di Rara Vez: raramente capita di assistere ad una simile opera musicale, e ancor più raramente capita che essa cada così malamente proprio nel finale, dopo trentatré minuti praticamente perfetti. Ma una volta digerita la delusione rimane comunque la coscienza degli altri, superbi, ineguagliabili trentatré minuti, i quali costituiscono una parentesi musicale più unica che rara.
01 - Manipulación (08:33)
02 - Traxedia Española (09:47)
03 - Crítica Da Estupidez Pura (04:29)
04 - Retorno á Idade Media (10:06)
05 - A Involución Das Masas (07:09)
Raramente capita di assistere ad una simile opera musicale, raramente capita una band così vulcanica ed orientata alla sperimentazione come i Kathaarsys, e anche una band simile raramente può concepire un disco del genere. Molte band che amano sperimentare si concedono prima o poi nella loro carriera ad un album in cui abbandonano le pesanti distorsioni caratteristiche del Metal, basti pensare ai classici Damnation degli Opeth, The White degli Agalloch, Origin dei Borknagar. Rara Vez non fa eccezione: Marta Barcia accantona per una volta le quattro corde per sedersi al pianoforte, diventando ancora più sensuale di quanto già non sia, mentre J.L. Montáns indossa la sua fida chitarra e fa danzare alla grande le proprie dita. Poesia in movimento. A tal proposito mi permetto di rivolgere dei complimenti speciali a Montáns e ai Kathaarsys per non aver ceduto alla tentazione di usare la chitarra acustica: ogni singola nota di chitarra è suonata con la chitarra elettrica, col risultato che gli arpeggi sono molto più corposi ed espressivi. Scelta felicissima, e me ne compiaccio dato che in un modo o nell’altro la chitarra acustica sembra finire sempre per contagiare chiunque. In un simile scenario in cui pianoforte e chitarra elettrica si scambiano sublimi effusioni, alla batteria di Adrián Hernández toccherebbe lo scomodo ruolo di reggere il moccolo, ragion per cui in questa occasione ha preferito defilarsi completamente. Ma non è tutto, giacché come al solito i Kathaarsys dedicano grande attenzione ad ogni singolo aspetto delle loro opere: "Lyrics with a journalistic point of view, music rooted in the Spanish classical way including piano as a new main instrument and using the Galician language for the first time. The look of the new release will be different from the usual typical plastic box and will offer a great content in a big format". Si tratta in realtà di un formato gigante 21 x 30 cm che emula un quotidiano, nero su bianco, due spesse pagine in cartone che si aprono a libro, dentro le quali si trova il disco. Insomma, a tutto ciò che riguarda Rara Vez è stata prestata una maniacale attenzione, e tutte queste stranezze caratterizzano quello che probabilmente rimarrà un capitolo isolato nella discografia della band - come del resto sembrerebbe suggerire il titolo stesso.
A questo punto qualcuno avrà notato che all’inizio ho parlato dei trentatré minuti di Rara Vez, quando invece il disco dura in realtà quaranta minuti. Infatti purtroppo negli ultimi sette minuti salta fuori la magagna: il grande rammarico di questo disco quasi perfetto è proprio il finale, ossia l’ultimo dei cinque brani: A Involución Das Masas. Esso significa sette minuti e dico sette di narrazione in gallego, la lingua parlata in Galizia, terra di origine della band. Sette interminabili minuti tutti uguali, senza che il tono di voce abbia grande espressività, senza che subisca la minima variazione, e soprattutto senza atmosfera. Dopo il primo minuto ci si sente irritati, dopo il secondo il bonus sopportazione è più che esaurito, e dopo il terzo si vorrebbe tirare una botta in testa al narratore per farlo star zitto. Ma non si può, perché davanti a noi c’è un disco e non una persona...così non resta altro da fare che fermarlo anzitempo. Tante, anzi tantissime band sono cadute sulle narrazioni, e i Kathaarsys non sono né i primi né gli ultimi: una voce troppo preponderante, troppo monotona, ma soprattutto troppo, troppo, troppo prolungata. Non so cosa volessero ottenere i Kathaarsys con questo brano, che con ogni probabilità è coerente con il concept che sta dietro il disco, ma musicalmente parlando si tratta di un pugno in un occhio, è un vero peccato chiudere un disco della raffinatezza di Rara Vez in questo modo impacciato e grossolano. A Involución Das Masas è più che altro A Involución Da Música, e lascia quella sensazione di impotenza che consiste nell’essere stati defraudati di un grande capolavoro che fino a pochi minuti prima ci era cresciuto sotto gli occhi prendendo forma poco a poco, accompagnato da quell’emozione unica che si vive quando si ascolta un nuovo disco per la prima volta e lo si scopre pezzetto dopo pezzetto. Questa conclusione è una mancanza imperdonabile.
E allora forse è proprio questa la vera degna conclusione di Rara Vez: raramente capita di assistere ad una simile opera musicale, e ancor più raramente capita che essa cada così malamente proprio nel finale, dopo trentatré minuti praticamente perfetti. Ma una volta digerita la delusione rimane comunque la coscienza degli altri, superbi, ineguagliabili trentatré minuti, i quali costituiscono una parentesi musicale più unica che rara.
01 - Manipulación (08:33)
02 - Traxedia Española (09:47)
03 - Crítica Da Estupidez Pura (04:29)
04 - Retorno á Idade Media (10:06)
05 - A Involución Das Masas (07:09)