Autoprodotto, 2012 |
Esplosione di organi interni: SPLASH!, tutti spiaccicati sul muro, una bella intonacata rosso vermiglio, preludio a quello che si potrebbe credere essere uno scimmiottamento all’italiana del Brutal Death Metal statunitense. Ma non è questo il caso. Gli Ukuku, gruppo di Verona alle prese col suo primo full-length, si presentano infatti con una curiosissima intro caratterizzata da una batteria battagliera e una chitarra che per contro appare rilassata, quasi in stile Southern Rock, quanto basta per far subito rizzare le antenne. Cosa ci aspetta dopo questi trentasei secondi? Cosa diavolo ci è capitato tra le mani?
Risposta: una roba composita e primordiale, inclassificabile nonostante la sua semplicità di fondo. Questa roba di questi veronesi sta a metà tra il Metal estremo e il Metal più classico, senza rientrare in realtà in nessuno dei due. Le sonorità della chitarra sono basse e plumbee, decisamente troppo tetre per poter parlare di Metal classico, eppure così smussate da essere completamente prive della carica esplosiva di generi taglienti come Thrash e Death, escluso qualche brano della seconda metà del disco. E del resto i piacevoli ritmi mid-tempo, sempre molto vari e curati, non fanno nulla per invertire questa tendenza. Scendendo più nel dettaglio, ciò che colpisce subito è la curiosa dualità tra il grezzume paleolitico delle sonorità di voce e strumenti da un lato, e la varietà nei riff, nei ritmi e nello stile canoro dall’altro. Anche l’alternanza tra cantato in inglese ed italiano fa la sua parte. Un’altra caratteristica tanto interessante quanto - purtroppo - rara nel mondo del Metal è poi il fatto di usare una sola chitarra: ciò rende la musica ancora meno aggressiva, sebbene essa non rinunci a suonare sporca e primitiva, e l’effetto svuotamento durante gli assoli è davvero ipnotico, con solo basso e batteria che restano a tesserne la base.
Essenzialmente è questo che ci si trova davanti mentre la musica degli Ukuku scorre, una roba indefinibile ricca di strane particolarità, quasi arcaica. Ma in realtà questa roba è tanta roba! Non so come rendere l’idea di quanto piacevole sia per me ascoltare questo disco, che riesce a sembrare uno scarto del Thrash primitivo anni ’80 e al tempo stesso un rivoluzionario approccio musicale, variopinto e ricco di idee - ditemi voi se questa non è tanta roba! Inoltre i lampi di genio sono numerosi, anche se purtroppo - oppure, vista la particolarità, per fortuna? - effimeri: si guardino ad esempio il breve inserto elettronico di Dimentica Il Mio Nome, la breve Deviating Hate che è interessante dal primo all’ultimo secondo, l’atmosfera desolante e malaticcia di The World We Created, i suoni particolari nel finale di Neri Presagi, la criptica Remembering The Past, più i vari arpeggi e assoli che sono uno più bello dell’altro - non ne troverete nemmeno uno che non sia quantomeno ottimo.
Gli Ukuku sono la dimostrazione di come si possa ancora suonare qualcosa di personale ed ispirato, e soprattutto fresco e vario, senza necessariamente dover impiegare strumenti di ogni genere e scrivere brani complessi, per quanto anche quest’ultima soluzione produca sovente ottimi risultati. Non posso quindi che parlare molto bene di questo disco, nonostante all’apparenza potrebbe inizialmente sembrare più uno sfogo da punkettari mancati che non un lavoro serio. Ma l’abito non fa il monaco, e gli Ukuku hanno dimostrato di avere in testa tante idee valide e, last but non least, di suonare per genuina passione. Tanta roba!
Quando anche l’ultimo fiume si sarà seccato ci accorgeremo che il denaro non si può bere, né mangiare.
Ha ha ha ha ha!
01 - Intro (00:36)
02 - Grey Old Bar (02:38)
03 - Dimentica Il Mio Nome (03:25)
04 - Bloody Gold (04:09)
05 - Hit The Kobold (03:08)
06 - Berserk (05:12)
07 - Deviating Hate (03:03)
08 - Malaria (02:16)
09 - The World We Created (03:50)
10 - Secrets (05:19)
11 - For Those They Die (03:50)
12 - Parabellum (02:30)
13 - Neri Presagi (04:00)
14 - Remembering The Past (03:50)
15 - Black Snow (02:20)
16 - Clowns (03:50)
Risposta: una roba composita e primordiale, inclassificabile nonostante la sua semplicità di fondo. Questa roba di questi veronesi sta a metà tra il Metal estremo e il Metal più classico, senza rientrare in realtà in nessuno dei due. Le sonorità della chitarra sono basse e plumbee, decisamente troppo tetre per poter parlare di Metal classico, eppure così smussate da essere completamente prive della carica esplosiva di generi taglienti come Thrash e Death, escluso qualche brano della seconda metà del disco. E del resto i piacevoli ritmi mid-tempo, sempre molto vari e curati, non fanno nulla per invertire questa tendenza. Scendendo più nel dettaglio, ciò che colpisce subito è la curiosa dualità tra il grezzume paleolitico delle sonorità di voce e strumenti da un lato, e la varietà nei riff, nei ritmi e nello stile canoro dall’altro. Anche l’alternanza tra cantato in inglese ed italiano fa la sua parte. Un’altra caratteristica tanto interessante quanto - purtroppo - rara nel mondo del Metal è poi il fatto di usare una sola chitarra: ciò rende la musica ancora meno aggressiva, sebbene essa non rinunci a suonare sporca e primitiva, e l’effetto svuotamento durante gli assoli è davvero ipnotico, con solo basso e batteria che restano a tesserne la base.
Essenzialmente è questo che ci si trova davanti mentre la musica degli Ukuku scorre, una roba indefinibile ricca di strane particolarità, quasi arcaica. Ma in realtà questa roba è tanta roba! Non so come rendere l’idea di quanto piacevole sia per me ascoltare questo disco, che riesce a sembrare uno scarto del Thrash primitivo anni ’80 e al tempo stesso un rivoluzionario approccio musicale, variopinto e ricco di idee - ditemi voi se questa non è tanta roba! Inoltre i lampi di genio sono numerosi, anche se purtroppo - oppure, vista la particolarità, per fortuna? - effimeri: si guardino ad esempio il breve inserto elettronico di Dimentica Il Mio Nome, la breve Deviating Hate che è interessante dal primo all’ultimo secondo, l’atmosfera desolante e malaticcia di The World We Created, i suoni particolari nel finale di Neri Presagi, la criptica Remembering The Past, più i vari arpeggi e assoli che sono uno più bello dell’altro - non ne troverete nemmeno uno che non sia quantomeno ottimo.
Gli Ukuku sono la dimostrazione di come si possa ancora suonare qualcosa di personale ed ispirato, e soprattutto fresco e vario, senza necessariamente dover impiegare strumenti di ogni genere e scrivere brani complessi, per quanto anche quest’ultima soluzione produca sovente ottimi risultati. Non posso quindi che parlare molto bene di questo disco, nonostante all’apparenza potrebbe inizialmente sembrare più uno sfogo da punkettari mancati che non un lavoro serio. Ma l’abito non fa il monaco, e gli Ukuku hanno dimostrato di avere in testa tante idee valide e, last but non least, di suonare per genuina passione. Tanta roba!
Quando anche l’ultimo fiume si sarà seccato ci accorgeremo che il denaro non si può bere, né mangiare.
Ha ha ha ha ha!
01 - Intro (00:36)
02 - Grey Old Bar (02:38)
03 - Dimentica Il Mio Nome (03:25)
04 - Bloody Gold (04:09)
05 - Hit The Kobold (03:08)
06 - Berserk (05:12)
07 - Deviating Hate (03:03)
08 - Malaria (02:16)
09 - The World We Created (03:50)
10 - Secrets (05:19)
11 - For Those They Die (03:50)
12 - Parabellum (02:30)
13 - Neri Presagi (04:00)
14 - Remembering The Past (03:50)
15 - Black Snow (02:20)
16 - Clowns (03:50)