Candlelight, 2008 |
Seconda fase, 2-6 ascolti. Le singole parti strumentali sono davvero belle, molto coinvolgenti, non si tratta di tecnica fine a sé stessa: c’è sempre una melodia precisa, e di ottimo gusto, che porta da qualche parte. Tastiere e chitarre sono ottimamente integrate tra loro. Però in questo disco manca un collante che tenga unite le squisite impennate strumentali, manca un tessuto di riff ritmici che tenga insieme il tutto, manca quel tessuto Blackened che era così dominante in Axiom. Qui non abbiamo vie di mezzo: da 0 a 100, o da 100 a 0 forse, nell’arco di soli due anni. In questo modo Warring Factions rimane un coacervo selvaggio di deliziosi pezzi strumentali dall’ampio range sonoro che coinvolge tastiere, organi e sax, e dal drumming spesso fievole e appena sussurrato tipico del Jazz e del Rock progressivo; pezzi strumentali che vagano nell’album come il fumo di un incenso vaga nella stanza in cui il bastoncino brucia - Warring Factions è come uno scenario in cui le parti strumentali sono fazioni rivali che guerrigliano tra loro, prive di qualsiasi strategia o fine. La voce fa schifo.
Terza fase, 6-12 ascolti. La memorizzazione dei brani comincia a fare effetto. In generale, non sempre tale effetto è benevolo: memorizzare un brano può anche portare a realizzare che esso è davvero scadente - ma non in questo caso: l’effetto sembra essere positivo per ogni brano, compreso An Exercise In Depth Of Field con il suo siparietto western. Là dove prima regnava il chaos ora sembra trasparire una parvenza d’ordine, o perlomeno di coerenza, e l’evolvere di ogni singolo brano inizia ad assumere una forma precisa - si inizia ad intravedere un’evoluzione deterministica laddove prima si trattava di moto browniano. Prima il disco non sembrava un insieme di brani, ma di momenti musicali in selvaggia libertà; ora invece si riescono a scorgere quei confini che delimitano un brano dall’altro. Ma la voce fa schifo.
Quarta fase, 12+ ascolti. Qui accade una cosa che non mi so spiegare. Warring Factions non è un album che mi esalta o mi fa gridare al capolavoro...però improvvisamente apro gli occhi ed esamino i fatti, e quello che riscontro è che da parecchio tempo lo ascolto di continuo. Una di quelle cose a cui non si fa caso, ma che poi si afferra all’improvviso. E’ diventato una specie di droga, ne sono dipendente, quelle parti strumentali che prima galleggiavano libere nell’aria ora scorrono nelle mie vene come un fluido vitale perfettamente mescolato ai globuli rossi e alle piastrine. E ora tutti i brani hanno un senso, e sono uno più stupendo dell’altro. Mi rendo ancora conto di quell’eccessiva leggerezza sonora che fin dal principio non mi è andata a genio, ma l’album scorre via perfetto così com’è, senza ostruirmi le vene, senza creare embolie...ormai è parte di me, del mio fisico, dei miei processi vitali. La voce però fa ancora schifo, anzi è peggio che mai: col progredire dell’apprezzamento di tutto il resto essa assume un ruolo ancora più fastidioso e insopportabile.
A questo punto la prestazione canora di Aulie merita una menzione speciale - o forse sarebbe meglio dire minzione speciale - accuratamente separata dal resto della recensione. E’ vergognosa, allarmante, ignominiosa, non ho idea di cosa gli sia saltato in testa, so soltanto che lo scream di Axiom si è trasformato in un urlo sporco e stonato - ma dico io, si può stonare urlando? Roba dell’altro mondo! - del tutto fuori luogo e dissonante rispetto alla musica, slegato oltre ogni limite e fastidioso come il sole sulla pelle, come l’acciuga in un piatto vegetale, come l’etichetta in un paio di slip. Fortunatamente i momenti cantati costituiscono una piccolissima frazione del disco complessivo, e quindi, sebbene a fatica, sono tollerabili.
Tornando al disco nel suo ensemble, perché ho scritto una recensione “a fasi”? Perché lungo il percorso che mi ha portato ad amarlo questo disco ha suscitato in me emozioni e giudizi discordanti, e passarci sopra limitandosi a parlarne bene sarebbe stato riduttivo. Così ho optato per un punto di vista cronologico, più educativo. Alla fine comunque il risultato è il medesimo: Warring Factions è un disco molto bello dal gusto tipicamente settanti ano, un gusto settanti ano della maggior raffinatezza, uno scenario in cui le fazioni rivali - i.e. le parti strumentali - convivono in un delicato equilibrio che però è quanto basta per conferirgli un grande splendore. Se poi la band avesse annoverato tra le sue fila un cantante degno di essere definito tale, invece che un pescivendolo con la raucedine, questo equilibrio sarebbe stato ancora più splendido.
01 - The Tunguska Incident (08:45)
02 - Sierra Day (05:53)
03 - Phobos Anomaly (06:20)
04 - An Exercise In Depth Of Field (12:16)
05 - At His Wit's End (07:59)
06 - Cloudscaper (07:42)
07 - Prime Warring Eschatologist (12:39)