Beyond Productions, 2007 |
Ma il Metal ha bisogno di menti geniali, e del resto le menti geniali non possono fare a meno di mettersi all’opera: così ecco che i Sadist, troppo vulcanici per permettersi il lusso dell’inattività musicale e troppo bravi per poter fare a meno del richiamo della musica, hanno deciso di riprovarci: ecco il loro quinto album, che guarda a caso coincide col loro quinto approccio musicale diverso. C’è una tacita promessa che i Sadist fecero e che i loro fan udirono bene, e questa promessa si chiama Tribe: il pur ottimo Crust non la mantenne, e Lego sembrò tradirla irrimediabilmente. Ma una promessa è pur sempre una promessa, e se non la si mantiene prima o poi si finisce per sbatterci di nuovo la testa contro. E poco importa se da allora sono passati undici anni, la promessa era ancora lì, desiderosa di essere mantenuta: il 2007 è l’anno in cui i Sadist sono stati di parola e hanno intrapreso quel sentiero iniziato undici anni fa, quel sentiero che all’epoca sembrò spalancargli le porte verso il successo ma che invece fu abbandonato appena un anno più tardi. Il nuovo album omonimo, che è per l’appunto uno sviluppo nella direzione di Tribe, riposa però su uno stile musicale simile che abbraccia sonorità del tutto nuove e moderne, un Melodeath intelligente dai sapori jazzati e dagli umori Prog che invece che banalizzare tutto con i soliti prevedibili riff melodici di chitarra concede il giusto spazio a ciascuno strumento: il drumming è favoloso, attento ai dettagli e molto variegato, e da ogni battito sembra sprigionarsi tutto il divertimento di Alessio Spallarossa; il basso è ben udibile ed esce parecchie volte allo scoperto, deliziando l’ascoltatore; le tastiere costituiscono una squisita parte integrante a tutti gli effetti, in piena tradizione Sadist, senza essere relegate a piccola superflua aggiunta ma senza nemmeno prendere il sopravvento inondando ogni istante di musica. Così ogni strumento si ritaglia il proprio spazio, e ciò che più conta è che se lo ritaglia lavorando al servizio degli altri: niente dittature da parte della chitarra, niente sottomissioni nei confronti di basso e batteria - la musica dei Sadist è come un organismo che si serve al meglio di ciascuna delle parti di cui è composto, un organismo che sa bene che nessuna di esse durerebbe un minuto se dovesse lavorare sola ma che la loro unione è in grado di fare grandi cose, una cellula che lavora precisa con minuzia e dovizia. Il risultato non può che essere eccellente: nonostante non vi siano brani indimenticabili e neppure grandi highlights individuali da segnalare, la sinergia strumentale fa di questo disco una piccola perla da custodire gelosamente. Se posso permettermi un’unica critica alla band direi che, rispetto a Tribe, stavolta è mancato un po’ di coraggio a livello compositivo: ciascun brano si mantiene abbastanza sulle proprie rotaie, senza cercare di strafare con emozionanti voli pindarici o di stupire con strutture non convenzionali. Ma a conti fatti poco male, ciò non fa che rendere un po’ meno lucente la piccola perla, che pur sempre perla resta.
Nonostante le sue sonorità più Prog che Death, Sadist è la dimostrazione che il Melodic Death Metal esiste ancora, e che non è sempre un genere per femminucce o bimbiminkia: se suonato come si deve può ancora emozionare e dire molto. Per riuscirci può essere utile evitare di scrivere canzoni basate su un paio di riff vagamente melodici e riciclati che entrano subito in testa simulando un headbanging scadente, e magari usare un po’ della propria creatività: i Sadist l’hanno fatto, e il risultato è di tutto rispetto.
01 - Jagriti (02:30)
02 - One Thousand Memories (04:55)
03 - I Feel You Climb (03:59)
04 - Embracing The Form Of Life (04:59)
05 - Tearing Away (03:47)
06 - Kopto (03:33)
07 - Excited And Desirous (04:41)
08 - Different Melodies (05:10)
09 - Invisible (03:29)
10 - Hope To Be Deaf (05:19)
11 - Sadist (02:33)