Euphonius, 2000 |
Giunti al secondo disco dopo l'ottimo debutto "Paradise Belongs To You", i danesi Saturnus si affermano come una delle più interessanti realtà nel panorama doom metal, in particolare per quel che riguarda il filone meno pesante, meno tetro e più dedito ad atmosfere romantiche, languide e appassionate. Se il debutto della band era ancora piuttosto grezzo e appesantito, con frequenti rimandi ai primi My Dying Bride, si può dire che con "Martyre" i nostri abbiano compiuto un notevole passo avanti, raffinando il loro sound in una maniera sorprendente.
L'aggressività sonora è quasi scomparsa, a favore di un sound estremamente melodico, per certi versi perfino orecchiabile, elegante e fascinoso. Niente muri di chitarre, niente growl devastanti (sostituiti da una voce estremamente teatrale, a metà tra il grunt semi - pulito ed il parlato, marchio di fabbrica caratteristico dei Saturnus): piuttosto trovano spazio arpeggi delicati e leziosi, mesti accompagnamenti di chitarra pulita e talvolta acustica, melodie dallo spiccato sapore decadente, eppur così emozionanti nella loro rassegnazione, che richiama alla mente storie di amanti perduti e tonnellate di malinconici addii. Se c'è un album di doom metal che incarna perfettamente il concetto di "romanticismo", questo è "Martyre": non quel romanticismo spicciolo fatto di sentimentalismo frivolo, bensì quel romanticismo nella sua accezione primitiva, che impone di lasciare libero sfogo alle proprie emozioni più recondite, senza preoccuparsi di nasconderle. Ne sono la dimostrazione brani eccelsi come "Inflame Thy Heart", dallo sbalorditivo assolo di chitarra che si contrappone alla triste rabbia dell'incipit; "Softy On The Path You Fade", soffertissima, nella quale la chitarra simula un pianto sconsolato tramite melodie cristalline e pulitissime; "Thou Art Free", delicatissima ballata acustica dalla voce sempre in parlato; "Noir", unico brano nel quale Thomas abbandona il parlato e/o il growl, e decide di cantare anche in un vero clean; "Drown My Sorrow", introdotta da un arpeggio di una tristezza pressoché assoluta, sul quale si sviluppa un brano disperato e sofferente, che ricorda l'apparente pacatezza esteriore di un'anima in realtà tormentata da qualcosa che non riesce a gestire. Brani più intensamente rabbiosi si uniscono ad episodi soffusi e tranquilli, ma sempre permeati da una malinconia di fondo che pare inguaribile.
Ci vuole un po' di tempo per entrare in sintonia con il disco (io stesso inizialmente lo ritenevo privo di mordente, prima di accorgermi del reale carattere dell'album) ma quando ci si riesce, esso regala emozioni incomparabili. Un disco da ascoltare quando la malinconia assale i sensi, come catarsi per l'anima, che dopo tanto dolore riuscirà infine a ritrovare la luce.
L'aggressività sonora è quasi scomparsa, a favore di un sound estremamente melodico, per certi versi perfino orecchiabile, elegante e fascinoso. Niente muri di chitarre, niente growl devastanti (sostituiti da una voce estremamente teatrale, a metà tra il grunt semi - pulito ed il parlato, marchio di fabbrica caratteristico dei Saturnus): piuttosto trovano spazio arpeggi delicati e leziosi, mesti accompagnamenti di chitarra pulita e talvolta acustica, melodie dallo spiccato sapore decadente, eppur così emozionanti nella loro rassegnazione, che richiama alla mente storie di amanti perduti e tonnellate di malinconici addii. Se c'è un album di doom metal che incarna perfettamente il concetto di "romanticismo", questo è "Martyre": non quel romanticismo spicciolo fatto di sentimentalismo frivolo, bensì quel romanticismo nella sua accezione primitiva, che impone di lasciare libero sfogo alle proprie emozioni più recondite, senza preoccuparsi di nasconderle. Ne sono la dimostrazione brani eccelsi come "Inflame Thy Heart", dallo sbalorditivo assolo di chitarra che si contrappone alla triste rabbia dell'incipit; "Softy On The Path You Fade", soffertissima, nella quale la chitarra simula un pianto sconsolato tramite melodie cristalline e pulitissime; "Thou Art Free", delicatissima ballata acustica dalla voce sempre in parlato; "Noir", unico brano nel quale Thomas abbandona il parlato e/o il growl, e decide di cantare anche in un vero clean; "Drown My Sorrow", introdotta da un arpeggio di una tristezza pressoché assoluta, sul quale si sviluppa un brano disperato e sofferente, che ricorda l'apparente pacatezza esteriore di un'anima in realtà tormentata da qualcosa che non riesce a gestire. Brani più intensamente rabbiosi si uniscono ad episodi soffusi e tranquilli, ma sempre permeati da una malinconia di fondo che pare inguaribile.
Ci vuole un po' di tempo per entrare in sintonia con il disco (io stesso inizialmente lo ritenevo privo di mordente, prima di accorgermi del reale carattere dell'album) ma quando ci si riesce, esso regala emozioni incomparabili. Un disco da ascoltare quando la malinconia assale i sensi, come catarsi per l'anima, che dopo tanto dolore riuscirà infine a ritrovare la luce.
01 - Seven (1:54)
02 - Inflame Thy Heart (6:42)
03 - Empty Handed (4:12)
04 - Noir (5:34)
05 - A Poem (Written In Moonlight) (5:42)
06 - Softly On The Path You Fade (7:08)
07 - Thou Art Free (4:37)
08 - Drown My Sorrow (6:51)
09 - Lost My Way (4:47)
10 - Loss In Memoriam (6:50)
11 - Thus My Heart Weepeth For Thee (6:13)
12 - In Your Shining Eyes (2:35)