Weird Truth Productions, 2011 |
Qualcuno ci salvi dalla bellezza del nuovo lavoro dei Mournful Congregation. La prima frase che mi viene in mente per descriverlo è proprio questa: tanta e tale è la quantità e la qualità di materiale presente nei suoi settantasei minuti, che si rischia di venire soffocati da una tale dimostrazione di forza e superiorità. Nel loro genere, i quattro australiani non sono una band che le manda a dire: dopo una carriera ormai quasi ventennale, hanno prodotto dischi che sono rimasti nella storia del funeral doom, non solo per via della loro enorme bellezza, ma anche per via della spiccata personalità del gruppo, che viene spesso considerato come la mosca bianca della scena funeral doom. Sarà che il sound dei Mournful Congregation è sempre stato piuttosto rarefatto e onirico, sarà che hanno sempre preferito le melodie ariose e appassionate ai muri di chitarre stantii, sarà che hanno sempre amato sperimentare e inserire nelle loro chilometriche canzoni degli elementi insoliti per una band funeral, come le sezioni di chitarra acustica; sarà per tutto quello che volete, ma io continuo a considerare i Mournful Congregation come una delle migliori realtà del funeral doom metal mondiale, e questo nuovo mastodontico lavoro è qui per dimostrarci che ancora una volta i quattro depressi australiani hanno intenzione di annientare completamente le nostre già provate anime.
Ancora una volta la tracklist è composta da quattro brani di durata pressochè infinita, dato che il più corto misura "solo" dodici minuti e il più lungo arriva addirittura ai trentatrè. Ciò potrebbe spaventare l'ascoltatore neofita, ma non certo il fan di vecchia data dei Mournful Congregation, abituato alle mazzate di sontuosa depressione che il gruppo elargisce. Ma non è solo la durata delle tracce a coincidere con ciò che i nostri facevano tempo addietro: è tutto l'album a non discostarsi granchè dai canoni della band, se non fosse per qualche piccolo elemento che porta un po' di nuova varietà, ma si tratta comunque di piccolezze. Quello che i Mournful Congregation ci propongono è il solito affresco di sentimentalismo oscuro e possente forza espressiva, espresso da brani che nessuno riuscirà mai a ricordare per intero a memoria (a meno che non li ascolti per anni interi), tanto sono articolati e sviluppati al loro interno. Lentezza che in certi tratti si fa insostenibile, grandiosità cinematografica trasfigurata in poesia oscura, vocalità a dir poco opprimente e plumbea (interessante il maggior spazio dato alla voce pulita, anche se talmente funerea da superare il growl in quanto ad angosciosità), lavoro di chitarra che sfiora il sublime grazie alla meravigliosa alternanza tra riffing dilatato, melodie magniloquenti e lunghe riflessioni affidate alla sola chitarra acustica, mesta e derelitta. Inizialmente si fa molta fatica a seguire il corso dei brani, più simili al fluire di un torrente incerto che al regolare scorrere dei venti costanti equatoriali; non è difficile considerare questo lavoro come una mezza delusione, se lo si ascolta superficialmente. Ma come tutti i grandi classici, la magia è racchiusa all'interno e bisogna avere pazienza per scoprirla: sarà così che, in un momento dove l'anima è disposta favorevolmente ad accogliere le funerarie note dei Mournful Congregation, il velo si schiuderà all'improvviso e il disco rivelerà la sua intrinseca meraviglia. Ecco che le stanche chitarre acustiche di "The Bitter Veils Of Solemnity" non saranno più noiose, ma al contrario diventeranno un lento lamento che ci accompagna nei nostri momenti più bui; sarà così che le piangenti linee melodiche di "The Waterless Streams" diventeranno la cristallina sonorizzazione della nostra malinconia; sarà così che l'interminabile, bellissima suite conclusiva "The Book Of Kings", che con il suo respiro antico e sfibrante ci farà tremare il cuore, in trentatrè minuti di maestosa esultanza funebre che si concludono con un finale d'organo che ha del soprannaturale. Ecco che l'apparente staticità stilistica del gruppo si rivela essere una scelta fondamentale e importantissima, in quanto permette loro di consolidare il loro stile disco dopo disco, aggiungendo tasselli poco alla volta per migliorare sempre più il già eccelso livello qualitativo.
Difficile valutare in poche parole la portata artistica di questo lavoro, talmente complesso e pachidermico da richiedere decine se non centinaia di ascolti per essere compreso pienamente. Quello che ho scritto finora non è altro che l'inizio di un percorso che ho intrapreso con quest'album; sono ben lungi dall'averlo compreso, assimilato e interiorizzato completamente. Tuttavia, sono certo che qualsiasi nuovo sviluppo futuro non farà che confermare il mio pensiero, aggiungendo convinzione all'idea che questo disco sia un capolavoro immane e una definitiva affermazione di questa stupenda band, così ingiustamente messa in disparte. Sta a voi adesso immergervi nella sfida dell'assimilazione di "The Book Of Kings", un compito arduo ma che potrebbe portarvi a stravolgere il vostro modo di vedere la musica.
Ancora una volta, inchino ai Maestri. Non si trova facilmente un disco come questo, credetemi.
01 - The Catechism Of Depression (19:19)
02 - The Waterless Streams (12:18)
03 - The Bitter Veils Of Solemnity (12:02)
04 - The Book Of Kings (33:10)