Displeased Records, 2004 |
Dopo l'inascoltabile "The Pathway", gli olandesi Officium Triste ci riprovano con questo "Reason", cercando di alzare il livello qualitativo e di risultare un po' più interessanti nel panorama doom - death. Diciamolo subito: sicuramente l'obiettivo è centrato, anche perchè sarebbe stato difficile fare di peggio. Onore al merito, quindi: è giusto riconoscere che la band ha compiuto qualche passo avanti, componendo un disco che nella brevità dei suoi quarantadue minuti sa essere emozionante e sa accompagnare degnamente le vostre giornate più tristi. Peccato però che gli Officium Triste non riescano, nemmeno con questa release, ad elevarsi dal "senza infamia e senza lode" al quale sembrano condannati per l'eternità.
"Reason" mostra alcune novità rispetto agli album precedenti, e la maggior parte di esse sono novità positive. Una cosa che è stata abbandonata, e nessuno ne sente la mancanza, è l'uso della voce pulita da parte del vocalist Pim, che nonostante sia tutt'altro che eccelso pure nel growl, almeno qui si dedica solo a ciò che gli riesce meglio tra le due opzioni. Sono aumentate le parti sinfoniche, gli stacchi d'atmosfera, sono aumentate le parti spiccatamente melodiche e romantiche; i brani sono leggermente più vari, le melodie hanno acquistato un po' più di senso compiuto, ci sono alcuni passaggi d'autore che meritano davvero di essere vissuti e ascoltati più volte (il break centrale di "The Silent Witness" è probabilmente la cosa migliore che la band abbia mai composto nel corso della sua storia). In definitiva, lo stile del gruppo è sempre lo stesso (e con ciò voglio dire che continua a pescare a piene mani dai classici del genere), ma indubbiamente i musicisti si sono impegnati di più per costruire composizioni di maggiore spessore, cosa che sarebbe iniquo non riconoscere.
Il problema principale degli Officium Triste però rimane immutato, ed è l'annoso problema che mi impedisce di apprezzarli fino in fondo: una certa scontatezza di fondo, che li rende affascinanti ad un primo impatto, ma che li penalizza molto dal punto di vista della longevità e dell'incisività che hanno sulla scena doom death. Un brano come l'opener "In Pouring Rain" è indubbiamente molto bello, con le sue melodie melanconiche e i suoi arrangiamenti di tastiera che gli donano una quieta e triste solennità; ma perchè bisogna inserire passaggi del tutto inutili e fuori luogo come quello che troviamo poco prima dei quattro minuti, che è a dir poco orrendo? Perchè rovinare una canzone degna di nota con le solite sbrodolate figlie della fretta e della smania di riempire gli spazi vuoti a tutti i costi? Perchè l'impressione è proprio questa, che gli Officium Triste non sappiano bene come continuare i loro brani ad un certo punto, e ci mettano dentro la prima cosa che gli capita sottomano, giusto per non interromperli sul più bello. Un peccato, perchè il resto della canzone non difettava, con le sue ritmiche talvolta in doppia cassa, le melodie che si spengono lentamente in un bel diminuendo, gli stacchi di pianoforte che donano atmosfera e respiro. Lo stesso discorso si può fare per tutti i brani: anche "This Inner Twist" vive su una melodia molto sognante ed evocativa che si evolve e rende il brano probabilmente il migliore del disco, ma qualcosa tuttavia stenta a convincere l'ascoltatore, perchè c'è sempre quella sgradevole sensazione di incompiutezza, come se i brani non sapessero esattamente dove andare a parare. Questo in parte è imputabile anche alla produzione, come sempre non all'altezza e incapace di valorizzare gli elementi positivi delle canzoni, ma non può essere colpa solo della produzione. Il problema è proprio il songwriting, incapace di costruire brani che vadano oltre la sufficienza. Una piena sufficienza, certo, ma non si raggiunge mai il "buono", nè tantomeno l'"ottimo".
Il problema principale degli Officium Triste però rimane immutato, ed è l'annoso problema che mi impedisce di apprezzarli fino in fondo: una certa scontatezza di fondo, che li rende affascinanti ad un primo impatto, ma che li penalizza molto dal punto di vista della longevità e dell'incisività che hanno sulla scena doom death. Un brano come l'opener "In Pouring Rain" è indubbiamente molto bello, con le sue melodie melanconiche e i suoi arrangiamenti di tastiera che gli donano una quieta e triste solennità; ma perchè bisogna inserire passaggi del tutto inutili e fuori luogo come quello che troviamo poco prima dei quattro minuti, che è a dir poco orrendo? Perchè rovinare una canzone degna di nota con le solite sbrodolate figlie della fretta e della smania di riempire gli spazi vuoti a tutti i costi? Perchè l'impressione è proprio questa, che gli Officium Triste non sappiano bene come continuare i loro brani ad un certo punto, e ci mettano dentro la prima cosa che gli capita sottomano, giusto per non interromperli sul più bello. Un peccato, perchè il resto della canzone non difettava, con le sue ritmiche talvolta in doppia cassa, le melodie che si spengono lentamente in un bel diminuendo, gli stacchi di pianoforte che donano atmosfera e respiro. Lo stesso discorso si può fare per tutti i brani: anche "This Inner Twist" vive su una melodia molto sognante ed evocativa che si evolve e rende il brano probabilmente il migliore del disco, ma qualcosa tuttavia stenta a convincere l'ascoltatore, perchè c'è sempre quella sgradevole sensazione di incompiutezza, come se i brani non sapessero esattamente dove andare a parare. Questo in parte è imputabile anche alla produzione, come sempre non all'altezza e incapace di valorizzare gli elementi positivi delle canzoni, ma non può essere colpa solo della produzione. Il problema è proprio il songwriting, incapace di costruire brani che vadano oltre la sufficienza. Una piena sufficienza, certo, ma non si raggiunge mai il "buono", nè tantomeno l'"ottimo".
Intendiamoci, non siamo di fronte a composizioni scandalose come quelle che furono nel precedente disco, anzi tutt'altro. I brani di "Reason" sono anche belli, basti prendere "The Sun Doesn't Shine Anymore", lunga e lamentevole cavalcata all'interno del sentimento della perdita (ma con il solito testo scontatissimo...), oppure anche "A Flower In Decay", con i suoi violoncelli in sottofondo che accompagnano una melodia mestissima, quasi piangente. Perchè allora gli Officium Triste non convincono fino in fondo, lasciando sempre quell'amaro in bocca? Sembra non essere un problema solo mio, ma abbastanza condiviso all'interno del mondo metal, quindi un motivo ci dovrà pur essere. Alla fine sono giunto alla conclusione che gli Officium Triste non convincono poiché non hanno una direzione ben definita, suonano un po' scolasticamente, eseguono bene il loro compito ma senza quel guizzo di vitalità e di novità che ti si imprime nella mente e la marchia a fuoco. Non basta concepire qualche bella melodia e arrangiarla discretamente con strumenti classici e chitarre distorte, per convincere gli ascoltatori che la propria musica è irrinunciabile. Perchè di dischi come "Reason" ce ne sono già in giro tanti, troppi, e ne sono già usciti a centinaia prima di questo, basta solo pensare alla discografia dei soliti mostri sacri come My Dying Bride e Anathema. Per convincere in questo genere serve freschezza e personalità, due cose che agli Officium Triste mancano, e mi dispiace dirlo perchè si sente che in questo album si sono impegnati, che hanno cercato di tirare fuori il loro potenziale inespresso.
Per stavolta, un risultato solo discreto: rispetto agli obbrobri di "The Pathway" è già un deciso miglioramento, ma non è ancora sufficiente per collocare la band nell'Olimpo del genere. Prendete "Reason" per quello che è, un disco nella media, senza troppe pretese: allora potrete apprezzarlo per quello che ha da offrire. Ma non potete chiedere agli Officium Triste più di questo.
01 - In Pouring Rain (5:42)
02 - The Silent Witness (8:42)
03 - This Inner Twist (8:18)
04 - The Sun Doesn't Shine Anymore (10:34)
05 - A Flower In Decay (8:43)