Qualche giorno potrebbe succedervi una cosa bizzarra. Immaginate di aver comprato i biglietti per il concerto della vostra band preferita. Arrivate lì con grande anticipo, siete già vicino al palco e non vedete l’ora che inizi. Nel frattempo si esibiscono le varie band spalla che scaldano la serata e vi aiutano ad entrare nella giusta atmosfera. Durante una di queste esibizioni di supporto vi girate improvvisamente verso il palco e vedete...quattro perfetti gentlemen inglesi vestiti di tutto punto, di quelli che potrebbero prendere pacatamente il the coi biscotti alle cinque del pomeriggio. Ma questi quattro gentlemen urlano e ruggiscono, e suonano pesante. Il giorno che vi accadrà non temete, non sarete sul set di un film surreale tratto da un romanzo di Kafka né tantomeno al centro di un improbabile esperimento di scienze delle comunicazioni: sarete al cospetto degli Akercocke.
Sono molto felice di poter asserire che la band ha compiuto un balzo in avanti siderale rispetto all’esordio di soli due anni prima: quel crogiuolo di idee che si intuiva a malapena sotto la cinerea coltre di pochezza di Rape Of The Bastard Nazarene trova finalmente piena espressione, dispiegandosi in tutta la sua estensione. Da 35 minuti striminziti navighiamo ora intorno ai 55, e da tutta quella serie di spunti solo vagamente abbozzati germogliano ora dei brani fatti e finiti, che riescono ad esprimere tutto quello che la band avrebbe voluto dire fin da allora (tutto, o forse ancora niente, aspettate infatti di ascoltare cosa combineranno da Choronzon in poi...). The Goat Of Mendes si presenta come uno dei pezzi da novanta del Blackened Death Metal, oltre che avere un timbro inqualificabile marcatamente personale e irripetibile - ed una copertina che si lascia apprezzare facilmente. Si tratta di una musica che calibra molto bene sfuriate estreme e atmosfere sinistre, col suo sound primordiale e infernale ed una creatività allo stato puro che si palesa tanto nelle strutture dei brani quanto nelle singole trovate musicali. Ciò che colpisce è specialmente la moltitudine di svolte differenti, che fa piacevolmente a pugni con una produzione decisamente povera: un cantato che copre l’intera gamma growl/clean/scream concedendosi addirittura dei piccoli voluttuosi inserti femminili, arpeggi pericolosi, e poi ancora numerose piccole sfumature sonore che vanno dai tromboni all’elettronica, ed intermezzi strumentali sempre azzeccati e opportuni: della durata giusta al momento giusto, tre brevi ed efficaci pause riflessive sacrileghe che ci preparano alla fase successiva del rituale. E poi tanta, tanta classe che emerge nonostante le raccapriccianti increspature sonore: come non ammirare un’ecletticità così spontanea?
The Goat Of Mendes segna l’inizio di un grande periodo produttivo e creativo per gli Akercocke, un periodo di sole vittorie che durerà ben sei anni culminando nel 2007 con il superlativo Antichrist, prima che la band si rifugi improvvisamente nel silenzio più profondo e misterioso. Ad oggi quasi non si hanno più notizie di loro: il sito ufficiale è stato chiuso e non ci sono news che riguardino l’attività discografica della band; giusto qualche apparizione live di tanto in tanto. Ma non corriamo troppo: The Goat Of Mendes non è che l’inizio di questa avvincente storia di una band, gli Akercocke, dannatamente attraente e dal fascino unico. Vi suggerisco caldamente di cominciare da questo boccone per poi seguire il climax ascendente dei tre album successivi, e vedrete che non ve ne pentirete.
01 - Of Menstrual Blood And Semen (06:26)
02 - A Skin For Dancing In (07:18)
03 - Betwixt Iniquitatis And Prostigiators (02:13)
04 - Horns Of Baphomet (07:06)
05 - Masks Of God (04:52)
06 - The Serpent (03:47)
07 - Fortune My Foe (01:16)
08 - Infernal Rites (04:30)
09 - He Is Risen (04:48)
10 - Breaking Silence (04:16)
11 - Initiation (01:11)
12 - Ceremony Of Nine Angles (08:53)