Northern Silence Productions, 2007 |
Al primo ascolto, è facile pensare che i Fen provengano da qualche fredda e desolata contrada della Scandinavia, ma nonostante il loro post - black metal atmosferico e crepuscolare che richiama le selvagge lande nordiche, provengono dalla civile metropoli di Londra. Nonostante ciò, il loro pensiero e le loro immagini sono spostate sui Fens, vale a dire dei terreni paludosi, umidi e nebbiosi che si trovano in una regione dell'Inghilterra, e dai quali la band trae ispirazione per le proprie composizioni. "Ancient Sorrow" è il primo vagito discografico della band, e si tratta di un debutto intenso e sofferto, che punta moltissimo sul proprio potenziale evocativo, sulla riflessione e sull'atmosfera, più che sulla tecnica o sull'impatto, i quali ricoprono un ruolo marginale. I Fen sono dediti alla creazione di musica grezza e autunnale, capace di richiamare alla mente immagini nitide e di rara bellezza: un ruscello che scorre impetuosamente in un bosco limaccioso, un temporale che sorprende gli animali e li costringe ad una fuga precipitosa per ripararsi, un vasto crepaccio sul fondo del quale ristagna la nebbia, o una stentata camminata lungo quelle interminabili distese di erba bagnata e infida, che trasudano umidità come se la terra stessa respirasse. Queste sono solo alcune delle suggestioni che un disco come "Ancient Sorrow", con le sue sonorità primitive e arcaiche che trasudano "dolore antico", può far venire alla mente.
La produzione molto approssimativa rende i suoni un po' impastati e le percussioni piuttosto povere, simili ad una batteria di pentole da cucina; ma al contempo tale produzione fa guadagnare al disco un notevole pathos e un'atmosfera unica, elementi che lo rendono adattissimo ad accompagnare gli stati d'animo tipicamente dimessi che si provano durante le lunghe e fredde giornate autunnali, dominate dalla decadenza e dall'appassire delle foglie. Può essere il disco adatto per accompagnare un viaggio: le composizioni sono tutte piuttosto lunghe, dalle ritmiche sempre sostenute e "continue", con poche o nessuna battuta d'arresto nel corso dei brani; il fiume strumentale e vocale che ne deriva, squisitamente influenzato dalle sonorità post rock, dà appunto l'impressione di essere sempre in movimento, senza mai potersi soffermare su un dettaglio o una situazione, parafrasando un po' quello che è lo scorrere delle stagioni e della vita, la quale non si ferma mai davanti a niente. Tuttavia, a dispetto della continuità del disco, i brani sono piuttosto diversi l'uno dall'altro. Se l'opener "Desolation Embraced" gioca su un riff di chitarra insistente e contorto, che dopo essersi ripetuto più volte in veste diversa viene affiancato da chitarre ritmiche che tendono quasi ad accalcarsi le une sulle altre, la successiva e bellissima "The Gales Scream Of Loss" è invece un brano più melodico, dal piglio esoterico e sognante, che giocando su due semplici accordi e su alcuni inserti corali e tastieristici riesce a ricreare alla perfezione l'atmosfera di una lunga cavalcata al tramonto, mentre cala il buio sulle steppe interminabili; o magari proprio di quelle tempeste descritte nel titolo, tempeste che gridano di dolore e di sconfitta, condita da bruciante malinconia. Il terzo ed ultimo brano è invece più aggressivo e spasmodico, con accelerazioni furiose contrapposte a momenti di relativa quiete, una quiete che però è permeata da una tensione mai del tutto risolvibile, sempre presente in sottofondo. Alcune note di chitarra acustica, brillantemente sepolte sotto il tappeto di distorsioni, rappresentano forse l'unico punto di collegamento di questo album con le sonorità folk al quale talvolta viene accostato. Dopo dieci minuti di psichedelico ed enigmatico incedere, arriva un'ultima velocissima tirata a concludere il disco: non sarà difficile sentire l'impulso di schiacciare di nuovo il tasto play per rientrare nel vortice emozionale da esso creato. Il collante sempre presente in tutti i brani è la bellissima voce in screaming: il suo tono frusciante
ed echeggiante, mai troppo in risalto rispetto al tappeto strumentale, costituisce a mio parere il vero fiore all'occhiello dei Fen.
"Ancient Sorrow" è un disco che renderà felici tutti gli amanti delle sonorità degli Agalloch e di tutte le band che da essi hanno preso ispirazione. Non aspettatevi però di comprendere appieno il potenziale celato al suo interno, senza prima dedicare al disco il rodaggio che merita: i brani hanno bisogno di tempo per emergere e per conquistarvi, a causa della loro apparente mancanza di coesione e direzione, che con il passare degli ascolti svanisce e si trasforma solamente in pura emotività, cruda e semplice, senza fronzoli. Quella dei Fen è musica che non dona niente all'intelletto, ma che arriva dritta al cuore, dipingendo affascinanti tele marroni come i tappeti di foglie cadute nelle faggete ad ottobre.
Secoli di solitudine...
01 - Desolation Embraced (8:46)
02 - The Gales Scream Of Loss (7:29)
03 - Under The Endless Sky (12:05)