Impure Creations, 1995 |
Voi e la vostra piccola nave, le vele alte nel cielo a sfruttare le forti raffiche di vento, le provviste e i viveri che ormai scarseggiano...e dopo aver percorso ogni distanza percorribile la nebbia si dirada ed ecco apparire lei, l’Ultima Thule, la terra di fuoco e ghiaccio sulla quale il sole non tramonta mai, l’ultima terra raggiungibile oltre la quale non si può andare, la terra di confine tra il mondo conosciuto e l’oblio dell’ignoto.
Mi rendo conto che molto di ciò che sto per dire non avrà granché senso, ma a volte capita che la musica dia certe sensazioni deliziose che a parole è molto difficile descrivere. Quindi prendetele per quello che sono...
Poc’anzi si parlava del mito dell’Ultima Thule, un racconto che è sopravvissuto e si è modificato nel corso dei secoli. Nel mito come nella musica: Ultima Thulee è un discone cult Black Metal frutto del genio creativo dei francesi Blut Aus Nord, l’ultima terra raggiungibile percorrendo a ritroso la loro discografia, il confine invalicabile tra i modi standard di interpretare il Black Metal e l’intima essenza eterna dello stesso. Tra le umane genti sussistono vari stili che vanno dall’Old School al Raw, dal Symphonic al Depressive, dal Post-Black all’Ambient; ma poi, ben distinto da tutti e danzante sulla sottile linea di demarcazione tra scibile ed arcano, c’è Ultima Thulee, che sta all’estremità della concezione mortale del Black Metal. Questo disco sembra poggiare le proprie fondamenta fuori dal tempo giacché coinvolge elementi musicali che sembrano avere un che di anacronistico, sembra un oggetto antico che qualche sciamano che viveva sui monti utilizzava per contemplare un futuro lontano, sembra non essere soggetto all’erosione delle onde degli anni, col suo tipico sound marcescente pigmentato però da un’eterea vena melodica, fluttuante nel suo andamento. Se da un lato abbiamo il fuoco, una produzione sublimemente pessima e uno scream raschiante, dall’altro abbiamo il ghiaccio, numerosi respiri, rallentamenti ipnotici, tastiere e arpeggi cristallini, il tintinnio di mille cristalli proveniente dalle grotte degli alti ghiacciai e amplificato dall’effetto eco della montagna. Otto episodi, otto panorami diversi: si va dagli effluvi melodici di The Plain Of Ida e Till’ I Perceive Bifrost ai gorgheggi ieratici di My Prayer Beyond Ginnungagap, dalla flebile nenia di Rigsthula alla conclusiva The Last Journey Of Ringhorn con i suoi toni singolarmente ottantiani. Ascoltare Ultima Thulee pare come avanzare pesantemente in una palude infuocata, per poi ritrovarsi improvvisamente avvolti dall’algido bianco intenso guardando il mondo attraverso una sottile lastra di ghiaccio, udendo echi sfocati che hanno un po’ dell’atavico e un po’ dell’alieno.
Ultima Thulee rimescola il tempo e annulla lo spazio, manifestandosi con sonorità tratte ora dal Black Metal classico, ora da una terra senza età. Il risultato alchemico di questa fusione va colto ascoltando il disco, non i miei sproloqui privi di senso coi quali ho inondato questa recensione nel disperato tentativo di trasmettervi l’irresistibile flusso di emozioni che esso suscita in me...ho parlato con il cuore in mano, ma anche così le parole non rendono giustizia: posso solo dirvi che ci sono momenti in questo disco che non trovano spazio da nessun’altra parte. Il sottoscritto non saprebbe indicarvi un album Black Metal migliore di questo gigantesco capolavoro intitolato Ultima Thulee, l’ultima terra che raggiungerete esplorando a ritroso la discografia dei Blut Aus Nord, una spettacolare terra di fuoco e ghiaccio su cui il sole non tramonterà mai.
01 - The Son Of Hoarfrost (06:02)
02 - The Plain Of Ida (08:54)
03 - From Hlidskjalf (07:44)
04 - My Prayer Beyond Ginnungagap (05:12)
05 - Till’ I Perceive Bifrost (07:07)
06 - On The Way To Vigrid (05:57)
07 - Rigsthula (03:59)
08 - The Last Journey Of Ringhorn (07:36)