BadMoodMan Music, 2007 |
Dietro gli Skogyr si nasconde la persona di Farakh, polistrumentista russo che ha deciso di mettere in piedi questo progetto per ricreare in musica i suggestivi "canti della pioggia", suggeriti sia dalla copertina sia da alcune campionature di temporali sparse lungo il disco. La musica racchiusa in questo "Rainchants", per quanto sia di indubbia qualità, suscita impressioni contrastanti e spesso inconciliabili, data la sua particolarità stilistica di essere totalmente strumentale e piuttosto ripetitivo.
L'idea di suonare un pagan black metal senza l'ausilio dell'indispensabile voce in screaming è indubbiamente coraggiosa e interessante, dato che non sono molte le band che adottano questa soluzione: in effetti, con l'assenza della voce è necessario che gli strumenti sappiano parlare da soli, ed è forse questo l'aspetto su cui Farakh deve ancora lavorare un po'. Il nostro musicista tuttofare propone infatti quattro brani (più una trascurabile cover posta in chiusura), due di media lunghezza e due di minutaggio elevato, che risultano sicuramente suggestivi ma al contempo molto ripetitivi, per cui possono creare qualche problema agli ascoltatori non avvezzi a questo tipo di musica, i quali troveranno "Rainchants" molto ostico, almeno ai primi ascolti. La ridondanza dei passaggi non implica tuttavia che la musica sia povera: siamo infatti di fronte ad una riuscita commistione tra un evocativo black metal melodico e un ipnotico incedere post - metal, con brani "fiume" che possono suggerire diverse immagini alle menti più fervide. L'incessante infrangersi a terra delle gocce di pioggia inferocite, l'avanzare delle fiere e inarrestabili colate laviche, le improvvise valanghe che travolgono tutto ciò che incontrano sulla loro strada. Il risultato è un'impetuosa corrente strumentale che, con l'ausilio di sonorità roboanti e di percussioni potenti (affidate a una drum machine), riesce a catturare l'immaginazione e a risultare convincente. Le melodie sono sempre azzeccate e ispirate, l'atmosfera è assicurata da parti di tastiera appena accennate ma comunque in grado di donare quel tocco di classe in più alla musica: dal punto di vista delle sonorità non si può obiettare nulla al fatto che "Rainchants" sia un prodotto affascinante.
A fronte di questi numerosi aspetti positivi, è tuttavia necessario ribadire il principale difetto di quest'album, ossia l'eccessiva ripetitività dei due brani principali. Qualche variazione in più avrebbe giovato e avrebbe permesso al disco di avere un po' più di respiro: invece ci troviamo di fronte a brani sì lunghi ed evocativi, ma che raggiungono minutaggi così elevati proprio perchè le singole parti sono ripetute talmente tante volte da rendere l'ascolto faticoso, specialmente se si opta per un ascolto attento. L'assenza della voce contribuisce ad incrementare la sensazione di staticità, poichè se la musica fosse sufficientemente varia ed elaborata a livello melodico si potrebbe tranquillamente soprassedere, ma a volte si sente proprio il bisogno di qualche passaggio diverso, che riesca a ridare un po' di direzione alla musica. A dire il vero le variazioni non mancano, ma sono quasi tutte di carattere ritmico (accelerazioni e decelerazioni anche abbastanza marcate), mentre quelle di carattere melodico / armonico non sono così numerose. Paradossalmente, i due brani più interessanti sono quelli che dovrebbero essere di importanza minore, vale a dire il primo e il quarto: più vari e più dinamici rispetto ai due mastodonti centrali, risultano i veri protagonisti del disco. Impossibile, infatti, non rimanere incantati dalla bellezza dell'opener "Chant I" (il cui video è incluso nel CD): canti di gufi e corvi in lontananza, pioggia che cade, chitarra pulita che ci prende per mano e ci porta a poco a poco in uno spettacolare e possente crescendo strumentale che infine sfuma e ritorna alla bucolica calma iniziale. Se un temporale potesse diventare musica, sicuramente suonerebbe così. Ugualmente difficile non stupirsi di fronte alla maestosa chiusura di "Chant IV", spiccatamente malinconica e ispirata con i suoi riff terrosi e umidi, che nel finale diventano lancinanti e grondanti sangue.
L'idea di suonare un pagan black metal senza l'ausilio dell'indispensabile voce in screaming è indubbiamente coraggiosa e interessante, dato che non sono molte le band che adottano questa soluzione: in effetti, con l'assenza della voce è necessario che gli strumenti sappiano parlare da soli, ed è forse questo l'aspetto su cui Farakh deve ancora lavorare un po'. Il nostro musicista tuttofare propone infatti quattro brani (più una trascurabile cover posta in chiusura), due di media lunghezza e due di minutaggio elevato, che risultano sicuramente suggestivi ma al contempo molto ripetitivi, per cui possono creare qualche problema agli ascoltatori non avvezzi a questo tipo di musica, i quali troveranno "Rainchants" molto ostico, almeno ai primi ascolti. La ridondanza dei passaggi non implica tuttavia che la musica sia povera: siamo infatti di fronte ad una riuscita commistione tra un evocativo black metal melodico e un ipnotico incedere post - metal, con brani "fiume" che possono suggerire diverse immagini alle menti più fervide. L'incessante infrangersi a terra delle gocce di pioggia inferocite, l'avanzare delle fiere e inarrestabili colate laviche, le improvvise valanghe che travolgono tutto ciò che incontrano sulla loro strada. Il risultato è un'impetuosa corrente strumentale che, con l'ausilio di sonorità roboanti e di percussioni potenti (affidate a una drum machine), riesce a catturare l'immaginazione e a risultare convincente. Le melodie sono sempre azzeccate e ispirate, l'atmosfera è assicurata da parti di tastiera appena accennate ma comunque in grado di donare quel tocco di classe in più alla musica: dal punto di vista delle sonorità non si può obiettare nulla al fatto che "Rainchants" sia un prodotto affascinante.
A fronte di questi numerosi aspetti positivi, è tuttavia necessario ribadire il principale difetto di quest'album, ossia l'eccessiva ripetitività dei due brani principali. Qualche variazione in più avrebbe giovato e avrebbe permesso al disco di avere un po' più di respiro: invece ci troviamo di fronte a brani sì lunghi ed evocativi, ma che raggiungono minutaggi così elevati proprio perchè le singole parti sono ripetute talmente tante volte da rendere l'ascolto faticoso, specialmente se si opta per un ascolto attento. L'assenza della voce contribuisce ad incrementare la sensazione di staticità, poichè se la musica fosse sufficientemente varia ed elaborata a livello melodico si potrebbe tranquillamente soprassedere, ma a volte si sente proprio il bisogno di qualche passaggio diverso, che riesca a ridare un po' di direzione alla musica. A dire il vero le variazioni non mancano, ma sono quasi tutte di carattere ritmico (accelerazioni e decelerazioni anche abbastanza marcate), mentre quelle di carattere melodico / armonico non sono così numerose. Paradossalmente, i due brani più interessanti sono quelli che dovrebbero essere di importanza minore, vale a dire il primo e il quarto: più vari e più dinamici rispetto ai due mastodonti centrali, risultano i veri protagonisti del disco. Impossibile, infatti, non rimanere incantati dalla bellezza dell'opener "Chant I" (il cui video è incluso nel CD): canti di gufi e corvi in lontananza, pioggia che cade, chitarra pulita che ci prende per mano e ci porta a poco a poco in uno spettacolare e possente crescendo strumentale che infine sfuma e ritorna alla bucolica calma iniziale. Se un temporale potesse diventare musica, sicuramente suonerebbe così. Ugualmente difficile non stupirsi di fronte alla maestosa chiusura di "Chant IV", spiccatamente malinconica e ispirata con i suoi riff terrosi e umidi, che nel finale diventano lancinanti e grondanti sangue.
In ogni caso, a Farakh non mancano le capacità di ricreare una musica suggestiva e celebrativa, che colpisce la fantasia dell'ascoltatore e lo faccia sognare un po', catapultandolo in maestosi scenari naturali. Se non ci si lascia infastidire dalla sua programmatica monotonia, "Rainchants" diventa un ascolto più che piacevole, che può accompagnare degnamente un momento di meditazione in mezzo al bosco o su una cima panoramica. Io me lo riascolto sempre volentieri, quando ho voglia di staccare un po' e di rilassarmi pienamente. Consigliato dunque agli amanti del genere, poiché chi non è un patito del pagan black metal potrebbe rimanere deluso: costoro dovranno valutare bene prima dell'acquisto.
01 - Chant I (5:57)
02 - Chant II (12:08)
03 - Chant III (13:24)
04 - Chant IV (5:56)
05 - Silent Hill (Akira Yamaoka cover) (2:36)