I Deep Purple sono una di quelle band che hanno una storia infinita - per chi ancora non lo sapesse i Deep Purple sono ancora in attività, e no, non hanno smesso di suonare negli anni ’70, o meglio l’hanno fatto ma poi si sono definitivamente riuniti nel 1984 - che hanno suonato in un’infinità di modi diversi e che hanno potuto godere dell’apporto di tantissimi musicisti diversi. In mezzo a siffatta gigantesca varietà si scoprono brani e dischi dei quali nessuno avrebbe mai sospettato l’esistenza, la cui fama è completamente offuscata da quella dei loro lavori di maggior spicco. Tra questi figura Slaves And Masters, album del 1990 venuto su come una carota in mezzo ai cavoli, nel senso che a sentirlo quasi non sembra di avere a che fare con i Deep Purple.
Paradossalmente la line-up è quasi quella storica: il leggendario Ritchie Blackmore alla chitarra, lo stratosferico Jon Lord alle tastiere, il funambolico Ian Paice alla batteria e Roger Glover - non saprei come definirlo - al basso, gli stessi musicisti che registrarono quel capolavoro chiamato In Rock e diedero vita al più grande concerto rock di tutti i tempi: il Made In Japan nell’estate del 1972. L’unica differenza è la voce, che al posto di Ian Gillan vede l’arrivo - solo temporaneo - del superbo Joe Lynn Turner, fattosi un nome grazie alla “transitoria incarnazione dei Deep Purple” sotto il nome di Rainbow. Nonostante ciò lo stile musicale di quest’album appare abbastanza diverso dai due dischi precedenti Perfect Strangers (1984) e The House Of Blue Light (1987), così come dal successivo The Battle Rages On (1993): se ascoltate ad esempio Fire In The Basement riconoscerete sicuramente il classico stile Deep Purple, ma se ascoltate la placida Fortuneteller la band è (quasi) irriconoscibile. Si tratta fondamentalmente di una proposta che punta maggiormente sull’atmosfera e a sprazzi anche sul pathos (vedi ad esempio Truth Hurts e la stessa Fortuneteller), pur lasciando comunque spazio ai Deep Purple più classici, tant’è che infatti le tastiere compaiono spesso e volentieri più come accompagnamento che non come strumento solista. Nondimeno nella sua strutturazione Slaves And Masters è un disco come tanti altri tra quelli dei Deep Purple usciti tra il 1984 e oggi: possiede alcuni ottimi brani di punta come King Of Dreams, The Cut Runs Deep, Fire In The Basement, Fortuneteller e Wicked Ways, un paio di buone ballad quali Truth Hurts e Love Conquers All, e qualche evitabile filler track come Breakfast In Bed e Too Much Is Not Enough, due brani che non fanno altro che rovinare ciò che di buono gli altri costruiscono. Insomma, nel complesso c’è qualcosa di nuovo, qualcosa di classico, qualcosa di buono e anche qual cosina di meno buono: il risultato non è niente male.
Ho scoperto che in rete c’è chi parla di questo album come se fosse un capolavoro, e parimenti c’è chi ne parla come se fosse un discaccio da gettare nelle fiamme. A mio avviso non è nessuna delle due cose: i Deep Purple hanno fatto dischi migliori, ma anche dischi notevolmente peggiori come The House Of Blue Light, Come Taste The Band e Stormbringer, che io da gran fan della band quale sono stato considero indecenti all’ennesima potenza. Questo Slaves And Masters invece si piazza a metà, forse poco più su, grazie ai cinque pezzi trascinatori citati sopra, ad atmosfere palpabili e ad una prova canora memorabile da parte di Joe Lynn Turner. Ma in fondo i Deep Purple hanno suonato un po’ di tutto, e quindi sono riusciti a reclutare fan dai gusti molto diversi...quindi che altro dire? Ascoltatevi Slaves And Masters e fatevi un’idea vostra.
01 - King Of Dreams (05:30)
02 - The Cut Runs Deep (05:42)
03 - Fire In The Basement (04:43)
04 - Truth Hurts (05:14)
05 - Breakfast In Bed (05:16)
06 - Love Conquers All (03:47)
07 - Fortuneteller (05:45)
08 - Too Much Is Not Enough (04:19)
09 - Wicked Ways (06:35)