Anthem Records, 1993 |
La copertina è emblematica: una vite che penetra in un bullone, con chiari riferimenti sessuali. Dopo una carriera lunghissima, ricca di soddisfazioni e che ha regalato una fama mondiale, ci si aspetterebbe che una band "normale" si adagi sugli allori e tenda a ripetere sempre sè stessa, contando sulla fedeltà dei propri fan: non è così per i Rush, band canadese storica per l'impronta rivoluzionaria che ha dato al rock progressivo. La parola d'ordine nella discografia dei Rush è evoluzione, la quale si esplica attraverso periodici mutamenti di stile, scanditi dalla pubblicazione di album dal vivo che chiudono una fase e aprono quella successiva. "Counterparts", inserito nella "quarta fase" della band, è un disco che approda su un territorio definitivamente rock e che contiene molti punti di forza, ma che non riesce a sfondare e a entrare nell'Olimpo dei capolavori dei Rush, nonostante mantenga un livello molto buono e in alcuni casi superiore alla media della band. Andiamo ora ad analizzare un po' cosa troviamo dentro questo quindicesimo album in studio dei Rush.
Dal punto di vista stilistico, "Counterparts" ci offre un sound abbastanza corposo, a tratti perfino aggressivo, che esplora tematiche difficili come la rabbia repressa, l'amore travagliato, l'alienazione moderna: ciò si esprime alla perfezione nei meravigliosi testi scritti da Peart (leggete "Cold Fire" e "Everyday Glory" per rendervene conto), nonchè in un'attitudine strumentale che rende omaggio all'emotività più istintiva, andando a sfruttare l'eccellente tecnica degli strumentisti per creare un sound di impatto notevole. Anche se il cambio di stile rispetto ai primi album è totale, l'impronta dei tre musicisti è sempre inconfondibile e basterebbe già per elevare l'album sopra qualsiasi dischetto di rock moderno, con il basso fantasioso e sempre sopra le righe di Geddy Lee, la chitarra irruenta di Alex Lifeson, la funambolica batteria di Neil Peart; tre marchi di fabbrica che conosciamo bene. Basta ascoltare l'opener "Animate", da molti considerata uno dei migliori pezzi mai scritti dalla band, per rendersi conto di cosa significa tutto ciò: un basso prepotente duetta con la chitarra creando melodie contorte e danzanti, che acquistano tensione a mano a mano che proseguono verso l'irresistibile refrain, dominato dall'inconfondibile voce di Geddy Lee, acuta e ficcante. Il break centrale è solo apparentemente rilassato: in realtà cela una tensione latente che solo nel finale riuscirà a sfogarsi pienamente. Le cose acquistano ancora più spessore con la successiva "Stick It Out", brano rabbioso e carico di risentimento, che invita a "sputar fuori" le proprie emozioni negative, senza paura, e lo fa insistendo su strofe picchiate e un ritornello acidissimo, destinato ad essere ricordato a lungo dai fan.
Ma i Rush hanno bisogno anche di esternare le loro prodezze strumentali, come omaggio al loro glorioso passato di pionieri del prog - rock più fantasioso e tecnico, e lo fanno con brani funambolici come la strumentale "Leave That Thing Alone", capace di creare spettacolari intrecci strumentali senza scadere nel puro esercizio per le dita, cosa che non tutte le band progressive sono capaci di fare. Non mancano anche brani più tranquilli, vale a dire le ballad, che rappresentano a mio parere il punto debole dell'album, poichè se in questo album ciò che colpisce maggiormente è proprio l'impatto emotivo delle canzoni, "At The Speed Of Love" e "Nobody's Hero" (che nonostante tutto ha un ritornello molto carino) non riescono a ricreare quella sottile inquietudine di fondo che anima il resto del disco. Inquietudine che si esprime perfettamente in pezzi magistrali come la sopracitata "Cold Fire", che cela una drammatica disperazione di fondo, così come per l'apparentemente allegra e spensierata "Everyday Glory", in realtà un'amara riflessione sulla vita moderna. I rimanenti brani sono dei buoni esempi di hard rock che però non riescono a sfondare come capolavori, ma che si assestano unicamente sullo status di brani piacevoli e ben suonati. Il risultato è un disco che alterna veri e propri brani - bomba con degli episodi più ordinari, e questo è il motivo per cui "Counterparts" non può essere elevato a capolavoro. Tuttavia, si merita comunque lo status di "signor disco", perchè in fin dei conti a suonare sono sempre i Rush, e se fosse una qualsiasi band emergente a suonare queste note, si griderebbe probabilmente al miracolo. Rimane comunque un pezzo di storia che è degno di essere ascoltato da qualsiasi appassionato di hard rock, e che a distanza di quasi vent'anni continua a fare la sua bella figura.
01 - Animate (6:05)
02 - Stick It Out (4:30)
03 - Cut To The Chase (4:49)
04 - Nobody's Hero (4:54)
05 - Between Sun And Moon (4:37)
06 - Alien Shore (5:45)
07 - The Speed Of Love (5:03)
08 - Double Agent (4:51)
09 - Leave That Thing Alone (4:06)
10 - Cold Fire (4:27)
11 - Everyday Glory (5:10)