Candlelight Records, 2011 |
Sto cominciando seriamente a pensare che la ricerca "geografica" delle band sia un metodo molto fruttuoso per scovare novità interessanti. Piccoli nuclei di aggregazione, se così possiamo chiamarli, sono sparsi lungo il globo: potremmo parlare dell'area Cascadiana per quel che riguarda il black metal atmosferico, o della scena depressive black australiana, o del filone funeral doom russo. Ce n'è per tutti i gusti, davvero. Nello specifico, un filone che non mi delude mai è quello post - rock / black metal britannico, che in questo caso si colloca in Scozia, assieme ad altri gruppi rivelazione come Askival, Fen e Wodensthrone. Anche stavolta, infatti, scopro un gruppo emergente che proviene da queste terre e mi rapisce subito con una musica passionale e coinvolgente, che non ha bisogno di molto tempo per entrare nei cuori degli ascoltatori. Comincia a diventare un vizio.
Cosa suonano i neonati Falloch, il cui nome ricorda non a torto quello degli Agalloch? La loro musica è un misto di post rock, black metal (ma sempre molto centellinato, quasi presente come "ospite"), buone dosi di neofolk e passaggi acustici, suggestioni shoegaze, sprazzi di musica popolare; il tutto condito con tantissima melodia e da una voce che, sorprendentemente, sceglie di dedicarsi quasi esclusivamente al cantato pulito, lasciando perdere le vocalità in screaming che vengono relegate solo a pochissimi e sporadici interventi. Le influenze principali arrivano da Agalloch, Empyrium, Alcest e altri simili grandi nomi: oso dire che la musica è quasi al livello di quella dei "maestri". Calda emozionalità e passaggi seducenti sono la regola nel sound dei Falloch, così come sono la regola i meravigliosi incastri strumentali tra chitarre, basso e tastiere, amalgamati in una maniera che definirei quasi perfetta, e che crea un sound assolutamente fascinoso ed evocativo: esso si perde in arpeggi delicati e introspettivi, si risveglia con sapienti inserti di doppia cassa e di chitarre distorte (il parossistico finale di "We Are Gathering Dust", inizialmente così tranquilla...), si fa aiutare dal pianoforte e dagli archi per i passaggi più importanti: se c'è una cosa di questo disco che mi ha stupito, è la lapalissiana bellezza delle parti strumentali. Per rendersene conto è sufficiente ascoltare la stupenda "Beyond The Embers And The Earth", e perdersi voluttuosamente in quel fantastico tappeto strumentale che lascia i brividi: oppure la suadente introduzione chitarristica di "Where We Believe", brano leggermente più aggressivo che tuttavia finisce su vocalizzi femminili elegiaci e solenni, davvero notevoli. Ma ogni brano è un episodio a sè, ognuno ha qualcosa da comunicare, non esistono cadute di tono. Non mancano ovviamente i riferimenti alla natura, al romanticismo e alla poesia (ascoltate per esempio le intense strumentali "Horizons" e "Solace", direttamente debitrici della musica popolare scozzese, o il mirabile finale di "To Walk Amongst The Dead"), tanto che tutto l'album sembra una lunga poesia musicata, e recitata da una voce pulita un pochettino tremolante, ma non per questo poco convincente: anzi, ritengo che il suo essere lievemente incerta sia il pregio maggiore di quest'album. Essa comunica, infatti, una passionalità vagabonda e turbolenta, in perfetto accordo a quello che fu il Romanticismo ottocentesco: sentimenti senza controllo, sputati con forza e senza curarsi di essere poco raffinati. Ma non temete, il patetismo gratuito è lontano anni luce da questa proposta musicale.
Un songwriting insospettabilmente vario e maturo non stride con un'immediatezza fantastica, che permette di fruire immediatamente del disco senza bisogno di doverlo ascoltare decine di volte prima di assimilarlo: ciononostante, la struttura elaborata dei brani e la loro ricchezza melodico - compositiva permette al disco di guadagnarsi una buona longevità. Tuttavia, essendo un gruppo di esordienti, nel disco si può notare qualche imperfezione di fondo che però a mio parere è il sale del disco: quanti dischi acerbi e passionali si contano nel mondo del metal, che tuttavia conservano un fascino ineguagliato? Pensiamo a dischi come "A Wintersunset..." degli Empyrium, o "Blood Fire Death" dei Bathory, "Skydancer" dei Dark Tranquillity...la lista potrebbe continuare a lungo. Tutti album che non si potevano certo definire perfetti, ma che trasmettevano e continuano a trasmettere qualcosa, un qualcosa che si percepisce senza però riuscire a capire cos'è. Io, banalmente, chiamo questo qualcosa "ispirazione": un concetto difficile e sfuggente, ma che ancora una volta si adatta perfettamente alla musica dei Falloch. Genuina, calda, armoniosa e intensa: così è la musica racchiusa in "Where Distant Spirits Remain", un disco che non manco di consigliare a tutti, e che ha tutte le carte in regola per crearsi un pubblico vasto, nonostante la giovane età. Ce ne fossero di band esordienti come questa...
01 - We Are Gathering Dust (8:49)
02 - Beyond The Embers And The Earth (8:13)
03 - Horizons (3:48)
04 - Where We Believe (10:23)
05 - The Carrying Light (6:08)
06 - To Walk Amongst The Dead (10:32)
07 - Solace (3:23)