Relapse Records, 2010 |
Gli anni ’70 costituiscono un’epoca che non tramonterà mai, che continuerà a rivivere generazione dopo generazione tramandandosi come una potente semenza nella fertile passione della gente più disparata; un’epoca che si è così conquistata la continua rinascita in ogni nuovo decennio - l’immortalità. E se c’è una cosa degli anni ‘70 che più di tutte le altre preme con forza per continuare a rigenerarsi e quindi rivivere continuamente sotto nuove spoglie è la musica: tra revival, tributi e rivisitazioni essa dimostra ancor oggi di essere più viva che mai. Sussiste in particolare uno strano filone di Rock progressivo dalle sonorità ultra-moderne ed elettroniche, ma dal gusto completamente settantiano; in questo filone si inseriscono i Titan, band strumentale che arriva dritta dagli USA e che esordisce con Sweet Dreams grazie alla vulcanica Relapse.
E’ sufficiente il brano di apertura, che dà il nome all’album, per capire di che poderosa pasta siano fatti i Titan: un lungo incalzante crescendo caratterizzato da una grande vitalità in cui le tastiere si danno un gran daffare, crescendo che poi esplode in un irresistibile trascinante pezzo strumentale che si chiude su di un arpeggio struggente fino a commuovere. Ma in questi neanche quaranta minuti che compongono Sweet Dreams trovano posto tante emozioni dal sapore differente che non si limitano alla prode ascesa di cui sopra, tant’è che infatti il successivo intermezzo strumentale Synthasaurs è un sobrio, placido, curioso pezzo tutto suonato col sintetizzatore. Quello che ci offrono i Titan non è semplicemente una musica piena di tutto ciò che furono le grandi band del passato come Deep Purple e Uriah Heep, piena di psichedelia e strumentazioni soliste che si lanciano costantemente nei famosi duelli tra chitarra e tastiera. No, non è solo questo, e nonostante persino le poche parole cantate presenti in A Wooded Altar Beyond The Wanderer siano curate in modo da richiamare anch’esse gli anni ’70, i Titan sono comunque di più. La loro musica non è solo imitazione, è qualcosa che gli viene dal profondo. Danno costantemente l’impressione che gli scorra nelle vene, di averla fatta loro, di averla domata, e questo gli permette di prodursi in brani che hanno una forte dose di personalità e una creatività fuori dal comune. Così se brani come A Wooded Altar Beyond The Wanderer e Highlands Of Orick sono i più marcatamente settanti ani, in generale c’è spazio anche per idee personali e risvolti che non sempre risuonano in tutto e per tutto rubati dal passato, come la succitata Synthasaurs, l’outro della titletrack e certi momenti della conclusiva spettacolare Maximum Soberdrive.
Tuttavia se siete degli appassionati viscerali di quegli anni e delle band storiche che vi lasciarono il segno c’è il rischio che i Titan - come del resto tante altre band moderne appartenenti al medesimo filone - vi faranno storcere un po’ il naso, o addirittura vi deluderanno facendovi scuotere il capo: le sonorità così marcatamente elettroniche e moderne non saranno un boccone di facile digestione per voi. Io, che pure non sono entusiasta di sonorità troppo elettroniche, trovo comunque poderosi questi quaranta minuti di ottima musica strumentale e progressiva: un revival scoppiettante con personalità e creatività da vendere, averne di dischi così!
01 - Sweet Dreams (07:46)
02 - Synthasaurs (03:11)
03 - A Wooded Altar Beyond The Wanderer (08:00)
04 - Highlands Of Orick (08:03)
05 - Maximum Soberdrive (11:13)
E’ sufficiente il brano di apertura, che dà il nome all’album, per capire di che poderosa pasta siano fatti i Titan: un lungo incalzante crescendo caratterizzato da una grande vitalità in cui le tastiere si danno un gran daffare, crescendo che poi esplode in un irresistibile trascinante pezzo strumentale che si chiude su di un arpeggio struggente fino a commuovere. Ma in questi neanche quaranta minuti che compongono Sweet Dreams trovano posto tante emozioni dal sapore differente che non si limitano alla prode ascesa di cui sopra, tant’è che infatti il successivo intermezzo strumentale Synthasaurs è un sobrio, placido, curioso pezzo tutto suonato col sintetizzatore. Quello che ci offrono i Titan non è semplicemente una musica piena di tutto ciò che furono le grandi band del passato come Deep Purple e Uriah Heep, piena di psichedelia e strumentazioni soliste che si lanciano costantemente nei famosi duelli tra chitarra e tastiera. No, non è solo questo, e nonostante persino le poche parole cantate presenti in A Wooded Altar Beyond The Wanderer siano curate in modo da richiamare anch’esse gli anni ’70, i Titan sono comunque di più. La loro musica non è solo imitazione, è qualcosa che gli viene dal profondo. Danno costantemente l’impressione che gli scorra nelle vene, di averla fatta loro, di averla domata, e questo gli permette di prodursi in brani che hanno una forte dose di personalità e una creatività fuori dal comune. Così se brani come A Wooded Altar Beyond The Wanderer e Highlands Of Orick sono i più marcatamente settanti ani, in generale c’è spazio anche per idee personali e risvolti che non sempre risuonano in tutto e per tutto rubati dal passato, come la succitata Synthasaurs, l’outro della titletrack e certi momenti della conclusiva spettacolare Maximum Soberdrive.
Tuttavia se siete degli appassionati viscerali di quegli anni e delle band storiche che vi lasciarono il segno c’è il rischio che i Titan - come del resto tante altre band moderne appartenenti al medesimo filone - vi faranno storcere un po’ il naso, o addirittura vi deluderanno facendovi scuotere il capo: le sonorità così marcatamente elettroniche e moderne non saranno un boccone di facile digestione per voi. Io, che pure non sono entusiasta di sonorità troppo elettroniche, trovo comunque poderosi questi quaranta minuti di ottima musica strumentale e progressiva: un revival scoppiettante con personalità e creatività da vendere, averne di dischi così!
01 - Sweet Dreams (07:46)
02 - Synthasaurs (03:11)
03 - A Wooded Altar Beyond The Wanderer (08:00)
04 - Highlands Of Orick (08:03)
05 - Maximum Soberdrive (11:13)