Battle Hymns Records, 2004 |
Signore e signori, sono lieto di annunciarvi un esempio encomiabile di come dovrebbe suonare il Power Metal.
Avete presente tutti quei dettagli che inducono molte persone a detestare tale genere? Parlo di strutture banali fino alla nausa, di riff basati su due note in assenza di idee migliori, di ritmiche clonate di brano in brano, di voci fin troppo gaie di pseudo-cantanti che latrano in una notte di luna piena durante il proprio ciclo estrale: ebbene, nulla di tutto ciò affligge i Bejelit, band piemontese che esordisce nel 2004 con Hellgate. Quello che i Bejelit hanno inciso su disco è un esempio di Power Metal disinibito, molto aggressivo e molto personale, completamente libero da tutti i cliché del genere e al tempo stesso parecchio ispirato.
Attraversando la porta dell’inferno non troverete brani banali ad annoiarvi, niente che si addormenti passivamente sulla nauseante soluzione strofa-ritornello; nessuna traccia di autoplagio, né tantomeno i disdicevoli abusi del pur glorioso falsetto. Del resto avete varcato la porta dell’inferno, non del paradiso! Qui ci si diverte! Troverete infatti ad accogliervi tra le fiamme corposi giri di chitarra alla velocità della luce e le classiche pedalate di grancassa intrecciati con abilità e dovizia di saggezza, e senza che ci si fossilizzi sopra a sproposito; troverete un basso intraprendente, scoppiettante, spesso eretto in prima linea invece che rimanere sepolto senza lode e con molta infamia sotto le frustate delle chitarre; troverete una band che riesce a racchiudere una favolosa suite come The Haunter Of The Dark in appena quattro minuti e mezzo; una band che in perfetta tradizione Power si concede anche alla ballad, ma che quando lo fa il risultato è qualcosa di spettacolare come I Won't Die Everyday; una band che chiude un grande disco con un grande brano, In Void We Trust, epico, oscuro e progressivo, che sbiadisce su un pianoforte che ha un che di magico. Com’è possibile riscontrare una tale fastosa abbondanza in un disco Power? E’ possibile perché l’intelligenza dei Bejelit consiste anche nel saper interpretare un po’ tutti i modi possibili di suonare il Power: dallo stile classico ai cori epici, dai sintetizzatori orchestrali ai taglienti riff thrash-oriented, il tutto fuso insieme con grande maestria. In un tale sfarzoso contesto anche quel paio di brani che ricordano maggiormente il Power classico, cioè Dust In The Wind e Slave Of Vengeance, risultano bramosi e accattivanti, dimostrando che il vero problema del Power classico non è tanto il singolo brano quanto la generale mancanza di idee. Mancanza che qui manca, sicché per doppia negazione otteniamo un’affermazione di sostanza ed energia: affermazione che porta il nome di Hellgate, un disco per tutti coloro che non credevano che il Power potesse dare tanto. Vi ricrederete.
01 - BloodSign (03:19)
02 - Bones And Evil (06:02)
03 - The Haunter Of The Dark (04:30)
04 - I Won't Die Everyday (06:11)
05 - Slave Of Vengeance (03:31)
06 - Skull Knight Ride (05:03)
07 - Death Chariot (05:18)
08 - Dust In The Wind (05:02)
09 - Bejelith (04:29)
10 - In Void We Trust (08:08)
Avete presente tutti quei dettagli che inducono molte persone a detestare tale genere? Parlo di strutture banali fino alla nausa, di riff basati su due note in assenza di idee migliori, di ritmiche clonate di brano in brano, di voci fin troppo gaie di pseudo-cantanti che latrano in una notte di luna piena durante il proprio ciclo estrale: ebbene, nulla di tutto ciò affligge i Bejelit, band piemontese che esordisce nel 2004 con Hellgate. Quello che i Bejelit hanno inciso su disco è un esempio di Power Metal disinibito, molto aggressivo e molto personale, completamente libero da tutti i cliché del genere e al tempo stesso parecchio ispirato.
Attraversando la porta dell’inferno non troverete brani banali ad annoiarvi, niente che si addormenti passivamente sulla nauseante soluzione strofa-ritornello; nessuna traccia di autoplagio, né tantomeno i disdicevoli abusi del pur glorioso falsetto. Del resto avete varcato la porta dell’inferno, non del paradiso! Qui ci si diverte! Troverete infatti ad accogliervi tra le fiamme corposi giri di chitarra alla velocità della luce e le classiche pedalate di grancassa intrecciati con abilità e dovizia di saggezza, e senza che ci si fossilizzi sopra a sproposito; troverete un basso intraprendente, scoppiettante, spesso eretto in prima linea invece che rimanere sepolto senza lode e con molta infamia sotto le frustate delle chitarre; troverete una band che riesce a racchiudere una favolosa suite come The Haunter Of The Dark in appena quattro minuti e mezzo; una band che in perfetta tradizione Power si concede anche alla ballad, ma che quando lo fa il risultato è qualcosa di spettacolare come I Won't Die Everyday; una band che chiude un grande disco con un grande brano, In Void We Trust, epico, oscuro e progressivo, che sbiadisce su un pianoforte che ha un che di magico. Com’è possibile riscontrare una tale fastosa abbondanza in un disco Power? E’ possibile perché l’intelligenza dei Bejelit consiste anche nel saper interpretare un po’ tutti i modi possibili di suonare il Power: dallo stile classico ai cori epici, dai sintetizzatori orchestrali ai taglienti riff thrash-oriented, il tutto fuso insieme con grande maestria. In un tale sfarzoso contesto anche quel paio di brani che ricordano maggiormente il Power classico, cioè Dust In The Wind e Slave Of Vengeance, risultano bramosi e accattivanti, dimostrando che il vero problema del Power classico non è tanto il singolo brano quanto la generale mancanza di idee. Mancanza che qui manca, sicché per doppia negazione otteniamo un’affermazione di sostanza ed energia: affermazione che porta il nome di Hellgate, un disco per tutti coloro che non credevano che il Power potesse dare tanto. Vi ricrederete.
01 - BloodSign (03:19)
02 - Bones And Evil (06:02)
03 - The Haunter Of The Dark (04:30)
04 - I Won't Die Everyday (06:11)
05 - Slave Of Vengeance (03:31)
06 - Skull Knight Ride (05:03)
07 - Death Chariot (05:18)
08 - Dust In The Wind (05:02)
09 - Bejelith (04:29)
10 - In Void We Trust (08:08)