Vendlus Records, 2006 |
Il black metal ha conosciuto periodi gloriosi e periodi di stanchezza profonda e crisi di idee. Esploso in Norvegia negli anni '90, con il tempo si è sempre più contaminato con generi diversi, andando a fondersi con il folk, il post rock, il doom, lo shoegaze e via dicendo. Con il trascorrere del tempo è stato sempre più difficile trovare una band di black metal "classico" che non sapesse di già sentito, fino a quando i Wolves In The Throne Room si sono imposti sulla scena come "mosca bianca" del movimento black metal. Il motivo di questa "emarginazione" è principalmente la provenienza: molti non credevano (e forse non credono tuttora) possibile il fatto che una band statunitense (proveniente da Olympia, stato di Washington) potesse suonare del black metal autentico e non stravolto dalla commercialità o da grottesche forzature. I due fratelli Weaver invece sono nati per dimostrarci il contrario, facendo propri gli stilemi del black metal e rielaborandoli in una maniera che non piace a tutti, ma che è indubbiamente personale e ricercata. Niente face painting, niente esternazioni di satanismo becero e gratuito, niente esibizionismi di sorta: i due fratelli si sono addirittura ritirati in una tenuta in mezzo ad un bosco, dove vivere "fuori dal consumismo occidentale", in regime autarchico e indipendente dal resto del mondo. Scelta che viene additata come originale e unica, anche se in realtà venne attuata già dai Negura Bunget tempo addietro. Una scelta comunque interessante e coraggiosa: quanti di noi farebbero lo stesso?
Dalla loro dimora isolata in mezzo alla natura, i fratelli Weaver traggono l'ispirazione per comporre i loro dischi di black metal atmosferico, ricercato e fortemente "spirituale". "Diadem Of 12 Stars" è il loro primo lavoro, che in quattro lunghissime tracce condensa tutto ciò che si può trovare in una sperduta foresta del Nord America: grandi paesaggi dimenticati, burroni scoscesi, torrenti ghiacciati, orsi in libertà che pescano nei fiumi, presenze arcane ed elementali ovunque. Luoghi dove l'immaginazione umana si acuisce e dove è facile elevare la propria arte: e in questo splendido debutto c'è moltissima arte, oltre che moltissima natura. Ma non è solo di natura che si tratta: oltre alla bellezza dei paesaggi e del funzionamento del pianeta, c'è anche l'aspetto immateriale di tutto ciò. Spiriti che reggono il passare delle stagioni, misteri insondabili nascosti nel fondo dei vulcani, mostri in attesa di risvegliarsi nelle profondità della terra: la musica visionaria e immaginativa dei Wolves In The Throne Room suggerisce principalmente questo. Non a caso, la loro musica e i loro testi sono influenzati da pensatori di grande livello come H.D. Thoreau e addirittura l'antroposofo Rudolf Steiner.
Rispetto ai dischi che seguiranno, il sound è ancora grezzo, ma presenta già i tratti distintivi che lo renderanno famoso in seguito. I Wolves In The Throne Room non si discostano in modo netto dagli stilemi black metal, ma lo spogliano di quella carica prettamente assassina che caratterizzava le prime produzioni del genere (Darkthrone, primi Immortal, Mayhem). I ritmi sono quasi sempre in blast beat, veloci e parossistici, ma su tali ritmi vengono spalmati riff dilatati ed eterei, dal carattere quasi sognante, più che incisivo. Le linee melodiche sono difficili da afferrare e da memorizzare, le strutture sono mutevoli e imprevedibili: l'impetuoso torrente strumentale è talvolta rotto da rallentamenti atmosferici, arpeggi in pulito e inquietanti insistenze su riff distorti e lenti. Anche l'uso della voce è piuttosto interessante e originale per una black metal band: oltre al fatto che lo screaming non comunica una sensazione prettamente malvagia ma piuttosto "meditativa" e sofferente, è significativo il contributo della voce femminile, che pennella momenti sospesi e rilassanti in mezzo all'apparente furia cieca del brani. Dico apparente, poiché quello suonano dai Wolves In The Throne Room è un black metal che si avvicina per certi versi al post rock: non solo rabbia e distruzione, ma anche ricerca e introspezione. Questo aspetto è incarnato in maniera pressochè perfetta dalla band, che assembla brani molto difficili da digerire e che hanno bisogno di numerosi ascolti per rivelare tutto il loro significato.
Concepito quasi come fosse una traccia unica, il disco non ha senso se non è preso nel suo insieme: più che un insieme di canzoni, "Diadem Of 12 Stars" è una forma mentis, un viaggio mentale che esige dedizione assoluta e capacità di immedesimazione, per poterne trarre vantaggio. I Wolves In The Throne Room non sono una band che punta a smuovere le folle o a far scatenare l'headbanging, bensì per loro stessa ammissione vorrebbero che durante i loro concerti la gente "si sdraiasse a terra e piangesse". In definitiva, questo disco inaugura una fortunata serie di album che con il loro alone "mistico" e la loro forza evocativa sono stati capaci di affermare questa band come una delle più interessanti e autentiche realtà black metal in circolazione, una realtà che influenzerà moltissimo le nuove band che si approcciano al genere. Inoltre, la loro musica è una dimostrazione che il black metal può rinnovarsi e crescere come qualsiasi altro genere musicale. Non è poco.
01 - Queen Of The Borrowed Light (12:58)
02 - Face In The Night Time Mirror Part 1 (13:21)
03 - Face In The Night Time Mirror Part 2 (13:58)
04 - (A Shimmering Radiance) Diadem Of 12 Stars (20:22)