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giovedì 9 febbraio 2012

Wolves In The Throne Room - "Two Hunters"

Southern Lord Recordings, 2007
Il debutto "Diadem Of 12 Stars" aveva mostrato al mondo una band americana alle prese con un black metal di stampo nordico, che aveva la particolarità di essere stato rielaborato e presentato sotto una nuova veste, più elegante e raffinata rispetto al grezzume tradizionalmente imposto dagli stilemi del genere. Il disco aveva suscitato un certo clamore e interesse, e non a torto: esso stravolgeva il teorema secondo cui il black metal non sarebbe mai potuto crescere al di fuori della sua terra madre, vale a dire la Scandinavia (e in particolare la Norvegia), rimanendo relegato ad una mera imitazione malriuscita nel caso in cui qualcun altro di "non nordico" avesse voluto cimentarvisi. Giunti al secondo disco, gli statunitensi Wolves In The Throne Room riescono un'altra volta a dimostrarci la loro abilità e la loro capacità di fondere assieme elementi diversi, partendo da una base black e contaminandola con soluzioni personali che demoliscono impietosamente il teorema nazionalista.

Il feeling "boschivo" e ventoso dell'esordio si è spostato ora verso terreni più solenni ed elegiaci, quasi mistici: ascoltando l'incredibile opener strumentale "Dea Artio" si può letteralmente rimanere basiti dallo stupore. Essa infatti viaggia su ritmiche addirittura funeral doom, scegliendo però suoni impastatissimi e ronzanti che le conferiscono inequivocabilmente il carattere medianico del black. Il brano è un lento risveglio, che dalla profondità delle tenebre porta lentamente alla luce più accecante, simboleggiata alla perfezione da un tappeto tastieristico sublime e massimamente evocativo, coadiuvato da rintocchi di batteria lenti e stanchi. Quando l'inno iniziale termina, capiamo però che i Wolves In The Throne Room non hanno deciso di darsi al doom metal: "Vastness And Sorrow" è introdotta da una chitarra tesa e nervosa che presto cede il posto ad un assalto sonoro furibondo. Le caratteristiche distintive della band cominciano a delinearsi sempre più, e l'elemento che colpisce in particolar modo è la relativa lentezza dei riff rispetto alle linee ritmiche: ogni nota è notevolmente prolungata e dilatata, così che non si riesce più bene a capire se il brano sia lento o veloce. Un fulmine inarrestabile per quanto riguarda la parte ritmica, ma un brano riflessivo per quanto riguarda il riffing di chitarra. Siamo lontani dai contorti riff del black metal scandinavo, che mettevano angoscia fin dal primo ascolto: nonostante anche la musica dei Wolves In The Throne Room non sia propriamente masticabile da tutti, è indubbio che non si percepisce lo stesso alone malvagio. Ciò diventa evidente con la seconda metà del pezzo, popolata da semplici ma stupende aperture melodiche e variazioni ritmiche che rendono il pezzo quasi orecchiabile (parlando in termini relativi, ovviamente). Con una nuova accelerazione, il brano si conclude dopo averci offerto al massimo quattro o cinque riff, e questo mostra un ulteriore punto di evoluzione rispetto al debutto: le linee chitarristiche intricate si sono trasformate in pezzi più quadrati e diretti, tesi a colpire l'ascoltatore fin da subito. Tuttavia "Cleansing" ci spiazza di nuovo, con un'introduzione ancora una volta lenta e celestiale, nella quale la protagonista è un'idilliaca e trasognata voce femminile. Con le stesse sonorità di "Dea Artio", con la differenza che qui appaiono dei tamburi tribali, il pezzo cresce lentamente e accelera con una progressione quasi impercettibile, ammaliandoci e tenendoci sospesi nell'etere: ma non facciamo in tempo a cadere in una rilassata trance, poiché l'idillio si interrompe bruscamente e gli strumenti approfittano del nostro calo della guardia, colpendoci con un altro assalto parossistico e graffiante. La cosa strana è che nemmeno nei momenti più duri e veloci il gruppo riesce a dare quella sensazione di cattiveria latente che ci si aspetterebbe da un gruppo black: a mio parere ci vuole una certa maestria per muoversi così bene in bilico tra generi diversi, senza risultare pacchiano. A fare casino con un blast beat e una chitarra in tremolo sono capaci tutti: pochi invece sono capaci di usare gli stessi elementi per suggerire immagini oniriche e fantastiche.

Chiude il cerchio la lunghissima "I Will Lay My Bones Among The Rocks And Roots", dal titolo affascinante e poetico, come fosse un testamento spirituale. In questo brano conclusivo, il più vicino alle sonorità di "Diadem Of 12 Stars" e per certi versi affine anche a certe atmosfere degli Agalloch, troviamo un po' di tutto: tristi arpeggi e sezioni prive di distorsioni, furia degli elementi, riff marziali e severi che acquisiscono maggiore complessità, momenti melodici da pelle d'oca e un finale solenne e memorabile. Trovare le parole per descrivere accuratamente la musica dei Wolves In The Throne Room è piuttosto complicato: posso solo dire che molto probabilmente "Two Hunters" è il loro lavoro più riuscito, a pari merito con "Diadem Of 12 Stars". Un disco che afferra alla gola, ma con gentilezza e garbo: e alla fine la sensazione, più che quella di essere stati malmenati, sarà quella di essere stati circuiti e risucchiati in un purgatorio incantato, che si affaccia contemporaneamente su paradiso e inferno. Sta a voi scegliere da che lato vedere questa superba musica.

Una curiosità: la versione in vinile mostra una tracklist significativamente differente, che porta il minutaggio originale (46 minuti) a ben 68 minuti. "Cleansing" viene allungata di cinque minuti aggiungendole una parte introduttiva inedita, e in chiusura compare addirittura un brano di quasi diciassette minuti, "To Reveal".

01 - Dea Artio (5:58)
02 - Vastness And Sorrow (12:12)
03 - Cleansing (9:55)
04 - I Will Lay My Bones Among The Rocks And Roots (18:16)