Kunsthauch, 2009 |
Se qualcuno di voi ha mai sperimentato i quaranta gradi sotto zero, difficilmente si è dimenticato di ciò che una tale temperatura lascia sul fisico e sulla psiche. Le lacrime si congelano e si possono asportare dalle congiuntive con facilità; ogni respiro troppo profondo gela i polmoni e procura colpi di tosse; non ci si può mai fermare per più di qualche minuto, altrimenti il gelo aggredisce le membra e le fa diventare prima rosso fuoco, poi bianco latteo, fno a quando smettono di far male e iniziano a perdere sensibilità. Queste sensazioni sono inebrianti, anche se spiacevoli: il freddo è un qualcosa di atavico, primordiale, una delle sensazioni più pure che si possano provare, come il dolore, la gioia, il caldo e la sofferenza animica. La sensazione di freddo è ciò che i russi All The Cold ci propongono di farci provare sulla pelle con il loro best - of "One Year Of Cold", raccolta di quasi tutti gli split album e dei demo prodotti finora dal duo. La band non è mai arrivata alla pubblicazione di un album ufficiale, ma possiamo considerare questo disco come il loro primo full - length, impreziosito anche da due bonus track poste in chiusura. Questo è anche il motivo per cui ho deciso di recensire questa uscita, dato che di solito tendo a non considerare le compilation, salvo casi particolari e interessanti come questo.
Se dovessi descrivere la musica degli All The Cold in modo spiccio, userei una sola parola: gelo. Tuttavia, questa è una recensione e devo essere più preciso: posso dunque dire che il duo suona una personalissima versione di depressive black, influenzato da Burzum (in particolare per quanto riguarda la componente ambient - elettronica), dai Nyktalgia (per le linee melodiche incisive e grondanti sangue), e perfino un po' dal neofolk, se preso alla lontana. "One Year Of Cold" ripercorre la carriera della band mantenendo sempre un comune denominatore, ma contemporaneamente differenziando i vari brani tra loro, a dimostrazione che il sound del gruppo è tutto meno che statico e prevedibile. A fronte delle varie sperimentazioni, i tratti distintivi rimangono la scarsità di linee vocali (molti brani sono interamente strumentali), i suoni riverberanti e freddi come la radiazione cosmica di fondo, l'incedere ipnotico e visionario in particolare delle tracce più lunghe e corpose. L'opener "Last Winter" inizia in una maniera che più raggelante non potrebbe essere, evocando le oscure profondità del cosmo e mettendoci quasi paura con le sue eccezionali stratificazioni chitarristiche, accoppiate a linee di tastiera che nella loro siderale distanza sanno stare esattamente al loro posto, coadiuvando alla perfezione i muri di distorsioni. Nel finale, tuttavia, il brano cambia radicalmente: una chitarra sconsolata e dolci note di pianoforte spostano il mood dal gelido all'epico, risultando quasi commoventi. Ed è solo l'inizio: "Through The Dead World" è se possibile ancora più raschiante e severa della precedente, tramite un giro di chitarra iniziale malevolo e sinistramente ripetitivo, nonchè una voce che non ha nulla di umano, talmente estrema e carica di effetti da risultare quasi inascoltabile (qualcuno conosce gli sconosciutissimi Frozenthia Depresis?). Ma una volta superata questa prima terrorizzante metà, ecco cambiare nuovamente le carte in tavola, grazie a linee melodiche affilate come coltelli, così meravigliosamente malinconiche e incisive da togliere il fiato. Il disco prosegue in maniera molto eterogenea: "Coldly To Heart" si distingue per un buon uso del sintetizzatore (in certi punti fa molto Blut Aus Nord, mi vengono in mente l'intro di "The Plain Of Ida" o "Rigsthula"), le chilometriche "New Day Without Me" e "Message Of Silent Space" sono due episodi ambient non meno gelidi dei brani basati sulle chitarre (che tuttavia compaiono nella seconda metà di "Message...", mentre i quattro brani conclusivi non sono fotocopie dei precedenti ma aggiungono ancora qualcosa: la bellissima, marziale ed evocativa "Last Sun Before Polar Night" potrebbe essere la perfetta colonna sonora per l'inizio della notte antartica, che dura mesi e mesi, senza possibilità di fuga; "1941 - 1944 Kola North War" ha un titolo che spiega già tutto, vale a dire la guerra nella penisola russa di Kola, combattuta al freddo e tra stenti immani; trattasi infatti di un brano più veloce e potente, dal sapore vagamente malato come ogni guerra è. Le due bonus track conclusive sono invece meno impenetrabili e più fruibili, grazie ad atmosfere meno opprimenti e all'uso di un pianoforte e di sintetizzatori che donano un po' di luce a questo mondo a -273,15 °C. Splendida, in particolare, la conclusiva e pacata "Kingdom Of Snow", totalmente basata su suoni sintetici: tre minuti che commuoveranno facilmente chi il freddo se lo sente dentro l'anima.
Non abbiate dunque paura di immergere il vostro io in questa ghiacciaia animica, perchè quando ci si trova a temperature polari, le percezioni cambiano e si scoprono nuovi aspetti di sè e del mondo, dei quali prima nemmeno si sospettava l'esistenza. Gli All The Cold sono qui per dimostrarcelo, e aspettano solo qualcuno che recepisca il loro messaggio. Mi auguro che una band così capace non passi inosservata, e che questa recensione possa spingervi a fare vostro questo piccolo ma lucente diamante di ghiaccio.
01 - Last Winter (8:36)
02 - Through The Dead World (7:33)
03 - Coldly To Heart (4:48)
04 - New Day Without Me (16:41)
05 - Message Of Silent Space (11:25)
06 - Last Sun Before Polar Night (4:42)
07 - 1941 - 1944 Kola North War (3:10)
08 - Nurman (Hymn Of Cold Northern Town) (Bonus) (7:22)
09 - Kingdom Of Snow (Bonus) (3:46)