Autoprodotto, 2002 |
Ho parlato molto male dell'ultimo lavoro dei Disarmonia Mundi, e anche adesso che è passato diverso tempo da quella recensione, non ho cambiato idea. Mentre insultavo quel polpettone privo di idee e pieno zeppo di manierismi, ho però citato quello che fu il primo lavoro della band torinese, e adesso mi è venuto in mente che non si rende giustizia ai Disarmonia Mundi se ci si limita a stroncare le loro obiettivamente pessime produzioni odierne. Bisogna anche ricordare questo piccolo, esaltante capolavoro che risponde al nome di "Nebularium", e che purtroppo è rimasto un unicum nel corso della loro evoluzione artistica.
Con la freschezza e l'entusiasmo tipici di un gruppo esordiente che si produce da solo i propri album, i ragazzi escono nel 2002 con questo primo full length che spiazza subito tutto e tutti con la sua eccezionale nitidezza sonora e con la sua capacità di giostrarsi tra più generi con una naturalezza che ha dell'incredibile. Death metal, sprazzi di progressive, melodia in dosi consistenti e mai banale, momenti di furia controbilanciati da sezioni più ragionate, per un lavoro che ricorda le sonorità di giganti quali gli Opeth, i Dark Tranquillity e in misura minore i connazionali Novembre. Otto tracce di fuoco, cariche di un'energia devastante e suonate divinamente se si pensa che i musicisti sono tutti esordienti, scorrono nel lettore trasmettendoci scosse telluriche e brividi d'emozione che non si lasciano tacitare facilmente, soprattutto quando partono certe formidabili fughe chitarristiche intrecciate, debitrici della migliore tradizione death melodico. Basta ascoltare la nervosa introduzione "Into D.M.", a cui fa seguito la possente "Blue Lake": un growl semplicemente fantastico si accoppia con una tempesta di riff piacevolissimi e ispirati, di quelli che catturano immediatamente l'attenzione grazie alla loro natura contemporaneamente fruibile e ricercata. Notevoli sono le parti ritmiche, fantasiosamente tecniche e mai prevedibili, con entrate di doppia cassa perfettamente bilanciate da rallentamenti strategici, con il risultato che la musica coinvolge in ogni singolo aspetto, e non per il suono di un unico strumento o della voce (perfettamente scissa tra growl e clean). Stupendi alcuni episodi come "Guilty Claims" e "Demiurgo", vere e proprie highlight del gruppo che purtroppo non sentiremo più da questo disco in poi: la prima è un malinconico assalto con sfumature progressive, momenti di geniale impazzimento strumentale ed epico refrain cantato in pulito, dove si raggiunge il massimo dell'emozione; la seconda, un mirabile esempio di come si possa unire il progressive al death in modo semplice ed efficacissimo, tramite un pezzo che pare quasi raccontare una storia, tra i suoi saliscendi che sfociano in un travolgente crescendo finale. Tutti i pezzi sono tuttavia degnissimi di nota, senza eccezioni: ognuno ha qualcosa da dire. "Burning Cells" è furia ragionata che si diverte poi a perdersi in terreni quasi glam rock, "Mechanichell" è irruenza allo stato puro condita da geniali linee melodiche, la title track "Nebularium" è puro sfogo delle velleità sperimentali dei musicisti, che si divertono a mischiare le influenze più disparate per creare un brano funambolico.
Non ho parole per descrivere lo sconcerto che ho provato quando, dopo il sufficiente "Fragments Of D-Generation", il gruppo si è perso in un'insipida autoclonazione del peggio del death melodico odierno, quello così tristemente inflazionato da potersi addirittura candidare a MTV. Mi piace ricordare i Disarmonia Mundi solo per quello che erano in questo disco: genuini, freschi, pieni di speranze e ricchi di idee, capaci di trasmettere qualcosa con la loro musica. Mi dispiace che poi, evidentemente, non vendevano nulla e hanno preferito scegliere altre strade: ma almeno un disco con i controcoglioni l'hanno fatto, eccome se l'hanno fatto.
01 - Into D.M. (3:06)
02 - Blue Lake (7:02)
03 - Mechanichell (5:02)
04 - Guilty Claims (7:15)
05 - Burning Cells (4:38)
06 - Demiurgo (7:07)
07 - Nebularium (7:07)
08 - Awakening (2:51)