Supernaul Music, 2005 |
Come si sa, il terzo disco è un momento importante nella storia di una band: gli ucraini Drudkh non hanno perso occasione di renderlo un elemento differenziato rispetto a quelli che furono i due precedenti capolavori, e nonostante questa uscita non riesca a bissare il successo e le magiche atmosfere dei primi due dischi, mostra una decisa evoluzione che lo rende molto interessante.
Non si può parlare di un disco dei Drudkh senza contestualizzarlo, citando gli altri lavori e analizzando le influenze e l'evoluzione che il gruppo ha affrontato. "The Swan Road", cantato esclusivamente in lingua madre, è quindi indissolubilmente legato a "Forgotten Legends" e "Autumn Aurora", di cui mantiene le atmosfere ma allo stesso tempo riesce a risultare non una mera fotocopia, bensì un qualcosa che è mutato profondamente e ci sorprende con il suo cambio di attitudine. I dischi precedenti erano un miscuglio di black metal e influenze neofolk, espresse da atmosfere autunnali e delicate, nonostante la spiccata ruvidezza delle linee vocali e chitarristiche; essi volevano esprimere l'intrinseca forza dei fenomeni naturali, anche i più apparentemente innocui come il ritmico cadere di una goccia su una pietra, gesto che nei millenni è in grado di scavare i massi più solidi. Sonorità grezze ma contemporaneamente gentili e posate, ritmiche possenti e rocciose, attitudine contemplativa e riflessiva: ma le carte in tavola vengono rimescolate con questo "The Swan Road", che fin da subito si mostra molto più diretto, elettrico, aggressivo e veloce. "1648" introduce l'opera con accordi carichi di sofferenza e tensione, musica certamente non felice, accompagnata da un sinistro scampanìo che lascia presagire qualcosa dietro l'angolo. Ecco infatti che "Eternal Sun" ci investe con una furia mai sentita prima d'ora in un album dei Drudkh, un blast beat ferocemente inarrestabile che ci lascia senza fiato. Quando il brano inizia a prendere forma definita, mostrando anche qualche interessante inserto acustico nascosto tra le fiumane distorte, capiamo subito che i Drudkh hanno voluto spingere sul pedale della drammaticità, abbandonando il sereno appagamento naturalistico di "Autumn Aurora" o le suggestioni arcane di "Forgotten Legends". Ciò si evince molto bene con il proseguire dell'ascolto: i brani sono tutti carichi di triste risentimento e di nostalgia, espressa da brani mai felici e mai appaganti come la triste "Blood", intessuta di sentimenti urticanti. La voce si è fatta più roca, trascinata, sicuramente più carica di dolore rispetto agli esordi. Il trio che segue, composto da "Glare of 1768", "The Price Of Freedom" e "Fate" rappresenta il momento in cui il disco trova il suo massimo compimento, destreggiandosi tra sporche e nervose muraglie di chitarra, inserti folkeggianti che hanno l'effetto di spezzare temporaneamente l'aggressività sonora, ritmi parossistici che improvvisamente cedono il posto a sezioni più riflessive e rassegnate, e momenti davvero emozionanti come la cavalcata di "Fate", giocata su un riff magico e su un assolo che affonda diritto nel cuore come una lama lucente e spietata. Mi lascia invece un po' perplesso la conclusiva "Song Of Such Destruction", poesia ucraina di Taras Schevchenko, musicata esclusivamente in veste folk: un esperimento che chiude l'album come una mosca bianca, non particolarmente interessante a dire il vero, ripetitiva e a tratti quasi irritante.
"The Swan Road" rappresenta dunque un capitolo importante nella storia del gruppo ucraino, mostrando un'evoluzione che poi verrà raccolta dai dischi successivi e più o meno perfezionata, tra i vari allontanamenti e riavvicinamenti allo stile originale, quello che li ha resi celebri. Non raggiunge la bellezza dei primi due dischi, ad oggi ancora insuperabili nella discografia della band, e forse nemmeno di quelli che seguiranno, come l'intenso "Blood In Our Wells" o il recente e splendido "Microcosmos": ma si tratta comunque di un album che gronda sentimento da ogni nota e che merita sicuramente di essere ascoltato, se non altro per l'impegno con cui il gruppo cerca di conciliare tradizione popolare e modernità sonora, riuscendoci con ottimi risultati.
01 - 1648 (1:40)
02 - Eternal Sun (7:42)
03 - Blood (9:04)
04 - Glare Of 1768 (5:58)
05 - The Price Of Freedom (8:13)
06 - Fate (6:41)
07 - Song Of Such Destruction (4:23)