Pagine utili del blog

martedì 21 maggio 2013

My Dying Bride - "Evinta"

Peaceville Records, 2011
I My Dying Bride, paradossalmente, sono una band che riesce a produrre dischi tanto più interessanti quanto più tali dischi si distaccano dal loro stile abituale. Per quanto il loro mood sia sempre stato abbastanza ispirato, e il loro doom - death di stampo decadente e romantico abbia fatto breccia nei cuori degli appassionati fino a costituire un marchio di fabbrica inossidabile, è nei dischi "diversi" dal solito che, a mio parere, la band ha sempre dato il meglio di sè. Il primo esempio che citerei è il contestatissimo e sottovalutato "34.788% ... Complete", disco che sperimentava liberamente nuove soluzioni andandole a pescare addirittura dall'elettronica, e che celava tante cose interessanti "tra le note"; ma potrei citare anche un capitolo come "Songs Of Darkness, Worlds Of Light", inaspettatamente cupo e malvagio e per questo motivo tremendamente affascinante, se confrontato con il classico sapore melodico e malinconico che conosciamo da dischi seppur di alto valore come "The Angel And The Dark River" o "Like Gods Of The Sun". Ci pensa però "Evinta" a guadagnarsi la palma di disco più particolare finora prodotto dalla Sposa Morente: per celebrare il proprio ventennio di attività, infatti, i musicisti britannici hanno deciso di comporre un doppio album completamente privo di growl, batteria e chitarre distorte, e popolato solo da archi, tastiere, cori, pianoforte, organo e dalla lamentevole voce di Aaron Stainthorpe, affiancata per l'occasione al talentuoso soprano francese Lucie Roche. Ma non finisce qui: il materiale contenuto in questo doppio album, infatti, è in parte una riedizione di materiale già presente nei vecchi dischi, omaggiato tramite le melodie che hanno reso immortale la band, le quali fanno saltuariamente capolino all'interno di brani che comunque possono definirsi inediti. Un tributo a sè stessi, una celebrazione delle proprie capacità di arrangiatori e un regalo ai fan: "Evinta" può essere visto sotto tutti questi tre aspetti.

Due dischi per un totale di un'ora e mezza di musica (se avete acquistato la versione limitata, c'è perfino un terzo disco bonus, sul quale però non mi dilungo, non avendolo ascoltato a sufficienza). Potrebbe sembrare un'impresa titanica ascoltarli tutti di fila, anche perché di metal qui non c'è assolutamente l'ombra e un fan storico potrebbe rimanere interdetto da un tale cambiamento di rotta, anche se si tratta di un capitolo isolato. "Evinta" si destreggia infatti tra atmosfere ariose ed estremamente dilatate, tra melodie a sviluppo lento pennellate da strumenti che mantengono un certo distacco gli uni dagli altri, andando a creare un'atmosfera molto rarefatta e sognante. La definizione di musica orchestrale o sinfonica, qui, è fuori luogo: gli strumenti spesso suonano uno per volta, e predomina il minimalismo, spesso portato all'estremo con note singole di pianoforte o di violino che galleggiano su uno sfondo vuoto, ma non per questo privo di vibrazioni di energia. La voce maschile è poco più che un accompagnamento, spesso parlato, che interviene con piccole pennellate qua e là; la voce femminile è molto più preponderante, forte di una grande drammaticità ed espressività, le doti che si richiedono ad un soprano. Echi di brani storici come "A Kiss To Remember" e "For My Fallen Angel" giungono come inaspettati e piacevolissime sorprese, non di rado emozionanti, all'interno di brani sempre ben costruiti, accomodanti e rilassanti nel loro fluire etereo, ma che sanno risvegliarsi anche per sezioni maestose e solenni, oppure epiche, un ottimo esempio delle quali è l'introduttiva "In Your Dark Pavillon", o la bellissima "The Distance, Busy With Shadows" (mirabile l'intreccio tra pianoforte e archi arrembanti) così come la spettacolare "And Then You Go", dove il soprano regala momenti di altissima emozione, nonchè una dimostrazione delle proprie capacità.

Il disco è abbastanza prolisso e forse un pochettino dispersivo, ma mostra comunque un filo conduttore interno che lo diversifica e caratterizza: ad esempio, il primo disco è più improntato alla melodia e alla raffinatezza compositiva, così come mostra un lato più cupo ("You Are Not The One Who Loves Me" e il suo pianoforte tenebroso), mentre il secondo disco incorpora più influenze ambient, calcando molto di più la mano sulla pura atmosfera (ascoltate per esempio la conclusiva e celestiale opera magna intitolata "A Hand Of Awful Rewards"). Una volta assimilato tutto il materiale presente, che non è poco, risulteranno più evidenti i cambi di rotta interni e il disco stesso diventerà meno ostico e più fruibile, fermo restando che è un disco estremamente concettuale e che va ascoltato solamente quando le condizioni ambientali, per così dire, lo consentono. Bisogna ascoltarlo molte volte, e con la giusta dedizione, passando sopra all'iniziale smarrimento, per apprezzare finalmente la bellezza di questo monumento musicale, che rifacendosi ai grandi classici dei My Dying Bride ma rivestendoli di una pelle completamente nuova e incastrandoli in nuove e vibranti composizioni rappresenta forse il disco più coraggioso e interessante mai partorito dal gruppo. I Dark Sanctuary incontrano i My Dying Bride, fondendosi assieme: mai un matrimonio fu più azzeccato.

CD 1

01 - In Your Dark Pavillon (10:03)
02 - You Are Not The One Who Loves Me (6:47)
03 - Of Lilies Bent With Tears (7:10)
04 - The Distance, Busy With Shadows (10:46)
05 - Of Sorry Eyes In March (10:34)

CD 2

01 - Vanitè Triomphante (12:21)
02 - That Dress And Summer Skin (9:38)
03 - And Then You Go (9:22)
04 - A Hand Of Handful Rewards (10:21)