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mercoledì 26 settembre 2012

Opeth - "Deliverance"

Music For Nations, 2002
"Deliverance" è un album che si sgancia dall’evoluzione stilistica che accompagna la decennale produzione degli Opeth. Un album difficile da descrivere perché il suono porta a evocare più stati d’animo che immagini o situazioni (anche se comunque nè gli uni nè le altre sono prevalenti). È un album che per questo motivo potrebbe essere definito più concettuale e puro, meno narrativo. Alcune caratteristiche che contraddistinguono i pezzi sono nettezza e decisione, assieme all’unitarietà della composizione. Un aggettivo inglese potrebbe essere bold. In una parola, è un album molto asciutto.

Dal punto di vista ritmico è molto serrato e ripetitivo, stordendo l’ascoltatore. Il pezzo "Deliverance" ne è l’esempio forse più chiaro, ma anche i tre minuti finali di "A Fair Judgement" rappresentano bene la cosa. Questa ritmicità è interrotta da alcune parti melodiche decisamente apprezzabili, circoscritte e opportunamente piazzate per essere uno sfalsamento rispetto al tono che le circonda. Unica eccezione da questo punto di vista è "A Fair Judgement", una bellissima canzone che si svincola da questa descrizione. Iniziamo proprio da questa. Per chi scrive è una delle preferite della produzione della band. Senza dubbio molto commovente, mette in note la delusione di qualcuno rifiutato e giudicato in modo ingiusto ma al contempo l’affermazione di un'immagine nuova e in cui ci si riconosce, passaggio ben udibile dal minuto 4:30 fino al 7:30, in cui penso che si esprima la vera forza di questa canzone. Qualcosa di simile non si sente frequentemente, nonostante sia qualcosa che credo appartenga a molte persone.

La title - track "Deliverance", invece, è di tutt’altra pasta. Coerente con la ritmicità serrata dell’intero album, ne è, come detto, il riferimento principale. Una canzone molto particolare, difficile da digerire al primo ascolto, poiché va a toccare note che solo raramente vengono vissute, ossia quelle della concentrazione, una concentrazione molto forte, al limite dell’alienazione. Una concentrazione serrata, probabilmente quella di un soldato impegnato in un'operazione così spaventosa da lasciare spazio solo alla fredda esecuzione di un piano al quale si affida, giocandosi il tutto per tutto in una lunga apnea con una vena ancora sensibile, impossibile da cancellare del tutto, di speranza, incredulità e temporanee emersioni di lucidità.

Come già in altri album, la cadenza atona riprende dopo una breve pausa, "For Absent Friends", con un pezzo nodoso e da masticare con forza, "Master’s Apprentices". In continuità parziale con "Deliverance", ne mantiene la rigidezza ritmica ma in una chiave diversa. "Master’s Apprentices" è decisione e non più concentrazione. Ha in se più forza e animosità rispetto alla precedente, un’animosità lenta come quella di chi è impegnato in qualcosa di difficile, tortuoso, impegnativo ma ugualmente importante. Esprime anche quanto questo percorso non sia eroico ma faticoso, brutto. Il finale premia questa fatica: la trama e l’ordito finalmente non sono più un intreccio privo di forma ma un abito con un animo.

È un disco difficile da recensire proprio per la sonorità molto razionale ed inquadrata, solo a tratti esercita una presa immediata su chi ascolta. Gli Opeth non suonano un genere allegro e spensierato, tuttavia questo album rappresenta una manifestazione diversa di tale attitudine, questa volta enigmatica e non narrativa. La paesaggistica è quasi del tutto assente dalle immagini che si potrebbero associare a questo disco, di fatti. Una riorganizzazione del codice usuale della band svedese.

01 - Wreath (11:12)
02 - Deliverance (13:38)
03 - A Fair Judgement (10:25)
04 - For Absent Friends (2:19)
05 - Master's Apprentices (10:34)
06 - By The Pain I See In Others (13:50)

lunedì 24 settembre 2012

Quiet In The Cave - "Tell Him He's Dead"

Autoprodotto, 2012
Ormai attivi da una decina d'anni, i Quiet In The Cave riuniscono nella loro musica un interessante mistura di post - core, industrial, black e doom metal nel tentativo di creare qualcosa di originale e coinvolgente, che renda la musica un'esperienza visionaria e ricca. Anche se ho sottomano solamente le poche canzoni di questo EP per rendermi conto se l'obiettivo sia stato centrato o meno, non posso che rimanere piacevolmente sorpreso dalla padronanza che il gruppo mostra di avere e della genuinità di una musica che afferra alla gola, ma con dolcezza, ragionando sempre sulla propria violenza e procedendo attraverso un riffing convincente e sufficientemente malato per essere ricordato.

Non seguono strutture lineari, i Quiet In The Cave; hanno la libertà compositiva di gruppi come i Neurosis, che si divertono a partorire le proprie insane composizioni in una quasi totale assenza di dettami e leggi, così da disorientare ancora di più il povero ascoltatore. I riff quadrati e possenti che la band sforna non danno mai troppo l'idea di staticità, perchè ci pensa tutto il resto ad arricchire i brani: numerosi stacchi ambient - atmosferici che suonano con un'inquietante sordina, alternanze convincenti delle linee vocali (a tratti growl raschiato e aspro, a tratti voce pulita melodica e corale ("Run Out"), fino a sorprese vere e proprie come il cantato "alla Arcturus" che troviamo in "The Dark Passenger" o nell'introduzione di "Measure". A tratti è impressionante la somiglianza della timbrica e dello stile di Garm!

Interessanti e sempre ben riuscite sono le evoluzioni della sezione ritmica, possessiva e pulsante; la musica tuttavia procede sempre a tentoni, senza mai rimanere troppo fossilizzata su un dato schema o una data progressione, preferendo spezzarsi e rinnovarsi di continuo tra ricami di basso, melodie di chitarra perfino romantiche e ottimi crescendo di tensione, che puntualmente esplodono in riff compressi e pesantemente distorti, in pieno stile post - core. Gli episodi tutto sommato "tranquilli" vengono bilanciati da una traccia realmente cupa e schizofrenica come "Monstro", che potrebbe tranquillamente accompagnare gli ultimi parossistici istanti di vita del mostro Terminator, dall'omonimo film. 

Il minutaggio non è elevato (ma neanche scarso), trattandosi appunto di un EP; tuttavia, questo dischetto colpisce per come è stato curato e strutturato bene, e per le grandi potenzialità che cela dietro le sue composizioni inquiete e ravananti in un abisso di follia che aspetta solo di essere indagato. Questi ragazzi ci sanno fare, date loro una possibilità.

01 - The Dark Passenger (6:11)
02 - Run Out (4:18)
03 - Measure (6:09)
04 - Monstro (3:45)
05 - Lose (6:04)

mercoledì 12 settembre 2012

As Light Dies - "A Step Through The Reflection"

Mondongo Canibale Records, 2007
Presentazione: Cosa ci si può aspettare dalla musica spagnola? Cosa ci si può aspettare dalla Spagna, una terra di persone ilari e festose che danzano a ritmo di latino – forse non è un caso se essa in ambito metal ha prodotto finora abbastanza poco. Eppure questa visione festaiola comune così radicata del paese iberico non rende giustizia alla squisita desolazione delle sue brulle catene montuose, che ne costituiscono un'ampia fetta. Ed è proprio qui, da uno di questi altopiani spogli e aridi, che trae origine l'ispirazione degli As Light Dies. E chi sono costoro? Chi li conosce?

Stile: Supponete di non aver mai sentito niente di questa band, e inserite A Step Through The Reflection nel vostro stereo. Quali saranno i vostri pensieri ascoltando l'intro sinfonica? “Oh no, un'altra band symphonic-power con una donna che canta in gothic! Basta, per carità, non se ne può più!”. Lasciate passare l'intro, e poi aspettate che inizi il symphonic-power. “Ohibò...questo ritmo è molto Cynic...e questi riff sono molto Opeth! Ma c'è lo scream...no, aspetta! Questo è black metal! Black metal sul ritmo dei Cynic? No...è folk. Folk sinfonico? Anche folk acustico! Sinfonico, acustico, progressivo, con un pianoforte tutto gothic. Ora è di nuovo black! E queste voci clean maschili da dove saltano fuori?”. Per pensare tutto questo vi basteranno tre minuti. Ora rilassatevi, pensate che ne devono trascorrere ancora altri sessanta, mettetevi comodi in poltrona e godetevi il resto, senza chiedervi che cosa sia e chi vi ricordi. Scoprirete così che c'è ancora tanto di cui stupirsi, tra metal e musica classica, tra chitarre e violini, tra rabbia e soave fantasia. La band definisce il proprio stile Eclectic Mineral style: “Eclectic Mineral style definition is a sofisticated fusion of contemporary music, noisy atmospheric doom, math death metal, and post black metal together with folk and minimalism elements which would like to every avantgarde metal follower”. Niente di più azzeccato: se ad esempio la fantasiosa Weird, Imperfect Symmetry Of Creation è portatrice di una melodia fresca, pizzicata, assolutamente irresistibile, A Step Through The Reflection è un brano dai toni technical death e al tempo stesso dark gothic. E questo non è che un esempio. Tutto ciò che ha a che fare col metal estremo e col metal sinfonico, qui lo trovate. E dovendo legare insieme una tale mole di generi diversi, perché non fare un pesante uso di prog? Già, perché non farlo? E infatti è proprio ciò che hanno fatto gli As Light Dies. Alla luce di tutto ciò appare forse meno singolare il fatto che, su tredici tracce complessive, appena sette siano i brani veri e propri. Il resto è tutto uno sfumarsi di ponti strumentali in perfetta sintonia coi brani da cui si dipartono e con quelli a cui conducono.

Valutazione: Passare con una tale abilità dalla sinfonia di A Shine After A Thousand Years Of Darkness al death di The Temple, dalla luce di Weird, Imperfect Symmetry Of Creation al buio di Peering Through The Reflection e A Step Through The Reflection, per non parlare poi degli innumerevoli cambi di scenario interni a ciascun brano, è qualcosa di impagabile. Chiamatelo ecletcic mineral style, chiamatelo extreme prog metal, chiamatelo come volete; non fa differenza. Il songwriting che getta le fondamenta di questo disco è e rimane maestoso a prescindere dal nome con cui lo si etichetta, e i numerosi intermezzi musicali sono scritti con un'abilità mostruosa. Melodia e genialità compositiva unite in un fastoso sposalizio, e rimanere ammaliato nel presenziare alla cerimonia è una sensazione bellissima. Il prog può deliziarvi, oppure potete odiarlo, così come può piacervi o non piacervi il metal estremo; ma se vi piace la musica, non potete non amare questo disco. A Step Through The Reflection è un disco di musica estrema nella sua accezione più generale. Non è estremo per i blastbeats o per i riff assassini. No. E' estremo nel suo coraggioso sincretismo musicale, nel suo non conoscere limiti, nel suo connubio di influenze e sentimenti; è estremo nel suo essere capace di far vivere all'ascoltatore un'esperienza emotiva completa e appagante. Non c'è un mood preciso con cui poter affrontare un disco simile: la sua forza sta proprio nel far assaporare tutti i mood possibili, nel cogliere la complessità dell'animo umano, l'infinita complessità del suo cervello, tutte le sfaccettature del suo carattere, e nel saperle trasporre con coerenza in sessantasette minuti che non dimenticherete facilmente. Sessantasette minuti in grado di richiamare tante splendide emozioni diverse che vi parleranno di voi, delle vostre esperienze passate belle e brutte, di tutti i momenti che hanno caratterizzato la vostra vita e di quelli che la caratterizzeranno. Privarsi di una simile esperienza solo per una serie di pregiudizi sul prog sarebbe stupido, no?

Conclusione: Cosa è realmente estremo? Una cascata di riff e blastbeats senza sosta, tutta uguale, oppure un disco che ha il coraggio e l'ardore di proporre un tale mix di generi musicali? Domanda retorica, ma lascio ugualmente la risposta alla vostra soggettività. Io intanto mi gongolo rigirandomi tra le mani questo piccolo capolavoro e traggo un indescrivibile piacere dall'ascoltarlo e riascoltarlo, il piacere di chi ama la musica non soltanto nelle sue manifestazioni più immediate e superficiali, ma anche e soprattutto nel suo vero cuore pulsante fatto di composizioni geniali e variegate melodie.

01 - Crossing The Stygian Lake (03:29)
02 - Out Of The Cave (06:31)
03 - Imprisoned Forever (04:24)
04 - The Very Beginning (01:55)
05 - Weird, Imperfect Symmetry Of Creation (11:17)
06 - Peering Through The Reflection (01:29)
07 - A Step Through The Reflection (08:02)
08 - In Fairies Garden (08:00)
09 - A Shine After A Thousand Years Of Darkness (01:56)
10 - The Temple (07:09)
11 - Ode To A Dying Empire (01:18)
12 - The Scourge Of The Gods (03:02)
13 - The Sinking Of Atlantis (08:19)