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domenica 31 ottobre 2010

Comatose Vigil - "Narcosis"

Solitude Productions, 2006
Piccolo ma significativo EP da parte di questo interessante gruppo russo, dedito ad un Funeral Doom Metal del filone più oscuro e pachidermico. Con il primo album "Not A Gleam Of Hope", il gruppo si era fatto notare per una spiccata attitudine alle sonorità cupe e oniriche, che come recita il loro stesso nome suggeriscono stati di coscienza alterati ed esperienze pre - morte. La trasposizione in musica del loro monicker avviene quasi alla perfezione: strutture dilatate, break atmosferici minimali, chitarre pesanti e oppressive, mostruosa lentezza dei brani. Il risultato è un impasto piuttosto difficile da digerire, rarefatto ma brutale. La voce da oltretomba, classico elemento del genere, non manca di inquietare nemmeno qui. Tuttavia, in questo "Narcosis" il suono si evolve, anche se non abbiamo grandi occasioni di approfondirlo: il dischetto consta infatti di una sola traccia, incisa due volte con l'unica differenza della lingua in cui è cantata (inglese e russo, ma non si distingue poi tanto, vista la quasi totale inintellegibilità del cantato growl), più una cover dei Crematory, carina ma un pò fuori luogo.

Veniamo ora ad analizzare l'unica traccia presente. "Narcosis" è un brano di oltre quindici minuti di durata, ben strutturato, caratterizzato da un riffing roccioso e da parti di tastiera stridenti e dissonanti, che evocano una sensazione di malessere quasi palpabile. Le tastiere acquistano maggiore importanza rispetto al loro album di debutto: a tratti diventano le protagoniste, specie nella parte finale, dove il carattere del brano si sposta addirittura verso la malinconia, non più verso la decadenza abissale. Segno che i ragazzi sanno bene come calibrare la loro musica, senza renderla mai troppo statica, pecca che si poteva contestare al loro debut album, molto ricco di atmosfera ma piuttosto povero di soluzioni stilistiche di rilievo. I Comatose Vigil non sono un gruppo molto produttivo, avendo all'attivo solo un album e un EP in un periodo di attività di sette anni, ma è la qualità che conta più che la quantità. Questo piccolo pezzo da collezionismo lascia presagire un buon futuro per questa promettente band. Restiamo in attesa del loro prossimo lavoro.

01 - Narcosis (English Version) (15:07)
02 - Narcosis (Russian Version) (15:07)
03 - Tears Of Time (Crematory cover) (6:38)

sabato 30 ottobre 2010

Raventale - "Long Passed Days"

BadMoodMan Music, 2008
Le one - man band stanno prendendo sempre più piede, forse perchè in questo mondo odierno è sempre più difficile andare d'accordo. Nello specifico, si tratta di gruppi musicali che in realtà non sono un vero e proprio gruppo, poichè è una sola persona ad occuparsi di tutto: l'unico componente suona tutti gli strumenti, cura la produzione e il mixaggio, e quando crea un disco ben fatto riesce sempre a suscitare notevole stima. Tutto il merito, infatti, va ad una persona sola, e se questa persona riesce a dare una continuità alla propria musica nel corso degli anni, pubblicando sempre ottimi dischi, allora la stima cresce ancora.


I Raventale sono un ottimo esponente di questo concetto, essendosi ormai creati un apprezzabile seguito di fan. Essi sono formati dalla mente e dal braccio di Astaroth, musicista ucraino che ci regala un particolare black - doom metal lento e posato, dalle chitarre molto distorte e dal timbro sporco, ma mai realmente aggressivo, anzi piuttosto meditativo e pensieroso. Musicalmente parlando, non si tratta di un album molto vario: i brani sono tutti dei mid - tempo, le strutture sono estremamente semplici, i ritmi mai troppo veloci, il disco intero scorre con una certa linearità. Quello che si avverte chiaramente lungo tutto l'album è un senso di rassegnazione progressiva, dettato dagli stanchi ritmi delle chitarre che proseguono caparbiamente la loro triste litania, che non per questo risulta necessariamente noiosa. L'uso del choir pad (gli eterei cori prodotti da un sintetizzatore) dona il tocco di classe in più che rende questo "Long Passed Days" molto evocativo e perfino rilassante, come se fosse un viaggio all'interno di un cielo grigio e spento.

"Of Days Long Past" è un ottimo esempio del suono Raventale, con il suo riffing insistente e decadente coadiuvato da un'atmosfera di sottofondo che quasi annulla i pensieri e fa viaggiare con la fantasia. Rispetto all'ottimo debutto "On A Crystal Swing", si nota che questo album è ancora più lento, rassegnato e ricco d'atmosfera, mentre il precedente disco possedeva atmosfere lievemente più epiche e melodie di più facile presa. In compenso la voce di Astaroth, perennemente in screaming acido, è ancora una volta quasi impalpabile, distante, in sordina, perennemente nascosta dietro i muri di chitarre. Tra brani freddi e distaccati, quasi ipnotici, spiccano alcune perle davvero emozionanti come la breve strumentale "Up And Beyond The Horizon (Both Like Birds)", tremendamente sognante nel suo incipit corale accompagnato dal suono di alcuni superbi corni francesi, e tristemente rassegnata nei suoi pochi accordi di chitarra che conducono per mano fino ad una dissolvenza sofferta, accompagnata da solenni note d'organo. Stranamente, questo piccolo gioiello strumentale funge da preludio alla mosca bianca dell'album, la cover di "Sunset Of Age" degli Anathema. Decisamente strana la scelta di posizionare la cover a metà del disco, ma il risultato è quanto mai buono: il suono ruvido e grezzo delle chitarre eguaglia magistralmente l'originale, senza togliergli nemmeno un pizzico del pathos che contraddistingue la canzone del gruppo inglese. Si cambia registro con "From The Black Wells Of Time", che rompe il muro di malinconia dell'album e regala l'unico momento vivace e solare registrabile nell'album, grazie ad un riff carico di speranza.

Ciò non toglie che "Long Passed Days" sia un disco triste, tendenzialmente ombroso e depressivo, molto enigmatico, scritto da un artista dotato di talento e classe, anche se alcuni aspetti del songwriting sarebbero migliorabili (cosa che tra l'altro succederà con le successive pubblicazioni). Un viaggio breve ma intenso nella malinconia, da gustare nota dopo nota durante le giornate più fredde e grigie della vostra esistenza.

01. By Gritting Of Pain (Nostalgia) (9:13)
02. Of Days Long Past (10:51)
03. Up And Beyond The Horizon (Both Like Birds) (3:27)
04. Sunset Of Age (Anathema cover) (8:25)
05. From The Black Wells Of Time (7:11)
06. My Silhouette Leaving Far Away (5:21)

Forest Stream - "The Crown Of Winter"

Candlelight Records, 2009
La Russia non è terra tradizionalmente legata alla musica Metal, ma anche nella nazione più grande del mondo è possibile trovare delle chicche davvero notevoli. I Forest Stream, gruppo proveniente dai dintorni di Mosca, non sono una band molto conosciuta: il loro primo album "Tears Of Mortal Solitude" ha goduto di una notorietà solo discreta, ma ha comunque impressionato gli amanti del genere per la qualità sopraffina delle composizioni e per la capacità di unire aggressività e melodia in modo sempre calibrato e sapiente, pescando a piene mani dalla tradizione doom e facendola propria in modo sopraffino. Una qualità difficile da trovare in un album d'esordio, anche se non sono poi così rari i casi in cui l'album di esordio può essere considerato il migliore della carriera di un gruppo. Pubblicato nel 2003, il loro primo lavoro è stato seguito da lunghi anni di silenzio, che avevano quasi fatto perdere le tracce del gruppo, ma ecco che nel 2009 i nostri si rifanno vivi con questo "The Crown Of Winter". Una gestazione così lunga impone sempre una certa trepidazione nell'ascolto: tutti questi anni di lavoro saranno stati spesi bene e avranno prodotto un album all'altezza del suo ottimo predecessore?

La risposta è indubbiamente sì. "The Crown Of Winter" è un album maturo, estremamente vario, che mescola con abilità generi quali il doom (debitore della prima scena inglese degli anni '90), black (ascoltate per esempio la furiosa "Bless You To Die", un vero pugno nello stomaco) e molta, molta atmosfera e melodia. Rispetto all'album di debutto si nota una maggiore cura dei dettagli e delle sfumature, un uso incrementato della voce pulita a discapito del growl e dello scream, una maggiore epicità di ogni composizione, che spesso richiama la durezza degli inverni russi, la magia, le atmosfere fantastiche e ultraterrene, le fiabe. L'ottima produzione mette in risalto le  suggestive armonie chitarristiche, unite all'onnipresente tappeto di tastiere, che donano a ogni composizione un'atmosfera onirica ed evocativa, ma nello stesso tempo mai pacchiana. Quando il metal si dota di tastiere, non è infrequente risultare fin troppo pomposi, ma non è il caso dei Forest Stream, che pure usando continuamente arrangiamenti orchestrali riescono a non scadere mai nel cattivo gusto. Non mancano i momenti irruenti e aggressivi, le sfuriate violente condite da una batteria sparata a mille, seguite poi da ottime parti solistiche di chitarra e accattivanti intermezzi dove domina la pura malinconia. Il robusto cantante passa agevolmente dal cantato growl alla voce pulita, riuscendo ottimamente in entrambi gli stili: la naturalezza vocale che sfodera è davvero pregevole e per certi versi il suo stile di canto ricorda molto la potenza immaginativa delle migliori musiche da film.

Il brano migliore del disco è sicuramente la title track, uno dei miei pezzi preferiti in assoluto, e che è anche il brano più lungo dell'album con i suoi 12 minuti di durata: mai come in questo pezzo i Forest Stream sono riusciti a creare un'ode all'inverno, alla neve, alle tempeste di ghiaccio e alla magia intrinseca delle stagioni fredde, grazie all'uso di note di pianoforte spostate sui toni sopracuti e alle meravigliose melodie di chitarra, che sfoderano una potenza sovrumana specialmente quando sono affiancate dalle sezioni di archi. Spettacolari sono qui le esplosioni chitarristiche alternate ai momenti più delicati e fiabeschi, nonché la prova vocale del cantante Sonm che canta quasi esclusivamente in voce pulita, lasciando il growl solo in alcuni, azzeccatissimi momenti. E dopo questo splendido inizio, il disco non accenna a calare: tutte le lunghissime composizioni sono pervase da un'anima propria e hanno sempre come denominatore comune un feeling epico e solenne, anche nei momenti più duri e veloci. Non c'è mai aggressività fine a se stessa, non c'è mai un passaggio ridondante, non c'è un brano che stoni nonostante la grande eterogeneità del disco. Per citarne uno, non posso rimanere indifferente ad "Autumn Dancers", composizione aggressiva e contemporaneamente avvolgente, dalle armonie vocali di assoluta bellezza. Ma non si può ignorare nemmeno la sorprendente "The Beautiful Nature", dalla struttura non convenzionale, sospesa tra passaggi maestosi e tristi parti recitate, che declamano l'insensatezza di un mondo di morti viventi, indifferenti alle meraviglie della natura e della vita. Risulta difficile includere i Forest Stream in un'etichetta predefinita. Segno che la loro musica riesce ad abbattere molti confini precostituiti. "The Crown Of Winter" è in definitiva un disco di caratura superiore, suonato con passione e abilità, ricco di colori e atmosfere invernali, che comunica sempre qualcosa di nuovo ad ogni ascolto e non stanca mai. Non posso fare altro che raccomandarlo vivamente!

White ships of mist are moored in the morning
The final taste of the sweet night wine
Tonight we've got to know the sorrow
And cold ghostly wind will take us all away at dawn
It'll carry the ashes
Back through the grieving night
Away from the brightening horizon
And on the wings of a doleful sigh
It will release them
Into the dazzling winter day...


01 - Intro (Feral Magic) (2:19)
02 - The Crown Of Winter (11:44)
03 - Mired (9:27)
04 - Bless You To Die (7:38)
05 - Autumn Dancers (8:40)
06 - The Seventh Symphony Of ...(9:05)
07 - The Beautiful Nature (9:24)
08 - Outro (My Awakening Dreamland) (1:38)