Pagine utili del blog

mercoledì 31 ottobre 2012

Raventale - "Transcendence"

BadMoodMan Music, 2012
Sul serio, io amo la BadMoodMan Music. Non ci posso fare niente, questa misconosciuta etichetta discografica non fa altro che stupirmi ogni anno che passa, regalandomi dischi memorabili, intensi, plasmati su misura per la mia sensibilità e per i miei gusti. Sembra quasi che questi instancabili scandagliatori dell'underground abbiano indovinato la ricetta perfetta per sfornare dischi portentosi e band validissime, come i Raventale e il loro ultimo lavoro "Transcendence". Il gruppo ucraino, composto unicamente dalla persona di Astaroth (che si occupa di suonare tutti gli strumenti e di produrre il disco), è stato protagonista di una lunga e costante evoluzione che lo ha portato al traguardo del sesto album in studio, e che soprattutto l'ha visto migliorare di album in album, oltre ogni aspettativa dei fan e della critica. Con l'ultimo, raggelante e bellissimo "Bringer Of Heartsore" sembrava che ormai la vetta artistica e compositiva del musicista fosse stata raggiunta e che fosse stato detto tutto quello che c'era da dire: i sublimi intrecci strumentali e le toccanti atmosfere lasciavano intendere che molto probabilmente il nostro Astaroth non sarebbe più riuscito a superare sè stesso. Errore: questo nuovo "Transcendence" si presenta come una mazzata emotiva talmente potente da dare quasi le vertigini, superando ampiamente il suo già splendido predecessore e ponendosi su un nuovo livello artistico, che proietta i Raventale nella novità e nella ricerca di un suono ancora più corposo e travolgente del solito.

Prendete gli ombrosi Katatonia di "Brave Murder Day", aggiungeteci la feroce carica mistica dei Wolves In The Throne Room, venatela con un'attitudine riflessiva e malinconica, mescolate il tutto con una personalità forte e ben definita, ed eccolo qui, il nuovo capolavoro di Astaroth. Quattro brani che scorrono via come l'acqua di un torrente montano: 45 minuti di orgasmo emotivo, "trascendente" i normali confini della musica, in quanto qui si sconfina nell'esperienza mistica vera e propria, uno di quegli ascolti che ti staccano dal mondo terreno e ti fanno viaggiare fuori dal tempo e dallo spazio. Musica irruenta, arrembante, impetuosa come una colossale inondazione che travolge tutto: anime, spiriti, rocce millenarie, interi eoni di evoluzione. Le chitarre si sono avvicinate ancora di più allo stile black metal, che predomina nettamente in alcuni brani mentre in altri si mitiga per avvicinarsi quasi al post rock; mai il loro suono è stato così ricco e convincente, così avvolgente nel suo suadente e continuo ripetersi. I ritmi sono diventati ancora più serrati, parossistici, quasi senza respiro: un continuo martellare di bacchette che picchiano sulle corde dell'anima, insaziabilmente violentate con superba classe e con notevole fantasia (notare i cambi di ritmo, semplici ma geniali, che riescono a trasformare radicalmente l'incedere dei brani). "Transcendence" è un flusso di coscienza, o meglio di incoscienza, un sublime abbandono ad una seduta spiritica che fa volteggiare in un mondo oscuro, nebuloso, impalpabile nonostante la rocciosa durezza dei suoni. Le fredde tastiere ormai sono ridotte all'osso e compaiono di rado, sottolineando efficacemente i momenti di massima vetta emozionale del disco, quelli in cui tutti gli strumenti vociano all'unisono per regalarci il compimento dell'opera di trascendenza spirituale. Ma è un compimento solo apparente: la tensione non si risolve mai, i segreti non vengono mai svelati, la visionaria e medianica outro della conclusiva "Transcendence" ci lascia spaesati, attoniti, muti davanti a tale dimostrazione di quanto un semplice brano musicale possa arrivare in profondità dentro l'anima. Ma come ho detto prima, non si tratta più di semplice musica: è pura ispirazione dello spirito, trasfigurata sottoforma di note distorte e martellanti, che nei loro saliscendi effettuano sulle nostre anime un totale sconquassamento.

Totalmente inutile è tentare di descrivere i brani uno per uno; ancora più inutile è estrapolarne delle singole sezioni e commentarle. Ogni accelerazione, ogni cambio di ritmo, ogni riff macinasassi, ogni sofferto assolo di chitarra (alcuni sono così espressivi da sembrare che parlino) riescono a stregarci fin dai primi ascolti. Con il suo ultimo lavoro, Astaroth viene da noi armato soltanto della sua semplicità, di quella contagiosa carica emotiva che può avere un bambino, il quale non ha paura di fare domande semplici ai propri genitori, e non comprende il motivo di tanto imbarazzo nelle risposte. La vera forza di questo album sta in questo, nella spontaneità di ogni singola nota, nell'aver messo da parte ogni inutile orpello, concentrandosi sulla pura sostanza. Vi accorgerete presto che le scure pozze di china lasciate dalle note di questo "Transcendence" vi macchieranno indelebilmente, e per quanto potrete affannarvi, non andranno più via. Lasciatevi macchiare nel profondo da questo vero e proprio capolavoro...

01 - Shine (10:38)
02 - Room Winter (11:18)
03 - Without Movement (10:11)
04 - Transcendence (13:13)

lunedì 29 ottobre 2012

Fading Waves - "The Sense Of Space"

Slow Burn Records, 2011
Una copertina dai toni rarefatti e sfumati, quasi impressionistici, è l'ideale per presentare la musica dei russi Fading Waves, gruppo formalmente composto da una sola persona, ma che in realtà conta diversi guest musicians nelle proprie fila. Qualche appassionato di musica di nicchia li aveva conosciuti con l'extended play uscito nel 2010, intitolato metaforicamente "Please Wait", e poi riproposto interamente anche nello split album con gli Starchitect; chi aveva ascoltato quel breve ma intenso caleidoscopio di suoni cangianti e di atmosfere dilatate e sognanti, non potrà negare che fosse suonato con una certa classe, anche se tendeva un po' a ricalcare le linee basilari del post - rock, appesantendo suoni e voci ma senza proporre nulla di realmente innovativo. Ma nel caso dei Fading Waves l'innovazione non è indispensabile, in quanto la musica compensa la sua mancanza di originalità con una qualità ampiamente sopra la media, con brani avvolgenti che assorbono completamente, con spire di sonorità talvolta gelide e talvolta roventi, che troviamo in versione ancora più interessante ed evoluta su questo nuovo album "The Sense Of Space". Solo cinque brani, per un totale di trentotto minuti: un disco che dura poco, ma che si fa ricordare. Un disco ideale da ascoltare nelle giornate nebbiose, quando si sta rintanati al chiuso davanti a un camino acceso, o mentre si aspetta di addormentarsi mentre un temporale infuria all'esterno, dilaniando il tetto di casa con miliardi di gocce indiavolate. 

Il primo brano "Air" è semplicemente un'introduzione di stampo ambient che ha il compito di preparare il terreno per i successivi quattro brani, i quali scendono raramente sotto i nove minuti di durata. Nemmeno con la successiva "Flashes" si capisce bene la direzione intrapresa dai Fading Waves, specialmente per chi ha ancora in mente l'irruento e drammatico attacco di "Megapolis Depression": ritmi tranquilli e sonorità dilatate si uniscono ad una leggiadra voce femminile che declama versi sottili come l'aria, creando un effetto squisitamente rilassante. Potremmo quasi credere che sia scomparsa la componente aggressiva dalle composizioni del gruppo, ma un crescendo dominato da un basso inquieto prepara all'esplosione del successivo brano, dove finalmente si svela l'arcano: ecco che con "Destroying The Time" arrivano seducenti muraglie di chitarre stratificate in più linee, un growl possente ma che rimane sempre in secondo piano e non si permette mai di sovrastare la fiumana di strumenti, melodie malinconiche e impregnate di pensieri tormentosi, note spezzettate in mille ripetizioni ipnotiche, sapienti accelerazioni e divagazioni ritmiche di stampo vagamente tribale. Come un bambino che, animato dalla curiosità della scoperta, getta tutti gli ingredienti della cucina in un unico recipiente e poi li mischia assieme per vedere cosa ne esce, i Fading Waves mischiano decine di ingredienti diversi, amalgamandoli però con maestria e tecnica, lavorando moltissimo sul mixaggio e sulla cesellatura dei suoni, senza però scadere nel difetto di risultare troppo puliti e scontati. Il risultato è, a mio parere, eccellente: "The Sense Of Space" forse non è uno di quei dischi che ti cambiano la vita, ma sicuramente è uno di quelli che si ascoltano dall'inizio alla fine senza aprire bocca, catturati dal turbinio emozionale al quale la musica dona vita.

Il resto del disco prosegue tutto sulle stesse coordinate, migliorando di pezzo in pezzo, passando dalla suggestiva epopea di magia in "Perforate The Sky" e arrivando fino all'esaltante ed epica conclusione di "Through The Veins". Quello che rimane dopo aver ascoltato questo disco è una sensazione di completezza: sembra di aver compiuto un viaggio della scoperta, di aver colto il senso di qualcosa che prima rimaneva irraggiungibile. Si fa presto a dire post metal: questa è pura ispirazione, un lavoro di cuore ma soprattutto di neuroni, soffice come un fiore nel vento e ruvido come uno spuntone di dolomia contorta. Rispetto al già ottimo "Please Wait", un deciso passo avanti che mostra tutta la debordante bravura di questa piccola grande one man band. Un perfetto esempio di come la musica moderna dovrebbe suonare per riuscire ancora a stupire e ad emozionare senza scadere nella banalità gratuita.

01 - Air (2:46)
02 - Flashes (9:27)
03 - Destroying The Time (8:13)
04 - Perforate The Sky (9:08)
05 - Through The Veins (9:01)

giovedì 11 ottobre 2012

PsyOpus - "Odd Senses"

Metal Blade Records, 2009
Presentazione: Tre zanzare placidamente posate su di un cranio vi penetrano la loro proboscide a forma di siringa, andando ad infettare il feto che vi alberga. Non potrebbe esserci immagine più criptica di questa per ritrarre la psiche umana: non so se si tratti di una figurazione della regressione inconscia allo stato infantile che ognuno di noi rischia dinnanzi alle molteplici frustrazioni della vita, o piuttosto di un mascherato messaggio di carattere sociale o politico che verte sulla manipolazione mentale a livello subliminale che subiamo da parte dei media. Ma una cosa è certa: ciò ci indica che gli PsyOpus sono tornati.

Stile: Odd Senses, tale è il titolo della loro nuova effige, è il terzo full-length dei tanto acclamati e ad un tempo criticati PsyOpus, e ascoltandolo potrete immediatamente constatare – per la vostra gioia o per il vostro acido irritato disappunto – che l’approccio musicale dei quattro non è cambiato di una virgola: ritroviamo infatti il loro caratteristico caos organizzato, superbamente prodotto, maturo e ultra-tecnico, che nel bene e nel male aveva stupito nei loro due lavori precedenti. Nevrotiche scale, rapide e dissonanti, furioso isterico grido dietro al microfono, il solito drumming quasi casuale, e il brulicante tappeto costituito dal basso. Ma gli PsyOpus non vogliono essere solo caos mentale e tecnica fine a sé stessa, e per dimostrarlo inseriscono sempre nei loro album una serie di accorgimenti particolari: compaiono alcune parti parlate, come i curiosi ipnotici collages di Boogeyman – che vogliano significare l'estesa comunanza delle paure che da bambini ci vengono inflitte? In Choker Chain invece tiene banco una voce femminile snervante che ripete all'infinito vari segmenti tipo “do you love me?” e “hug me!”, ripetizioni che si alternano ad un autentico caos strumentale isterico, una metafora musicale assolutamente geniale per ritrarre la stressante situazione psicologica precaria di un uomo di fronte al soffocante attaccamento della partner. Infine la conclusiva A Murder To Child in cui una placida chitarra alterna i suoi arpeggi ad un violino, nove eleganti minuti melodici che ricordano quel maestoso esperimento chiamato Siobhan's Song. Insomma, in Odd Senses c'è davvero tutto, ma proprio tutto, ciò che i fan degli PsyOpus adorano e che i loro detrattori non sopportano.

Valutazione: Visto che ormai gli PsyOpus si sono fatti un nome ed iniziano ad essere abbastanza conosciuti, viene spontaneo rispolverare il vecchio problema su come definire con esattezza il confine che separa la musica dal caos e dal rumore, e dunque chiedersi: è musica questa? E’ musica, oppure è soltanto un aborto schizoide che non ha ragion d’essere? Eh già, perché in fondo dove sono le melodie? Dove sono i ritornelli? Dove sono le atmosfere? O, più in generale: dove sono le canzoni? In effetti ascoltando Odd Senses sembra di trovarsi di fronte ad un garbuglio sonoro che tutto lascia fare fuorché farsi ascoltare, un garbuglio in cui le corde delle chitarre si contorcono frenetiche in preda alle convulsioni, in cui la batteria sembra sfogarsi a ruota libera, sfuriata dopo sfuriata senza alcun autocontrollo o schema, e in cui un tizio urla in modo raschiante probabilmente nell'intento di perdere la voce. Per alcuni potrebbe riuscire difficile persino determinare in quali punti precisi finisce un brano e ne inizia un altro. Questa è la selva oscura che si presenterà alle vostre orecchie se avrete l’ardire di cimentarvi nell’ascolto di Odd Senses. Ma in fondo la sottile perversione di questo tipo di musica consiste proprio nel portare la gente a domandarsi incredula: “Ma l’hanno fatto sul serio? Suonano davvero in questa maniera?”. Il fatto ben radicato nella tradizione popolare secondo il quale un brano debba avere un ritornello ben preciso o una melodia principale immediatamente distinguibile non è, a rigor di logica, altro che un luogo comune. Gli PsyOpus lo sanno, suonano consciamente al grido di “in barba a tutte queste sciocche convenzioni!”, e con la loro impronta di sana follia sono di più, molto di più. Gli PsyOpus rappresentano quell'odioso, genuino, impagabile lato della nostra mente che si ribella alle convenzioni e alle costrizioni, quell’impulso vitale che ci permette di non diventare uguali l’un l’altro come se ci clonassero, quell’impulso che ci porta a fare il contrario di ciò che ci viene detto e a cercare qualcosa di diverso da quanto ci è stato insegnato e conosciamo già, e magari a farlo con incoscienza e follia. Gli PsyOpus rappresentano questo, e lo rappresentano sotto forma di incarnazione musicale: sono degli irrimediabili schizofrenici che scompongono e smembrano la musica nelle sue componenti primarie per poi ricombinarle in modo apparentemente casuale, neanche si trattasse di un’immagine scomposta in pixel casuali - la musica degli PsyOpus sembra la conseguenza di un glitch nella musica cosiddetta “normale”, proprio come il comportamento folle e schizofrenico sembra conseguenza di un glitch dei complessi schemi di comportamento normali.

Conclusione: Alla fine di tutto questo peregrinare la domanda di cui sopra torna ad imporsi intatta: è musica questa? E’ musica, oppure è soltanto un aborto schizoide che non ha ragion d’essere? Come vale un po’ per l’arte tutta, la risposta sta negli occhi di chi guarda - in questo caso nelle orecchie di chi ascolta. Sarebbe assurdo avere la presunzione che un simile disco possa essere ascoltato da tutti, o anche solo da molti, così come sarebbe fuori luogo pretendere che questa proposta musicale venga compresa e come tale non etichettata come semplice aborto schizoide. Io posso solo dirmi felice di avere la fortuna e l'intraprendenza necessarie per riuscire ad apprezzarla, e Odd Senses non è che la terza dimostrazione di quanto adoro gli PsyOpus e di quanto sanno divertirmi ed affascinarmi, portandomi un po’ più vicino al lato oscuro e affascinante della psiche umana: quello della pazzia.

Curiosità: * Imogen's Puzzle Pt 3 è una versione alternativa della vecchia Imogen's Puzzle, brano del loro primo album Ideas Of Reference, versione che è poi stata ribaltata e quindi registrata al contrario. Una volta girato nuovamente il brano - su YouTube trovate una tale versione - lo si può ascoltare sovrapposto all'originale, un'esperienza acustica che consiglio a caldamente.

01 - .44 (00:53)
02 - Medusa (03:30)
03 - The Burning Halo (03:59)
04 - Duct Tape Smile (03:33)
05 - X and Y (03:42)
06 - Boogeyman (05:34)
07 - Imogen's Puzzle Part 3 (01:59)
08 - Choker Chain (02:49)
09 - Ms Shyflower (06:13)
10 - A Murder to Child (09:15)
11 - [Untitled] (20:34)

lunedì 8 ottobre 2012

PsyOpus - "Our Puzzling Encounters Considered"

Metal Blade Records, 2007
Presentazione: Fortunatamente nel nostro ordinamento la violenza sessuale è un reato grave, pesantemente perseguibile - quantomeno lo è dal punto di vista teorico ed ufficiale, al di là delle discutibili sentenze di certi giudici. Altrettanto fortunatamente la violenza sessuale non è reato se commessa sugli strumenti musicali: fu grazie a questo permissivismo che nacquero gli PsyOpus – non riesco ad immaginare una storia più plausibile per dipingere il loro approccio agli strumenti musicali. Il combo americano debuttò tre anni prima nel 2004 con un disco particolarissimo, tale Ideas Of Reference, sfoggiando uno stile gravemente schizofrenico che rasentava l'assurdo. Ciò gli valse un notevole apprezzamento, tanto che la Metal Blade ha deciso di promuoverli prelevandoli dalla Black Market Activities, etichetta della quale è distributrice. Nel 2007 siamo giunti al varco: il risultato di questa collaborazione si chiama Our Puzzling Encounters Considered. Che si può dire della Metal Blade? Scelta saggia o avventata?

Stile: Chitarra elettrica fuori controllo, batteria fuori controllo, a tutta prima la musica degli PsyOpus sembra più un discorso per libere associazioni che non un'argomentazione che segue un filo logico, discorso che salta di palo in frasca a seconda della prima cosa che viene in mente. Questa è la musica che Chris Arp e soci hanno proposto fin dall'inizio, e, per quanto ciò possa essere possibile, Our Puzzling Encounters Considered è ancora più aggrovigliato, schizofrenico e incontenibile dello scioccante esordio Ideas Of Reference. Gli PsyOpus si confermano una band che sembra maltrattare e seviziare gli strumenti musicali di cui si serve, i quali sembrano gemere e cercare aiuto come se fossero veramente in prossimità di essere violentati. I disperati gemiti che emettono vanno a comporre una musica veloce come la luce e tirata all'estremo come poche altre, piena zeppa di stoppate ed immediate ripartenze, formata da un'infinità di scale di chitarra che si attorcigliano una sull'altra come un piatto di tagliatelle condito con sangue e vasi arteriosi. Più che un puzzle quest'album è un autentico cubo di Rubik, un perfetto cubo di Rubik musicale.

Valutazione: Potrebbe essere una banalità dire che valutare un disco come questo non è facile, o forse in fondo non lo è. Io sono uno di quelli a cui Ideas Of Reference è piaciuto molto, ma onestamente ad apprezzare questo secondo disco ho impiegato parecchio tempo. Il fatto è che in alcuni punti gli PsyOpus eccedono oltre ogni livello con la schizofrenia, punti in cui sembra perdersi ogni tipo di filo conduttore, e venirne a capo non è per nulla facile. Ma alla fine ne vale davvero la pena, perché il caos di Our Puzzling Encounters Considered è un caos che contiene aggrovigliate tra loro tante emozioni tutte da scoprire e da vivere. Se però pensate che gli PsyOpus suonino unicamente al fine di mostrare a tutti la loro sconfinata abilità strumentale, e che non abbiano altro fine se non quello di divertirsi a colpi di tecnica, vi sbagliate di grosso, e Our Puzzling Encounters Considered ve lo dimostra senza possibilità di appello: dopo i primi quattro ottimi brani arrivano i pezzi prelibati, con Insects e Kill Us che costituiscono probabilmente i due pezzi migliori che la band abbia mai scritto e suonato. 100% PsyOpus, e con un sacco di sfumature melodiche geniali da scoprire lentamente, estrapolandole dal marasma più stupendo che io abbia mai sentito. Ma non solo marasma, perché a stupire ci si mette anche Imogen's Puzzle pt. 2, un pezzo dalla melodia pacata e tracotante a un tempo, semplicemente irresistibile. E se ancora non siete convinti della qualità di questo disco, aspettate di sentire il capolavoro Siobhan's Song: una composizione intricata e rilassante di rara bellezza e ineguagliabile dolcezza, una soave complessa brezza mattutina che accarezza le guance di chi vi si lascia cullare, e che porta in seno mille echi lontani. Una simile attitudine melodica è garante del fatto che gli PsyOpus non hanno in mente solo di sfogarsi bruciando tutta l’adrenalina che gli circola nelle vene, ma il loro intento è quello di proporre qualcosa di realmente costruttivo, seppur mediante una forma di distruzione.

Conclusione: Our Puzzling Encounters Considered è un disco che supera sotto ogni punto di vista il già eccellente esordio Ideas Of Reference: lo supera come estremismo musicale, come caos, come maturità artistica, come momenti melodici, come sensazioni. Ancora una volta una mossa azzeccata da parte della Metal Blade, che al di là di qualche artista fin troppo scontato e commerciale presenta un roster ricco di grandi intuizioni. Gli PsyOpus sono una di queste, probabilmente né la prima né l'ultima, e Our Puzzling Encounters Considered è quello che col senno di poi posso definire il mio disco preferito della band, nonché uno dei migliori che la casa americana abbia mai prodotto.

01 - The Pig Keeper's Daughter (03:34)
02 - 2 (04:00)
03 - Scissor Fuck Paper Doll (03:36)
04 - Whore Meet Liar (01:54)
05 - Insects (03:16)
06 - Imogen's Puzzle pt. 2 (04:25)
07 - Play Some Skynyrd (00:32)
08 - Kill Us (04:52)
09 - Siobhan's Song (06:43)
10 - Happy Valentine's Day (03:11)
11 - Our Puzzling Encounters Considered (01:55)
12 - Untitled Track (00:06)
13 - Untitled Track (27:54)

sabato 6 ottobre 2012

The Howling Void - "The Womb Beyond The World"

Solitude Productions, 2012
La notizia che è uscito il nuovo album dei The Howling Void probabilmente lascerà indifferenti molte persone, ma non certo chi apprezza il funeral doom, e soprattutto chi ha vissuto con intensità e passione i precedenti lavori della one man band statunitense. Chi come me aspettava questo album con ansia e partecipazione, troverà pane per i suoi denti: ancora una volta il nostro Ryan è riuscito a infondere nella sua musica una calibrata ed efficacissima mistura di atmosfere lugubri, attitudine sognante e devastante potenza delle muraglie di suono sprigionate, aggiungendoci alcune piccole novità che mostrano anche l'avvenuta evoluzione artistica della band. 

"The Womb Beyond The World" (il quale doveva originariamente chiamarsi "Lightless Depths", ma il cui titolo fu cambiato per motivi legati alla casa discografica) contiene quattro nuovi brani sfiancanti, poderosamente monolitici e quadrati, dominati dalle ormai caratteristiche stratificazioni di tastiere e da un suono di chitarra meravigliosamente ruvido e sfilacciato, come se Ryan avesse voluto far suonare il proprio strumento come un violoncello dall'archetto rovinato. Le funeree campane a morto, le plurime voci corali sintetizzate e i rintocchi di batteria catacombali non mancano di impreziosire il pesantissimo incedere dei brani, mentre la profonda voce growl assume stavolta un ruolo molto gregario, comparendo di rado e solo per pochi versi: è infatti sufficiente aprire la custodia per rendersi conto che i tre brani principali hanno testi di due righe, mentre il quarto brano è completamente strumentale. L'album non ha più i connotati vagamente psichedelici di "Megaliths Of The Abyss", e nemmeno suona maestoso e rilassante come il successivo "Shadows Over The Cosmos"; stavolta a predominare è un senso di tetra disperazione, un lamento funebre di portata molto superiore a ciò che eravamo abituati a sentire dalla band. Solo con l'ultimo, liberatorio inno strumentale "Eleleth", giocato su quattro accordi ripetuti per otto minuti in veste via via leggermente diversa, il suono diventa meno opprimente; i primi tre brani invece danno sfogo a tutte le velleità oscure di Ryan, che questa volta ha davvero superato sè stesso in quanto a capacità di trasporre in musica le emozioni più nere che un essere umano possa provare. I brani passano con maestria da alcuni momenti veramente horror ("The Womb Beyond The World") a sprazzi di malinconia dal respiro quasi epico ("Lightless Depths"), passando per stupendi intermezzi ambient che ammaliano con la loro bellezza imponente. Il denominatore comune rimane però un'accentuata vena tenebrosa, che rende questo disco una tela nerissima, sapientemente dipinta di scure variazioni di grigio.

Come nei precedenti album, anche in questo caso il songwriting è piuttosto insignificante: i brani si basano su pochissime note che vengono ripetute molte volte (anche se condite da elementi sempre differenti), e i brani non ricercano uno sviluppo, nè una costante progressione. Si torna spesso sui sentieri già battuti, e spesso ciò accade proprio quando ci si aspetterebbe un qualche cambiamento: sono convinto che questa sia una scelta fatta da Ryan con cognizione di causa, per renderci partecipi delle sue emozioni immobili e asfissianti. Non posso classificare questo aspetto come un difetto, dato che mai i The Howling Void hanno voluto puntare sulla composizione in sens stretto; essi preferiscono una lubrica immobilità di intenti, un crogiolarsi nel pozzo dei dannati, come se i sessanta minuti del disco fossero una messa nera dall'eleganza sopraffina.

Soffocante, granitico e suadente: così definirei in tre parole l'oscuro calderone di suoni che risponde al nome di The Womb Beyond The World. I fan della band sono già corsi a comprarlo, per cui è superfluo ogni mio commento: a tutti gli altri consiglio di provare questa band e questo disco solo se sono in vena di emozioni forti, e non necessariamente positive ed edificanti.

Un lavoro notevole.

01 - The Womb Beyond The World (14:19)
02 - The Silence Of Centuries End (18:14)
03 - Lightless Depths (18:15)
04 - Eleleth (8:35)