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lunedì 11 marzo 2013

The Howling Void - "Runa"

Autoprodotto, 2013
Lo scopo degli extended play, normalmente, è quello di introdurre novità nel proprio sound e di sottoporle al pubblico per vedere com'è la reazione del medesimo. Se il pubblico apprezza, generalmente si continua su quella via: se invece si mostra per la maggior parte perplesso, si potrà sempre dire che "era solo un esperimento", tornando poi ai propri canoni oppure tentando altre strade. L'americano Ryan e i suoi The Howling Void, con quest'ultima piccola release, esprimono alla perfezione questo concetto proponendo una musica che non mancherà di stupire sommamente tutti coloro che finora hanno apprezzato il funeral doom arioso, sinfonico e maestoso della band. Dirò di più: personalmente trovo difficile che qualcuno, perfino tra i fan storici della band, rimarrà deluso da un dischetto di indubbia qualità come "Runa".

La storia di questo piccolo album, per ora disponibile solamente in streaming ma in dirittura d'arrivo per la Solitude Productions, è abbastanza travagliata: più volte Ryan ha distrutto e ricostruito i propri intenti e le proprie partiture, in manifesta crisi d'ispirazione, fino a quando la musa si è rifatta viva e si è concretizzata nei due brani che compongono "Runa". La svolta preannunciata sarebbe stata quella di contaminare il funeral doom con la musica folk (avete capito bene!), e per quanto possa sembrare strano, pare che il nostro artista ce l'abbia fatta, anche se il suo concetto di musica folk è indubbiamente molto personale, certamente lontano da quello che è il folk tradizionale. "Runa" si discosta significativamente da tutte le produzioni targate The Howling Void, accentuando la vena epica che per certi versi li accosta addirittura ai Moonsorrow (ecco dove sta la svolta "folk"!), e inanellando una serie impressionante di differenze con i precedenti dischi: sparisce completamente il growl catacombale in favore di brani cantati in pulito da una voce sognante, sovente seminascosta tra l'impetuoso fiume strumentale; i ritmi accelerano e i brani diventano delle possenti e inarrestabili cavalcate, che trascinano volenti o nolenti in un vortice di energia pura; le atmosfere diventano ancora più sontuose e avvolgenti, le melodie e le tastiere di accompagnamento richiamano scenari leggendari e antichi, basandosi su storie tratte dalla mitologia norrena (entrambi i brani fanno riferimento al mitico Yggdrasil, il millenario Albero della Vita). Dimenticatevi quindi l'oscura compagine del debutto "Megaliths Of The Abyss", così come della cosmica epopea di "Shadows Over The Cosmos", e dimenticatevi soprattutto della svolta vagamente horror dell'ultimo "The Womb Beyond The World": se Ryan aveva in mente di cambiare le coordinate e di stupire i propri fan, mantenendo comunque il proprio marchio di fabbrica, ci è riuscito pienamente. Per quanto "Runa" si discosti dai lavori precedenti, infatti, mantiene sempre quel timbro "Made In The Howling Void" che non tradisce mai: le strutture ridondanti e ipnotiche, la semplice efficacia delle linee melodiche, l'ottimo utilizzo della gamma di suoni ed effetti (tremoli, sovraincisioni, in questo caso addirittura la doppia cassa...) che, opportunamente sfruttati, costituiscono da sempre uno dei principali punti di forza del gruppo. L'ossatura è rimasta la stessa, ma si è rivestita di una pelle completamente nuova.

Chi ha sempre criticato i The Howling Void per la loro staticità compositiva, qui dovrà ricredersi: nonostante anche stavolta non si tratti di musica trascendentale, è talmente ben fatta che non riconoscerlo sarebbe un delitto. Ma oltre ad essere ben fatta, è anche coraggiosa, esaltante nella sua freschezza e nella sua ventata di novità. Certamente, si tratta di soli diciassette minuti di musica, quindi non posso formulare giudizi di particolare importanza su un dischetto così breve: per giudicare in modo maturo la nuova direzione della band dovremo aspettare il prossimo album in studio, che sarà una prova del nove. Ma  la curiosità a questo punto non può che essere elevata, viste le ottime premesse. Per ora godiamoci questo succulento bocconcino, un goloso antipasto per un futuro che sono sicuro ci riserverà ancora abbondanti e genuine emozioni.

01 - Irminsûl (10:15)
02 - Nine Nights (7:24)

mercoledì 6 marzo 2013

October Falls - "Tuoni"

Autoprodotto, 2003
Distorsioni e ritmiche potenti, nonostante il loro immenso fascino, ogni tanto stancano. In certi momenti si sente l'esigenza di un disco che non impatti sulle nostre anime con violenza, ma che ci culli semplicemente in un vellutato abbraccio di note semplici e delicate, che scivolano via carezzevoli e tranquille. Un dischetto come questo "Tuoni", primo vagito discografico dei finlandesi October Falls, è perfetto per questo genere di momenti: con il suo tripudio acustico è un disco che prende per mano e conduce in un pianeggiante sentiero boschivo, dove regna il silenzio e la pace.

Pochissimi elementi, nessun tipo di cantato, strumentazione interamente acustica per tutti i suoi ventiquattro minuti; "Tuoni" è tutto qui. Nei suoi solchi vive solo un'onnipresente chitarra acustica, talvolta accompagnata da un rado pianoforte e da qualche pennellata di flauti e archi, strumenti centellinati al punto da renderli quasi ininfluenti sul risultato finale. Ciò che offre questo breve viaggio silvestre è una continua cascata di note di chitarra gentili e pacate, quasi ipnotiche nel loro continuo fluire, note che hanno come unico scopo quello di mettere in contatto con l'elemento naturale per qualche decina di minuti. Bellissimo, direte? State già pregustando un nuovo capolavoro sulla scia di quel che fu l'immenso "Kveldssanger" degli Ulver? In tal caso frenate un pochettino, perché non stiamo parlando esattamente della stessa cosa. Per quanto "Tuoni" sia un disco piacevole da ascoltare e anche da riascoltare nel momento in cui si sente il bisogno di far riposare un po' le orecchie e la psiche, è un dischetto abbastanza monotono e poco diversificato al suo interno, con questa chitarra che non smette mai di arpeggiare senza variare nè il timbro, nè la velocità, nè l'intensità del suono. Pochissime variazioni degli accordi principali, pochissimi guizzi melodici, in sostanza poco contenuto musicale in senso stretto. Solo tanta atmosfera e tante note fini a sè stesse, che raggiungono il loro scopo di avvolgere e cullare ma non sono quasi mai strutturate con un senso logico o con una precisa finalità d'intenti.

"Tuoni" è un ottimo disco da usare come sottofondo, magari mentre si passeggia nel bosco per rilassare l'anima dopo una giornata faticosa, ma se messo a nudo non offre nulla di indimenticabile, solo un suadente substrato malinconico e introspettivo che può accompagnare circostanze particolari, ma che non possiede alcun elemento che lo faccia brillare di luce propria. Tant'è vero che, una volta finito, si può notare come il disco ci abbia fatto passare dei piacevoli momenti, ma in sostanza non ci abbia lasciato dentro nulla di duraturo. Non è una colpa, è solo una naturale conseguenza della sua fattura: sappiate che questo disco è in grado di offrire solo questo, e in base a ciò fate la vostra scelta se acquistarlo o meno. In ogni caso, serve al suo scopo.

01 - The Quiet Shores (3:14)
02 - Usher (1:59)
03 - Tuoni (2:59)
04 - Harvest (1:46)
05 - Reefs (3:04)
06 - The Last Drift (2:28)
07 - As The Mist Unfolds (3:55)
08 - Epitaph (5:05)