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mercoledì 21 settembre 2011

The Howling Void - "Megaliths Of The Abyss"

Black Plague, 2009
"Megaliths Of The Abyss" è il primo album del progetto The Howling Void, monicker dietro il quale si cela la presenza di una sola persona, il tuttofare Ryan. Direttamente dal Texas, questo polistrumentista aggiunge un altro tassello alla propria discografia, che lo vede protagonista in numerose band, anche molto diverse tra loro in quanto a sonorità. Nel caso di questo nuovo progetto, Ryan decide di dedicarsi al funeral doom metal, che riesce a rielaborare in maniera sufficientemente personale, assorbendo la lezione dei grandi maestri del genere e producendo un disco che fa dell'atmosfera il proprio punto di forza, esaltandola a tal punto che le note quasi perdono di importanza. Andiamo a scoprire nel dettaglio cos'ha da offrirci questo "Megaliths Of The Abyss".

A livello compositivo, è difficile immaginarsi un album più semplice e diretto di questo, e ciò potrebbe inizialmente apparire in contrasto con la natura del Funeral Doom, genere piuttosto difficile da digerire a primo impatto. Come ogni album Funeral, infatti, questo "Megaliths Of The Abyss" si basa su tempi lenti, voce growl profonda e gutturale, atmosfere maledette e criptiche, suoni bassi e profondi. Tuttavia, l'estrema semplicità melodica delle composizioni  rende possibile fruire immediatamente del disco, anche se non si è avvezzi al genere. Contribuisce all'assimilazione precoce anche una generale ridondanza delle tracce, che presentano poche (anzi, pochissime) variazioni al loro interno e una struttura ben definita e ripetitiva. Questa potrebbe essere scambiata per banalità, ma io penso che sia semplicemente una scelta: Ryan ha voluto ipnotizzare con motivi oscuri e atmosfere lugubri, che si ripetono instancabilmente nel tentativo di soggiogare l'ascoltatore e fargli vivere un incubo. Nello specifico, Ryan vuole renderci partecipi di un oscuro rituale perpetrato nelle profondità degli abissi marini: il sound infatti richiama spesso l'acqua e l'oceano, in certi casi avvicinandosi perfino alle sonorità dei Fungoid Stream, altro gruppo funeral doom che ha molto a cuore le tematiche "acquatiche".

Utilizzando in maniera massiccia gli arrangiamenti di tastiera (in particolare i cori e il pianoforte, che è usato quasi sempre nel registro acuto e con note singole), Ryan tralascia lo sviluppo melodico / armonico e si concentra sull'impatto sonoro e sulle immagini evocate dalla musica, riuscendo comunque a risultare convincente grazie ad un'ottima produzione, ad un buon gusto per le atmosfere a metà tra il macabro e il sognante, e per la presenza di alcune parti melodiche degne di essere ricordate, per la loro suadente bellezza che si sposa alla perfezione con la semplicità (penso che tutto l'album sia basato al massimo su due, tre accordi, non di più). Ecco che quindi i brani riescono ad ammaliarci, uno per uno. La title track, asfissiante nel suo lento incedere, si risolleva nel drammatico e pomposo finale, accompagnata da lugubri rintocchi di campane che ci fanno sentire nel bel mezzo di un funerale. "Mollusk", il brano più "marino" del lotto, risulta perfino commovente grazie a melodie malinconiche, cori celestiali e ad un bellissimo tema portante, che ricorre con insistenza e che nel finale sfuma lentamente accompagnato dal suono di una pioggia torrenziale. "Ouroboros" vede il pianoforte assumere un ruolo maggiore, che rende il brano particolarmente sognante ed etereo, che ci regala alcuni momenti arpeggiati che ci fanno sentire al buio completo, sul fondo del mare. La conclusiva "A Name Writ In Water" è il brano più solenne del lotto, che vive su melodie lente e maestose, ai quali si aggiungono ancora una volta i rintocchi delle campane, tappeti di tastiere e sezioni corali che non abbandonano mai la scena. Anche qui, brevi sezioni arpeggiate hanno il compito di spezzare la tensione del brano e di prepararci ad un finale nel quale la chitarra solista prende finalmente possesso della melodia portante e chiude nel migliore dei modi l'album, lasciandoci la netta sensazione di aver viaggiato attraverso l'acqua profonda di un oceano sconosciuto. La durata complessiva non raggiunge i tre quarti d'ora, e a volte i riff vengono riciclati tra un brano e l'altro: qualsiasi cosa abbia voluto farci vivere Ryan, non ha scelto un'agonia lenta, ma piuttosto rapida in confonto a quella che troviamo sulla maggior parte dei dischi funeral doom.

Cosa dire, infine? Se cercate una band dal songwriting vario e sorprendente, o dalle capacità tecniche importanti, o ancora dall'originalità spiccata, non potrete trovare nulla di interessante nei The Howling Void. Noterete subito un livello compositivo elementare, una ripetitività accentuata e in sostanza non vi sembreranno nulla di particolare. I The Howling Void piaceranno invece a chi vuole perdersi nella musica, immaginando scenari fantastici e immedesimandosi totalmente nelle atmosfere, sospendendo il giudizio critico. L'album va considerato come un unico lungo brano, da ascoltare tutto d'un fiato con le luci spente e la mente pronta a viaggiare, e solo così il disco riuscirà a prendervi. In definitiva si tratta di un album controverso ma interessante, da vagliare bene prima di acquistare, ma che sa regalare soddisfazioni agli amanti di un certo tipo di musica.

Sostanzialmente promosso.

01 - Megaliths Of The Abyss (10:08)
02 - Mollusk (11:35)
03 - Ouroboros (9:12)
04 - A Name Writ In Water (12:58)