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sabato 4 giugno 2011

Khanate - "Khanate"

Southern Lord, 2001
L’uomo civile è diventato quello che è per merito dell’evoluzione, e all’interno di una cultura non può esserci evoluzione senza che qualche coraggioso metta in discussione le tradizioni e le certezze acquisite proponendo qualcosa di nuovo, che inizialmente può sembrare folle e ridicolo. Vale lo stesso concetto nel mondo musicale: i membri dei Khanate, pronuncia Kan-eight, sono tra quei coraggiosi che osano tradurre in gesta concrete le assurde intuizioni artistiche che forse per caso hanno avuto. Nessuno può dire a priori se queste intuizioni siano geniali o siano destinate a fare un buco nell’acqua; ciò che è certo è però che se non si prova a realizzarle non lo si saprà mai. I Khanate hanno deciso di provare: il risultato è quest’album omonimo.

Si tratta di una musica inqualificabile altamente sperimentale che ci parla un po’ di Drone Doom e un po’ di Sludge, scarna come la carcassa di una gazzella dopo il pasto di un branco di iene, minimale come un neon di Dan Flavin, distorta come le membra di un torturato sulla ruota. Lenti riff stridenti che si trascinano stancamente su di un ritmo sgangherato, claudicante, che sfregano l’uno contro l’altro procurandosi abrasioni e strappandosi brandelli, e quando tale carneficina ha fine si scivola in momenti più riflessivi dove i defunti riff lasciano spazio ad arpeggi lebbrosi ben supportati da una batteria rarefatta ma avvolgente. Ogni singolo tocco sui piatti sembra il frantumarsi di una parte di noi...e ogni brano è un fragoroso e cigolante cammino verso le profondità di qualcosa. La voce, un alternarsi di un urlo stridulo di isterica disperazione con un rauco sibilo, merita una menzione speciale per via del suo ruolo centrale e della sua estrema efficacia: chiara e straziante, si concentra sulla ripetizione di poche persuasive parole come ad esempio l’urlo perentorio “no joy!”, oppure la parola “choke” in Under Rotting Sky, parole emblematiche ed immaginifiche che imprimono con la forza della perseveranza il chiaro concetto di desolazione nella mente dell’ascoltatore. Questo disco sembra suonato passando le unghie su una lavagna. Probabilmente se si facesse un’indagine su un campione di metallari chiedendo che sensazioni suscita quest’album dopo il primo ascolto avremmo delle risposte del tipo: 67% indignazione, incredulità ed emicrania, 22% nausea e vomito, 7% irritazione cutanea, 3% emorroidi, 1% tutte le precedenti insieme. Khanate è un disco che inevitabilmente al primo ascolto spiazza e talvolta indigna realmente, ma è terribilmente immaginifico e psicologico: Pieces Of Quiet mi forza a figurarmi il funerale surreale di uno psichiatra celebrato da malati di mente in un’acciaieria, mentre all’inizio di Under Rotting Sky mi sembra di prendere parte ad una seduta spiritica in una discarica. Bisogna cercare di calarsi giù per i suoi irti pendii, lungo i suoi spiacevoli meandri per raggiungere le sue spinose viscere, e poi lasciare libera la propria mente: qui è lei che fa da padrona, sono le libere associazioni che ci trasportano tra le onde incatramate di Khanate. Vi assicuro che per coloro che avranno la perseveranza e la perversione di costruirsi una zattera e solcare tali onde esso si rivelerà qualcosa di unico e affascinante, e paradossalmente persino armonioso! E lo dico nel pieno possesso delle mie facoltà di intendere e di volere.

I Khanate ci propongono una musica dadaista, un’anti-musica, e questo loro disco è il nuovo orinatoio di Duchamp. Khanate, questa sacrilega ora di rumori metallici distorti, questo cumulo di lamiere e rifiuti, rinnega e distrugge tutto ciò che il Metal classico è stato fino ad oggi: qui non c’è alcuna scarica adrenalinica, la tensione non può fare altro che accumularsi senza trovare sfogo; qui non ci sono headbanging, ma solo una paralisi crescente; qui non c’è la possibilità di gridare la propria rabbia, si prova soltanto un’irrimediabile sensazione soffocante.

01 - Pieces Of Quiet (13:24)
02 - Skincoat (09:40)
03 - Torching Koroviev (03:37)
04 - Under Rotting Sky (18:17)
05 - No Joy (11:27)