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lunedì 19 marzo 2012

Ahab - "The Divinity Of Oceans"

Napalm Records, 2009
Centoquarantasette uomini ammassati su una zattera scalcagnata, abbandonata a sé stessa in balia delle onde. Non è poi così difficile immedesimarsi se si pensa che ciò è accaduto a causa di un naufragio di una comune nave. Onda dopo onda, potete udire il loro infrangersi...dapprima calmo contro la possente nave quando ancora eravate al sicuro, poi isterico contro le incerte assi di legno della zattera, ultimo baluardo che vi divide dalla morte. Il sole cocente, la disidratazione, la mancanza di provviste...poi col calar della notte le temperature si abbassano, e non vi rimane altro da fare che accalcarvi sulle sudice stanche membra degli altri lì con voi. Dovete rinunciare anche a quel minimo di spazio vitale...finché le persone in vita cominceranno a diminuire. E giacché lo spirito di sopravvivenza umano è forte e radicato arriverà il momento in cui, disperati, vi ciberete dei corpi esanimi dei vostri simili. Il resto lo lascio alla vostra immaginazione, vi basti sapere che dei centoquarantasette naufraghi iniziali i sopravvissuti furono appena tredici.

Questa è la terribile storia racchiusa nell’opera “La zattera della Medusa” di Géricault, questa è l’immagine con la quale scelgono di ripresentarsi gli Ahab nella difficile impresa di dare un seguito al loro debutto col botto. I tedeschi avevano infatti esordito nel 2006 addirittura per la Napalm Records, e l’avevano fatto con The Call Of The Wretched Sea, un autentico capolavoro che aveva lasciato di stucco chiunque ami il Funeral Doom e dintorni. Saranno riusciti a riconfermarsi ora che hanno pubblicato il loro secondo full-length?

Ad attenderci al varco di questo disco troviamo riff pazzeschi che paiono le lame macinanti di un tritacarne - vedi O Father Sea, Tombstone Carousal e Gnawing Bones - come anche tanta melodia di stampo unico, riconoscibile tra milioni, prima su tutte la fantastica Redemption Lost, per non parlare poi dell’outro di Nickerson's Theme, una chitarra melodica da vascello fantasma. Una volta assimilato tutto questo materiale, come possiamo rispondere alla domanda precedente? Gli Ahab sono riusciti a confermarsi? In tutta onestà devo dire che la risposta è no. No, non si sono riconfermati: si sono migliorati! Nonostante a quanto ho capito generalmente la gente preferisca di poco il disco d’esordio, io non posso esimermi dal venerare come fossero divinità le strutture di ogni singolo brano di The Divinity Of Oceans, ispirate, mature, ben costruite. Si è forse un po’ persa, è vero, quella raggelante pesantezza atmosferica di capolavori come The Hunt e The Sermon, ma al contempo la situazione si è evoluta nella direzione del genio compositivo di Old Thunder: le composizioni sono creative ed ispirate e si snodano in passaggi musicali eccelsi; nei momenti melodici gli Ahab tessono con encomiabile maestria fluttuanti arpeggi, e nei momenti più burrascosi macinano pesanti riff Death-oriented. A suggellare quanto di positivo ho detto finora ci pensa la cornice offertaci dal drumming migliore che io abbia mai sentito in ambito Funeral Doom, un drumming ispirato che invece che accompagnare stancamente le chitarre riesce a valorizzarle con personalità impeccabile. Cornelius Althammer è uno degli punti forti di questa band, e sono davvero felice che sia entrato a farne parte in pianta stabile. Parole di stima e congratulazioni s’han da spendere anche per la produzione: gli arpeggi hanno una sonorità tutta loro, oltre che ad essere singolari come stile, e il drumming basso e rimbombante dona un senso di ovattata dilatazione, come se il suono viaggiasse attraverso l’acqua invece che l’aria. A tutto ciò si aggiunge un growl abnorme che pare provenire dalle profondità dell’oceano. Sebbene ciò possa essere incredibile, vi garantisco che sembra davvero di essere in mare aperto, di avvertire le fluttuazioni della zattera, lo scricchiolio delle sue travi di legno, il ripetitivo placido splash dell’acqua contro le stesse: si percepisce la calma eterna del mare piatto e rilucente sotto la luna, che si alterna al mare grosso che si accanisce senza pietà contro l’imbarcazione con devastanti onde frangenti.

Ho cercato di essere il più oggettivo possibile nel descrivere questo disco, ma in tutta onestà dopo decine e decine di ascolti e dopo averlo assimilato completamente non sono riuscito a rinvenire nemmeno il più piccolo difetto. Gli Ahab sono una band che perpetra i suoi brani in melodie lunghe e ricercate e in lenti riff assassini, una band che ha delle idee del tutto personali e che sa trasporle in musica amalgamandole alla perfezione in un capolavoro di raffinatezza e ricercatezza, eleganza e magnificenza, confezionato in un sound che sa essere tanto poetico e minuziosamente miniato quanto pesante e ferale. Una musica che non ha certo dalla sua l’immediatezza: se centoquarantasette metallari scelti a caso si imbarcassero tutti assieme nell’impresa di sfidare questa divinità degli oceani non mi stupirei se solo tredici di essi sopravvivessero a tale impresa...ma state pur certi che questi tredici ringrazieranno di essercisi imbattuti.

01 - Yet Another Raft Of The Medusa (Pollard's Weakness) (12:40)
02 - The Divinity Of Oceans (11:03)
03 - O Father Sea (07:07)
04 - Redemption Lost (10:25)
05 - Tombstone Carousal (07:27)
06 - Gnawing Bones (Coffin's Lot) (10:48)
07 - Nickerson's Theme (08:06)