Pagine utili del blog

martedì 6 marzo 2012

Drudkh - "Blood In Our Wells"

Supernaul Music, 2006
Dopo la virata stilistica di "The Swan Road", il compito di stupire e affascinare i fan storici dei Drudkh tocca a questo nuovo disco, partorito nel giro di pochissimo tempo grazie ad un'evoluzione che la band ha affrontato con rapidità impressionante. Un'evoluzione che tuttavia c'è stata e c'è ancora, in quanto ogni nuovo album dei Drudkh è sempre diverso dal precedente, nonostante certe volte si ravvisi la volontà di tornare agli esordi, a quella magica commistione di black metal e neofolk che li ha resi famosi nel mondo underground. "Blood In Our Wells" è uno dei capisaldi della discografia della band ucraina, un disco che riesce finalmente a far rivivere le meravigliose sensazioni provocate dai primi due album, e lo fa con un'attitudine stavolta magniloquente e quasi cinematografica, come se stesse raccontando una storia. Atmosfere che si distaccano dalla velocità e tendono più all'epico; suoni meno incisivi e più corposi, rotondeggianti piuttosto che spigolosi; melodie di grande spessore e forza evocativa, che tengono con il fiato sospeso; tutti questi elementi contribuiscono a rendere questo quarto album uno dei migliori capitoli che la band abbia mai prodotto in tutta la sua prolifica storia, capace di reggere benissimo il confronto con un "Forgotten Legends". 

La breve introduzione folk "Nav" è solo un preludio, un'iniziale immagine di un villaggio popolato da gente semplice, che sta per essere sconvolto da una guerra, o da una calamità naturale, o comunque da un evento di grande portata storica. L'opener "Furrows Of Gods" è qui per dimostrarcelo: un incedere recitativo e marziale viene accompagnato magistralmente da linee di tastiera severe, che risaltano solamente nei momenti in cui le distorsioni tacciono in favore di azzeccati inserti acustici, mentre per il resto rimangono piuttosto nascoste dal muro creato dalle distorsioni e dalla potente batteria. Per minuti e minuti rimaniamo sugli stessi temi portanti, fino a quando l'ambientazione cambia e ci spostiamo in terreni ancora più desolati e avvizziti, mentre il villaggio ormai sta iniziando ad andare in malora. La successiva "When The Flame Turns To Ashes" è la perfetta rappresentazione della morte di qualcosa, che lentamente si sfalda e diventa cenere: anche questo è un brano intensamente scenografico, che evoca battaglie ed epici racconti tramandati oralmente da generazioni. Ancora una volta, sono le linee di tastiera a rendere speciale questo lavoro, poiché gli donano quel tocco di classe evocativa che dà l'anima al disco, permettendogli di esprimere tutta la sua carica storico - immaginativa. Magistrale il finale, carico di una malinconia inguaribile che brucia dall'interno e scioglie tutto, terminando con un riff stanco e prostrato, ormai prossimo a spegnersi nell'oblio come una fiamma che, giunta alla fine della sua vita, rotola un po' su se stessa e infine si trasforma in una tenue colonna di fumo, destinata a scomparire dopo aver compiuto la sua ultima agonia.

"Solitude" ed "Eternity", entrambe di durata molto elevata, sono i brani più aggressivi e veloci del disco, maggiormente assimilabili alle sonorità di "Forgotten Legends", ma che tuttavia non dimenticano il carattere musicale dell'album e riescono comunque a mantenere il loro alone epico e descrittivo, che racconta fieramente le gesta di eroi del passato e tutto ciò che hanno sofferto prima di lasciare questo mondo. Entrambi i brani posseggono una carica drammatica ancora più forte e spiccata, espressa da melodie lente e lamentevoli, che nascondono silenziose suppliche e grida di dolore inascoltate. Splendide in particolare sono le linee melodiche di "Eternity", dotate di intensità mirabile, e per questo motivo ripetute a lungo così da rendere partecipe l'ascoltatore del drammatico racconto, fino a farlo immedesimare totalmente in questa storia. Chiude il disco un epilogo strumentale che supera in tristezza ed inquietudine tutti gli altri brani, come a simboleggiare che la storia non finisce bene: sarà un caso che è intitolato "Ukrainian Insurgent Army", il che evoca storie di lotta popolare finite spesso in tragedia? 

La sensazione che ci rimane dopo aver finito di ascoltare per intero questo album è una tristezza vaga ma ineluttabile, inconsolabile: anche se non sappiamo cosa volessero dirci i Drudkh con i loro testi scritti in lingua madre, la potenza immaginativa della loro musica è sufficiente per farci percepire quelle sensazioni direttamente sulla pelle. Dischi come questo lasciano un che di incompiuto, come se la vita stessa non fosse più sufficiente: forse perché non c'è spiegazione a certi orrori della vita. "Blood In Our Wells" vi darà un assaggio di tutto ciò, con vigorosa espressività e senza alcuna pietà per la vostra sfera emotiva. Cercate di non farvelo scappare.

01 - Nav (2:25)
02 - Furrows Of God (8:57)
03 - When The Flame Turns To Ashes (10:37)
04 - Solitude (12:24)
05 - Eternity (10:38)
06 - Ukrainian Insurgent Army (5:02)