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sabato 3 marzo 2012

Opeth - "Orchid"

Candlelight Records, 1995
Diamo ora attenzioni a uno dei pilastri della discografia del gruppo svedese. "Orchid" è descrivibile come un luogo antico. La definizione "secca" rende al meglio la sensazione di potente calma che comunica questa composizione. "Orchid" è un giardino segreto in cui ritirarsi in cerca di tranquillità e riposo, al riparo dallo sguardo del mondo. Alcuni pezzi sono lenti e trainano con la forza di un trattore nell’incanto del luogo perduto, una lunga marcia verso un obiettivo sempre un passo più in la' e allo stesso tempo un rituale esoterico. E’ il caso di “Forest Of October”, un pezzo austero e possente; batteria e chitarra divengono pesanti drappi di velluto che avvolgono e nascondono, con occasionali sbirciate piene di steroidi o planate aeree.

Il volo cupo di “Forest Of October” è bilanciato dai precedenti, specialmente “Under The Weeping Moon”, aperto e pieno di respiro. La tipica vena mediorientale-tribale che accompagna sempre la chitarra degli Opeth ci riporta alle avventure di esploratori di tombe antiche che ripercorrono un rituale di evocazione di una potenza divina, motore degli astri e della Luna stessa (protagonista del titolo). Il secondo terzo della canzone descrive un cerimoniale arcaico in cui sacerdoti incappucciati si preparano a risvegliare la misteriosa entità dall’antro, il cui arrivo porterà movimento. La paura e l’attesa terminano nell’energia dell’ultimo terzo della canzone, in cui l’entità e la sua energia si manifestano. La chitarra è serpeggiante, la batteria rapidamente tamburellante. La cantata Growl è il ruggito dell’entità. Il finale, prima notturno e poi trionfante, indica la conclusione del rituale e la definizione di una nuova direzione.

"Silhouette", che dal suono metallico sembra più un clavicembalo che un pianoforte, è un piacevole intermezzo che spezza nettamente col precedente stile. In alcuni tratti sembra di sentire lo stile di “Rapsodia In Blu”. L’ultimo tratto è allegro e piacevole; un cambio di atmosfera rinfrescante, una pausa per riprendersi. La forza ritorna in “The Twilight Is My Robe”, un secondo capitolo che ne narra le gesta dopo che il precedente ne ha descritto il risveglio. L’inizio grintoso si innesta in una atmosfera sospesa, un'esplorazione prima di rilanciarsi a rotta di collo verso il futuro. Il ritmo più melodico dipinge un combattimento. Decisamente gradevole il motivetto punteggiato di metà canzone, che si conclude in una ripresa dell’energia iniziale; diversi capitoli del mito che come nella prima parte si conclude in un finale pirotecnico. “The Apostle in Triumph” è, salvo l’inizio stuzzicante e pungente, una canzone la cui monotonia nebbiosa ci riporta al tema iniziale, il giardino nascosto e contornato da siepi, il labirinto dell’anima in cui ci si perde e ci si confonde. Potrebbe essere definita un lungo ululato di un branco di lupi, oppure una valanga che travolge uniformemente.

In conclusione è un buon album, tutto da immaginare. Le canzoni sono altamente non lineari, piene di cambi di registro che intrattengono in modo infinito e ben connesse tra loro a formare una composizione. Come ogni altro album degli Opeth, si può ascoltarlo più e più volte ma la nausea stenta ad arrivare.

01 - In Mist She Was Standing (14:10)
02 - Under A Weeping Moon (9:54)
03 - Silhouette (3:09)
04 - Forest Of October (13:06)
05 - The Twilight Is My Robe (11:04)
06 - Requiem (1:13)
07 - The Apostle In Triumph (13:01)