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martedì 18 dicembre 2012

Arckanum - "Kostogher"

Necropolis Records, 1997
Avrebbero tutte le carte in regola per esserlo, ma gli Arckanum non sono una band di black metal pagano: essi abbracciano una fede diversa, gnosticista, come spiegano con un comunicato sul loro sito ufficiale (in realtà dovrei parlare al singolare, dato che si tratta di una one man band). Sarà, ma a me questo album sembra pagan black al 100%, per cui in questa recensione non posso fare a meno di considerarlo tale, viste le sue sonorità assolutamente caratteristiche e nondimeno le fotografie presenti nello splendido booklet.

"Kostogher" è il secondo album di un'immaginaria trilogia cominciata con il primo e ottimo "Fran Marder" e proseguita poi con il terzo lavoro "Kampen", altra dimostrazione di classe sopraffina. Dopo questi tre dischi la band si prenderà una lunga pausa, facendo quasi credere di essere scomparsa dalla scena, mentre in realtà stava solo elaborando un nuovo modo di suonare, che troverà vita grazie ad altri numerosi album, sempre di buon livello. In questo "Kostogher", così come negli altri due dischi della primitiva trilogia, risulta evidente la volontà della band di trasporre in musica i temi classici dello spiritismo: temi che richiamano la natura, la furia degli elementi, l'abbandono dell'uomo all'interno di un ambiente ostile e crudele, la spietata lotta per la sopravvivenza, il gelo invernale, e così via. Ci riescono bene, su questo nulla da dire. Il disco è prodotto in maniera grezzissima, con chitarre che suonano riff a malapena distinguibili nel caos, una batteria costantemente sparata al massimo della velocità e una voce in screaming che latra parole incomprensibili con ben poca musicalità nel senso stretto del termine. Fin qui nulla di strano: la maggioranza dei dischi pagan black, quando non sono contaminati da altri generi, suona così, e gli Arckanum svolgono molto bene il loro compito, dimostrando una certa classe. Oltre a ciò, tuttavia, trovano spazio alcuni momenti di fattura davvero pregevole: ad esempio i leggiadri violini in "Skoghens Minnen Vækks", o la triste strumentale "Et Sorghetog" con le sue voci femminili e i canti di un gufo (!), le commoventi aperture melodiche in "Oþer Trulhøyghda", o le cantilenanti chitarre di "Græmelse ok Væ": tutti momenti che riescono ad impreziosire il disco quel tanto che basta per non renderlo solo un esercizio di furia elementale gratuita, per quanto comunque ciò non rappresenterebbe un problema per i fan del black metal più oltranzista. La maggior parte dell'album è infatti composta da brani che suonano abbastanza simili gli uni agli altri, brani che assaltano frontalmente con chitarre sporche e cattive, nei quali la gran parte delle strofe è a malapena intellegibile, le chitarre soliste non si sentono quasi mai, il tremolo picking è poco sfruttato... sappiamo che il black metal, nella sua accezione più pura e semplice, deve essere così, brutto, sporco e cattivo. Ma quando riesce anche ad accantonare la sua natura malvagia e assassina, producendo momenti di quiete nei quali riflettere e riposare dopo una tormenta di neve, il tutto acquista molta più efficacia. Ecco perchè "Kostogher" alla fine riesce a convincere, nonostante la sua fattura ostica e certamente non immediata, da calare in un contesto specifico per poterne trarre qualcosa di interessante.

"Kostogher" è un disco affascinante, che colpisce grazie alla sua indubbia genuinità. Nonostante il suo livello compositivo non sia obiettivamente niente di rilevante, riesce a convincere grazie ad un'attitudine perfettamente calata nel suo contesto e capace di trasmettere ciò che intendeva trasmettere: emozioni primitive, non mediate, ruvide e impetuose. Con qualche piccola, preziosa parentesi di introspezione, come quella che potrebbe provare un uomo primitivo che, dopo una giornata passata a procacciarsi il cibo tra pericoli di ogni sorta, alza gli occhi al cielo e lo vede illuminarsi di milioni di puntini luminosi, dei quali ignora la natura fisica ma conosce benissimo il significato arcano che vi si nasconde dietro. Non fatevelo scappare se siete degli appassionati del genere, ma in caso contrario valutate bene l'acquisto, perché questo è proprio uno di quei dischi che possono essere amati o odiati, senza vie di mezzo.

01 - Skoghens Minnen Vækks (7:07)

02 - Yvir Min Diupe Marder (4:43)

03 - Øþegarðr (4:08)

04  - Þæn Sum Fran Griften Gangar (3:59)

05 - Et Sorghetog (2:43)

06 - Gamall Uvermark (3:39)

07-   Oþer Trulhøyghda (8:08)

08 - Gangar For Raþan Vinder (4:00)

09 - Bedrøvelse (5:11)

10 - Ir Bister Ensaminhet Iagh Ugla (3:56)

11 - Græmelse ok Væ (3:55)

12 - Kri Til Dødha Daghi (6:22)