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giovedì 21 luglio 2011

Void Of Silence - "The Grave Of Civilization"

Code666/Audioglobe, 2010
Dovremmo sentirci più orgogliosi di essere italiani. Tralasciando le implicazioni politiche, sulle quali ognuno può avere l'opinione che preferisce, dovremmo pensare a questo concetto anche dal punto di vista artistico, e specialmente musicale. L'Italia possiede gran parte del patrimonio artistico mondiale, è stata patria di illustrissimi poeti, pittori, musicisti e chi più ne ha più ne metta: solo che gli italiani si dimenticano spesso di questo loro passato, forse perchè non si rendono conto che esso vive anche nel presente, e non solo nei secoli passati. I Void Of Silence, formazione romana, sono un ottimo esempio del perché bisogna essere orgogliosi di essere italiani. Sono moltissimi i nomi illustri del Metal che dall'Italia hanno saputo guadagnarsi spazio a livello mondiale: i Necrodeath per il black - thrash, i Novembre per il gothic - doom melodico, e ultimamente anche i Void Of Silence stanno raggiungendo una notorietà invidiabile, essendosi ormai affermati come capostipiti del doom - industrial più freddo e cerebrale, un vero e proprio inno nichilista incentrato sulla sfiducia nell'umanità e sull'apocalisse del mondo moderno, condannato a distruggere sé stesso in una folle corsa verso la rovina. Una corsa che nè l'umanità nè la musica dei Void Of Silence sembrano interessati a fermare.

Forti di un disco eccellente (per non dire strepitoso) come "Human Antithesis", datato 2004, era difficile per i nostri uomini bissare un successo così completo. L'aspettativa era alta, e pareva impossibile che sarebbe nato un altro album in grado perlomeno di eguagliare quel maestoso capolavoro, tetro e nero come la pece, che vedeva la straordinaria partecipazione di Alan Nemtheanga, vocalist dei Primordial. La band aveva saputo, con quell'album, sublimare tutte le proprie energie negative in un disco probabilmente irripetibile, che aveva fatto gridare al miracolo la maggioranza dei doomster italiani e stranieri, impressionati dalla fredda e calcolata ferocia che il gruppo immetteva nelle proprie note e campionature elettroniche. Eppure, con questo "The Grave Of Civilization", uscito ben sei anni dopo, i Void Of Silence ce la fanno a regalarci un altro disco di alto livello, come forse nessuno si aspettava: un ulteriore passo verso la rovina e lo sfacelo totale del nostro tremolante mondo.

Non siamo però di fronte ad un disco fotocopia, di quelli che si limitano a ricalcare il successo riproponendo le stesse soluzioni, solo un po' meno ispirate. Niente di tutto questo: molte novità ci attendono, pazientemente elaborate nel corso dei sei anni di gestazione. La prima è l'ennesimo cambio del vocalist (ora c'è Brooke Johnson dietro il microfono) e ciò si traduce nella scomparsa completa del growl e dello scream: ora è unicamente la voce pulita, cantilenante, solenne e maledetta, a reggere il gioco. Una scelta interessante, che potrebbe (ma solo in teoria) avvicinare alla musica del gruppo anche i fan meno oltranzisti, coloro che non tollerano la voce death in tutte le sue manifestazioni: tuttavia, come spiegherò in seguito, non è cosa tanto scontata che il cambio di vocalità renda il sound più accessibile, poiché quella dei Void Of Silence non è mai stata musica di facile ascolto e assimilazione. Come ci si aspetterebbe da un disco che mischia sapientemente la pesantezza del doom con le fredde atmosfere dell'industrial, "The Grave Of Civilization" non lascia spazio a sentimenti positivi, ma inghiotte gli animi in uno stato di cupa disperazione apocalittica, come se la fine del mondo stesse per venire: come un pianeta che ci punta diritto addosso, e continua a diventare sempre più grande nel cielo, mettendo a nudo tutte le nostre meschinità e costringendoci a fare i conti con la nostra fine prima del tempo. I brani scorrono come macchie di catrame che lentamente si allargano e inglobano gli sventurati che si trovano sulla loro strada; le voci e le chitarre, ancora più pesanti e dissonanti che in passato, paiono lamentarsi più che produrre suoni; e in mezzo a tutto questo pathos di morte, le eclettiche tastiere accompagnano il fluire delle composizioni con mesta eleganza, contribuendo ad aumentare la sensazione di abbandono nei confronti della vita, quella sensazione che ti prende quando pensi che ormai nulla valga più la pena di essere vissuto. Qua e là fanno capolino alcune sezioni arpeggiate inquietanti, che mettono i brividi e invadono la mente di un unico colore, il nero. E talvolta spuntano anche melodie di chitarra tanto oscure da ricordare i migliori My Dying Bride (sentite per esempio l'inizio di Apt Epitaph e ditemi se non vi ricorda "A Doomed Lover"). Tuttavia, non si tratta più di musica spiccatamente cerebrale come in passato: se "Human Antithesis" era un disco dove la negatività esistenziale era palpabile, dove l'odio trasudava da ogni nota e "mordeva" l'ascoltatore con forza, questi sentimenti paiono ora attenuati, come se avessero perso la loro forza distruttiva. Troviamo infatti un sound più liquido e onirico, sostanzialmente più rarefatto, ed è venuta leggermente meno la componente "industrial" che aveva invece caratterizzato fortemente il precedente "Human Antithesis". Alcuni elementi, ovviamente, sono rimasti invariati: i testi visionari, la lunga durata dei brani (quasi tutti sopra i dieci minuti), le ritmiche lente e contorte, l'attitudine "maledetta" che i nostri sono sempre riusciti a mantenere senza scadere nell'autocelebrazione fine a sè stessa. "The Grave Of Civilization" rappresenta dunque un altro capitolo dell'interessantissima evoluzione della band, che dalla rabbia primordiale di "Towards The Dusk" e "Criteria Ov 666" è giunto infine ad una condizione dolorosa, rassegnata, che si limita a pennellare con colori mostruosi un prossimo scenario di morte. Paradossalmente, il sound è più melodico che in passato: fanno capolino anche sprazzi di malinconia e di tristezza, sentimenti che non erano ancora stati toccati dalla musica del combo, impegnata finora a mostrare un volto crudele e spietato, che non si esprimeva con la batteria a mitraglia o una voce roboante, ma con sottili combinazioni di suoni e atmosfere che mettono angoscia.

Non posso descrivere ogni brano nei dettagli, perché sarebbe inutile e controproducente: "The Grave Of Civilization" è un tutt'uno inscindibile, che va ascoltato dall'inizio alla fine senza interruzioni, e che in fin dei conti risulta particolarmente omogeneo e quindi ben poco valutabile se non nel suo complesso. Nonostante la lunghezza dei brani e la loro apparente prolissità, si tratta comunque di un album estremamente scorrevole, che finisce quasi senza lasciarcene render conto, e che fa viaggiare con la mente verso luoghi bui, incatenati ad un' oscurità insondabile, come possiamo già vedere dalla fenomenale copertina, che si sposa alla perfezione con la musica: la sensazione ascoltando questo album è proprio quella di essere al cospetto di un'enorme tempio oscuro, e di osservarlo dal basso della propria piccolezza, come un'ultima visione prima della fine annunciata. Grandissimo è stato l'impegno e il lavoro dietro questo album, e ciò si è tradotto in un nuovo capolavoro: non posso fare altro che inchinarmi di nuovo di fronte al terzetto romano, e di pensare che dopo tutto in Italia non siamo poi così malvagi, se ogni tanto saltano fuori artisti come questi.

01 - Prelude To The Death Of Hope (3:02)
02 - The Grave Of Civilization (17:31)
03 - Apt Epitaph (12:27)
04 - Temple Of Stagnation (D.F.M.I. MMX) (9:50)
05 - None Shall Mourn (15:21)
06 - Empty Echo (4:43)