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sabato 22 ottobre 2011

Comatose Vigil - "Fuimus, Non Sumus..."

Solitude Productions, 2011
Finalmente ce l'hanno fatta, sono riusciti nel colpo grosso. Anzi, enorme. I russi Comatose Vigil erano partiti con un buonissimo esordio che rispondeva al nome di "Not A Gleam Of Hope", claustrofobico e monolitico nonchè impreziosito da un lavoro tastieristico davvero degno di nota; successivamente i tre avevano proseguito con un breve EP chiamato "Narcosis", anch'esso abbastanza intrigante, nonostante contenesse solo una traccia inedita. Tali uscite avevano procurato al gruppo una certa fama, ma non gli avevano ancora permesso di sedere nel trono dei grandi, forse per via del fatto che nella loro musica mancava qualcosa, nonostante fosse indubbiamente ben costruita e qualitativamente ineccepibile. Con la loro terza release ufficiale, facendo tesoro degli anni passati e dell'esperienza accumulata, finalmente è stato dato alla luce il disco definitivo, il loro capolavoro assoluto nonchè uno dei più impressionanti dischi Funeral Doom mai usciti. Non userei tuttavia l'espressione "dare alla luce": sarebbe più appropriato "dare all'oscurità". Questo album infatti contiene una musica tra le più spaventose, più evocative, più tenebrose e più imponenti che io abbia mai sentito. Parafrasando Trainspotting: prendete la musica più cupa che avete mai ascoltato. Moltiplicatela per mille. Neanche allora ci siete vicini.

Quasi ottanta minuti di musica spalmati su appena tre brani, il più breve dei quali conta ventitrè minuti, mentre il più lungo supera i ventisette. Già da questo primo dettaglio si può capire che i Comatose Vigil fanno della monoliticità il loro principale obiettivo, nonchè punto forte. Accordi di chitarra immensi, atmosfere stratificate e ricchissime, suoni di basso cupi e sepolcrali, rintocchi di batteria che paiono ciclopiche frane di massi enormi, una voce incredibilmente gutturale e profonda e che tuttavia mantiene una buona musicalità; l'estremizzazione dell'estremo, un qualcosa che non avevo mai sentito prima d'ora. Ma la cosa più stupefacente è che i tre brani hanno uno sviluppo talmente lento e pachidermico da risultare emotivamente asfissianti, eppure non annoiano MAI. Talmente spettacolari sono infatti le melodie, gli arrangiamenti di tastiera e le plumbee atmosfere, da rendere l'ascolto un'esperienza che si vorrebbe non finisse mai. Vi aspettate che i 28 minuti della gigantesca "Fuimus, Non Sumus..." siano un agonia impossibile da terminare? Errore. Quella mezz'ora scorre come l'acqua in un ruscello di montagna, nonostante la sua immane pesantezza. Non so spiegare precisamente il motivo per cui dei brani così giganteschi non stancano e non conoscono mai una caduta di tono: probabilmente è un effetto generale dovuto all'estrema cura che i Comatose Vigil hanno riposto in ogni nota, lavorando sugli arrangiamenti in maniera quasi maniacale e riuscendo a metterli contemporaneamente in primo e in secondo piano, cioè perfettamente udibili eppure mai troppo in risalto. Rispetto ai precedenti album, infatti, il balzo sia compositivo sia qualitativo è abissale, e se si conta che i primi erano già dischi ottimi, capite subito il livello di qualità di "Fuimus, Non Sumus...". La ciliegina sulla torta è la produzione, praticamente perfetta: non credo che sarebbe possibile migliorarla nemmeno di un millesimo rispetto a quello che è.

I brani sono basati su melodie ultraterrene, sognanti, armonicamente elementari ma di rara bellezza. Prendiamo ad esempio la title track: dopo qualche secondo di lugubre lamento tastieristico, ecco comparire degli accordi giganteschi, veri e propri mastodonti di pietra inscalfibile, che lentamente prendono forma e si tramutano in una melodia che pare un lungo sogno, una trance infinita e irresistibile. La maestosa linea portante si ripete apparentemente uguale per minuti e minuti consecutivi, ma è solo una trappola tesa alle orecchie poco attente: sotto sotto, la musica continua a cambiare, lentamente ma costantemente, plasmandosi e arricchendosi minuto dopo minuto con voci angeliche, tastiere spettrali e melodie secondarie da pelle d'oca. Quando infine gli strumenti e le voci decidono di unire le forze in un unico, meraviglioso lamento funebre, la musica si fa perfino commovente. Verso i tredici minuti il tema portante cambia, diventando meno solenne e più granitico, ma tocca di nuovo al tema iniziale la chiusura del primo mastodonte. Il resto dell'album viaggia sulle stesse coordinate, lasciando anche spazio a sezioni atmosferiche raggelanti ("Autophobia") o a momenti epici e drammatici ("The Day Heaven Wept"): distinguere i brani è tuttavia difficile, trattandosi di un disco che è un unico immenso lastrone di basalto nero impossibile da scalfire ad opera di mani umane

L'ascolto di questo album è un'esperienza incredibile, un concentrato di emozioni nerissime da togliere il fiato, un qualcosa che mette a dura prova la resistenza emotiva di ciascuno di noi. Non ho alcuna remora nel dire che il gruppo ha partorito una vera e propria opera massima: e ancora una volta devo fare i complimenti anche all'etichetta Solitude Productions, che ha dato e continua a dare i natali a dischi e band spettacolari. Ora torno a immergermi negli oscuri meandri di "Fuimus, Non Sumus..." e lascio a voi la sfida: riuscirete ad ascoltarlo tutto di fila senza farvi venire gli incubi? Se ce l'avrete fatta, è segno che siete entrati nel club, e ormai per quanto possiate sforzarvi non ne uscirete mai più.

01 - Fuimus, Non Sumus... (27:52)
02 - Autophobia (23:14)
03 - The Day Heaven Wept (24:28)