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venerdì 31 agosto 2012

Nile - "At The Gate Of Sethu"

Nuclear Blast, 2012
Presentazione: C'è poco da fare: ormai quando esce un disco dei Nile lo si attende come un disco di una delle più grandi realtà della musica metal. I Nile sono meritatamente diventati nel tempo un'ingombrante leggenda vivente del death metal dei giorni nostri, e sono per il metal ciò che gli attori hollywoodiani sono per il cinema: delle icone. I loro album sono degli autentici kolossal. Grazie al loro stile mastodonticamente epico e tecnico al tempo stesso, assolutamente unico, sono stati capaci di spingersi oltre il recinto del singolo genere, profilandosi come band di indiscutibile rilievo per chiunque ami il metal in generale. Ed oggi eccoci qui tutti riuniti per il debutto del nuovo kolossal del trio americano: At The Gate Of Sethu. Cosa aspettarsi da questa nuova impresa discografica? Varcando la soglia ci attende...

Stile: ...un inaspettato ritorno alle origini! Chi l'avrebbe mai detto? A ben vedere già Those Whom The Gods Detest (2009) aveva fatto segnare un lieve ritorno alle grezze sonorità del lontano In Their Darkened Shrines (2002) – qui però parliamo addirittura dei primi due dischi! Nonostante At The Gate Of Sethu sia ricolmo di riff complessi e scale che appartengono allo stile più moderno e maturo della band, con tanto di maestosi passaggi sinfonici, e nonostante l'esecuzione strumentale sia molto precisa, la sua ferocia e i suoi ritmi sono incredibilmente vicini a quelli dei loro vecchi primi lavori, che troppo sovente cadono dimenticati. Assoli selvaggi e fulmicotonici, brani corti, ritmi indiavolati: At The Gate Of Sethu è estremamente compatto, e in alcuni passaggi persino caotico. Tutto ciò che i Nile sono diventati col tempo è qui compresso e compattato in poco spazio, costretto in un angusto vaso canopo senza potersi dispiegare sulle ampie dune del deserto. Ne risulta un mix vincente tra la loro tecnica attuale e il loro vecchio stile impulsivo, oscuro come sempre, viscerale come non mai.

Valutazione: L'idea di ripescare dal vecchio repertorio mi ha stupito, e ne sono piacevolmente colpito. Ascoltare i Nile che suonano è sempre un piacere: feroci, tecnici, pesanti, melodici, incontenibili. Il problema sorge però quando il disco finisce. Qui si devono fare i conti con quello che ha lasciato all'ascoltatore; dunque, cosa gli ha lasciato? Quali indelebili segni gli ha scolpito sulla pelle? Quali inenarrabili colpi di genio ha marchiato a fuoco nella sua mente? Pochino, per la verità. La grandezza di dischi perfetti come Annihilation Of The Wicked (2005) e Ithyphallic (2007) consisteva soprattutto nel fatto che tutti i brani avevano qualcosa di particolare, che erano perfetti anche da soli, che ognuno aveva una propria identità. Tanto per fare qualche esempio concreto, si pensi all'assolo pauroso di Cast Down The Heretic, al ritornello di Lashed To The Slave Stick, o ai riff pazzeschi di As He Creates So He Destroys, Papyrus... e Eat Of The Dead – potrei continuare così a lungo. Cotanto splendore si era un po' affievolito già in Those Whom The Gods Detest, che però poteva ancora vantare pezzi di bravura suprema come la lentezza macinante dei riff di 4th Arra Of Dagon, le “strazianti” linee melodiche di Iskhander Dhul Kharnon, l'inafferrabile pomposo ritornello della titletrack. Ora però esso è scomparso quasi del tutto: seppur tutti grandiosi, i brani del nuovo disco sono pressoché tutti identici – non so come faranno Sanders e soci a ricordarseli quando dovranno suonarli dal vivo – e le idee potenzialmente memorabili sono confinate a brevi istanti; nessuna emerge mai in maniera duratura e determinante. Le cose più belle i Nile ce le fanno sentire negli ultimi tre brani, i migliori del platter, ma ancora niente che riesca a dispiegarsi ed ergersi come una possente sfinge come lo erano ad esempio What Can Be Safely Written, Annihilation Of The Wicked (brano) e Unas Slayer Of The Gods. Come detto poco sopra, tutto ciò che i Nile sono diventati col tempo è qui compresso e compattato in poco spazio, costretto in un angusto vaso canopo senza potersi dispiegare sulle ampie dune del deserto. Questa è a un tempo la grandezza e il difetto di questo disco, a seconda dei personali punti di vista.

Conclusione: Leggendo le righe che ho scritto potrà forse sembrare che io sia deluso da questo disco, e che lo stia in qualche modo criticando. La verità è piuttosto che ho ritenuto opportuno confrontarlo con i dischi precedenti per metterne in risalto quelli che secondo me sono i suoi punti deboli, senza soffermarmi troppo sugli elogi. Ciò però nulla toglie all'apprezzamento che nutro per gran bel disco come At The Gate Of Sethu, che non fa altro che estendere il perentorio dominio dei Nile. Nondimeno mi sovvien spontaneo un quesito: che anche loro, così come l'Antico Egitto che tanto li affascina, abbiano vissuto il loro glorioso apogeo e vivano ora più di rendita che di nuovo impeto vitale? Io non ci credo, ma non sta a me stabilirlo; dal canto mio non posso che sperare che in futuro sappiano regalarci di nuovo brani e riff indimenticabili invece che semplicemente della buona musica.

01 - Enduring The Eternal Molestation Of Flame (04:29)
02 - The Fiends Who Come To Steal The Magick Of The Deceased (04:30)
03 - The Inevitable Degradation Of Flesh (05:30)
04 - When My Wrath Is Done (03:11)
05 - Slaves Of Xul (01:24)
06 - The Gods Who Light Up The Sky At The Gate Of Sethu (05:43)
07 - Natural Liberation of Fear Through the Ritual Deception of Death (03:30)
08 - Ethno-Musicological Cannibalisms (01:40)
09 - Tribunal of the Dead (05:54)
10 - Supreme Humanism of Megalomania (04:49)
11 - The Chaining of the Iniquitous (07:05)