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sabato 21 gennaio 2012

Fen - "The Malediction Fields"

Code666 Records, 2009
L’altro giorno sono passato davanti al bosco dietro casa mia, e gettando una fugace occhiata oltre le spoglie fronde dei primi alberi ho provato, nel giro di pochi passi, un’irresistibile attrazione per quel letto di foglie secche che ricopre il terreno in questa stagione, per i sentieri e le loro sponde, per quella sterminata distesa affascinante di tronchi ritti come i soldati di una imperitura legione che risplendeva sotto un timido sole invernale. Mi sono allora immaginato camminare solitario in questa distesa di forme e colori, e istintivamente nelle mie orecchie risuonavano gli echi dei brani di The Malediction Fields.

L’artwork e la musica di The Malediction Fields sembrano infatti raccontare di un simile paesaggio, capaci di trasportare tra le cortecce di boschi incontaminati, e tra i profumi selvatici, e tra i rumori della natura: tale è l’esordio su full-length che i Fen hanno saputo costruire, questo loro Black/Neofolk innervato da numerose linee melodiche in clean che alterna imponenti squarci luminosi ad oscure penombre boschive, Black/Neofolk che da un lato vorrebbe tendere al Post-Black, ma dall’altro lato viene tirato indietro nella sfera del Black più grezzo da una produzione povera azzeccatissima. Merito della loro dedizione alle tiepide melodie Agallochiane e al gelido sound del Black Metal, merito della loro genuina ispirata creatività, ma merito anche di un songwriting brillante che dà vita a brani articolati i quali si snodano come le radici di un grosso salice che si specchia placido nel lago che bagna i suoi piedi. E così si susseguono scene incantate, una serie magica di diapositive come i sublimi chiaroscuri di As Buried Spirits Stir, che con la sua molteplicità di risvolti passa in rassegna un’ampia gamma di emozioni; oppure le copiose fioriture di The Warren, che da un timido bocciolo iniziale si aprono a ventaglio in un emozionante crescendo; o ancora le tinte da pelle d’oca di Colossal Voids - superlativa l’outro! -, così evocative che sembrano quasi conferire la sensazione del terreno coperto di foglie secche che scricchiolano e frusciano sotto i propri passi.

Purtroppo però ci tocca scendere per un istante dal piedistallo poetico che The Malediction Fields ha saputo finora creare, perché su questo disco ho sentito dire di tutto: che la produzione è troppo scadente, che i brani sono fin troppo lunghi rispetto al loro contenuto musicale, che la band non riesce ad esprimere tutto il suo potenziale, che il cantato in clean è stonato e poco incisivo. L’unica critica fondata tra queste riguarda le stonature del clean che in effetti ci sono, anche se a onor del vero bisogna dire che sono ben mascherate dall’atmosfera circostante e quindi non danno granché fastidio. Per il resto si tratta di critiche arbitrarie e fantasiose che non trovano minimamente riscontro nei fatti: ogni brano ha una sua evoluzione precisa che ne giustifica pienamente la durata; non vedo poi come un cantato clean così docile e sognante possa non essere incisivo, e soprattutto non capisco come sia possibile sostenere che una band che si presenta con un disco che scorre via in modo così elaborato eppure naturale e suadente al tempo stesso possa avere un grande potenziale inespresso. Per non parlare poi della produzione scadente, che proprio in quanto tale è uno dei maggiori punti di forza del disco: quand’è che la si finirà con questa ossessionante fobia per le produzioni povere e ruvide? Quand’è che finalmente si sarà capaci di coglierne l’immenso fascino artistico?

Ma come al solito è forse meglio lasciare da parte queste sterili polemiche, giacché la musica dei Fen parla da sola e non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire. Non è infatti la rabbia, non è la cattiveria che scorre nelle vene dei Fen, ma torrenti di melodia, piccoli puri rigagnoli che prendono corpo fino a divenir ruscelli per poi convergere in un fiume in piena straripante, incontenibile, irresistibile, creando nell’aria poetiche volute coi suoi spruzzi e il suo vapore acqueo. Non opponetegli resistenza, non cercate di salvarvi, lasciatevi investire ad occhi chiusi e con un sereno sorriso dipinto in volto: e quello che sentirete allora non sarà dolore, ma una liberatoria sensazione di equilibrio con la natura.

01 - Exile's Journey (08:08)
02 - A Witness To The Passing Of Aeons (07:07)
03 - Colossal Voids (08:32)
04 - As Buried Spirits Stir (06:58)
05 - The Warren (07:10)
06 - Lashed By Storm (08:54)
07 - Bereft (11:49)