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martedì 10 aprile 2012

Ea - "Ea"

Solitude Productions, 2012
Vediamo di ricapitolare un po' la storia di questa band, che ormai è attiva da sei anni, ma ha la particolarità (credo più unica che rara) di essere ancora totalmente avvolta nel mistero. Sei anni di attività e quattro album pubblicati non sono stati sufficienti per svelare l'identità di questi musicisti, ancora avvolti nell'anonimato più assoluto. Ho perfino scritto alla Solitude Productions per elemosinare qualche informazione, e la risposta che mi è stata data è: "Per questioni contrattuali, non possiamo rivelare nulla". Non c'è più neanche da discutere.

Ormai è passato diverso tempo dalla pubblicazione del primo, stupefacente "Ea Taesse", ma questa enigmatica band non ha ancora smesso di infiammare i nostri timpani con musica di altissimo spessore, che pesca a piene mani dalla migliore scena Funeral Doom (Shape Of Despair, Colosseum, The Howling Void) e rielabora il tutto in maniera personale, ispirata, curatissima e incredibilmente convincente. Ogni disco che gli Ea hanno concepito si è rivelato essere un capolavoro, e ogni disco è stato diverso dal precedente: come potevamo aspettarci, anche questo nuovo lavoro è un po' diverso dai mastodonti che l'hanno preceduto. Tanto per cominciare, nel booklet non troviamo più nemmeno la frase che aveva reso famosa la band, in quanto era l'unica frase che dava informazioni su di loro: non c'è più scritto che gli Ea cantano in una lingua morta, ricreata sulla base di ricerche archeologiche, e che essi stessi sono la voce degli antichi che ci ha raggiunto attraverso i secoli. Ora siamo di fronte ad un libretto perfettamente vuoto, con immagini scure e confuse, enigmatiche come la band. Come espresso anche da un comunicato sul sito della Solitude Productions, infatti, questo disco non ha più connessioni con la trilogia "ancestrale", nonostante conservi il consueto cantato growl completamente inintellegibile e gutturale, che declama fonemi sconosciuti. Un'altra cosa interessante è che il disco non ha titolo, e si compone di una sola traccia di 47 minuti e 38 secondi, anch'essa senza titolo. Se nei dischi precedenti i brani erano sempre un tutt'uno ma almeno erano spezzati, qui invece abbiamo a che fare con un lunghissimo, interminabile monolite sonoro, che bisogna ascoltare per forza tutto intero, se vogliamo scoprire come finisce il disco. Come dite, è un tempo troppo lungo? Non sono d'accordo per niente...tutte le notti perdiamo otto ore dormendo, e ogni giorno ne passiamo altrettante lavorando...che saranno mai tre quarti d'ora per concentrarsi su un album?

Il nuovo lavoro degli Ea ci avvolge fin da subito con lugubri e gravi note suonate da un pianoforte demoniaco, che esprime tutta la sua malvagità con suoni pulitissimi e sinistri, pronti per lasciare il posto ad una lenta cavalcata all'interno di tutte le possibili emozioni umane. Solennità, desolazione, potenza, durezza, asprezza, gravità, dolcezza: qui dentro c'è di tutto, amalgamato in un caleidoscopio stupefacente. A livello sonoro, nella discografia della band il disco che più si avvicina a questo lavoro è "Ea II": moltissima atmosfera, abbondante utilizzo di cori, organo ecclesiale, sovraincisioni ed effetti di ogni genere, muri di chitarre quasi onnipresenti, melodie ariose e dagli sviluppi lentissimi, ottima varietà di strumenti e timbriche utilizzate, con stratificazioni di tastiere sempre impeccabili e magnificamente corpose. Ma "Ea" pesca molto anche dagli altri album: prende da "Ea Taesse" l'alone sacrale e tremendamente oscuro, mentre "Au Ellai" è perfettamente riconoscibile nelle melodicissime parti di chitarra solista e negli ariosi stacchi atmosferici ad opera degli archi. Le linee melodiche sono ancora una volta elaborate e mai banali, gli arpeggi in pulito sono sempre dilatati e sognanti, la voce è sempre catacombale ed efficace nel creare atmosfera nonostante la sua presenza rara e discreta, la produzione è stellare e perfetta (meno granitica rispetto ai primi lavori, ma sempre pulitissima). Insomma, in questo disco c'è più o meno quello che già conoscevamo. Ma non si tratta solo di un collage riciclato dalle B-side dei precedenti dischi: come spiegare altrimenti l'improvvisa accelerazione in doppia cassa, con tanto di indiavolata voce black metal (!) intorno al ventiquattresimo minuto (ma non è l'unico punto dove gli Ea si rivelano insospettabilmente veloci)? O ancora, il meraviglioso sottofondo di archi pizzicati poco dopo il diciottesimo minuto, punto di arrivo di una sovrapposizione di almeno sei linee melodico - armoniche che si aggiungono progressivamente al calderone? E come non stupirsi ascoltando l'accorato e lacrimevole assolo di chitarra intorno al trentaduesimo minuto? Niente di tutto questo era finora comparso in un album degli Ea, e colpisce al cuore con immediata efficacia, dimostrando che la band è anche capace di superare i propri limiti. Se da una parte il disco non si discosta moltissimo dagli standard del gruppo, la sua particolarità sta in questi frequenti momenti innovativi, che fanno "avanzare di grado" la musica del gruppo e tolgono questo nuovo album dallo status di "disco fotocopia". Questo fa la differenza tra un buon disco ed un capolavoro: mi chiedo come facciano questi musicisti a scrivere sempre un disco più bello dell'altro.

Se ascoltato nella giusta ottica, senza fretta e senza aspettative, "Ea" è capace di trasportare in un altro mondo grazie alle sue sonorità enormemente evocative e alla sua encomiabile potenza espressiva. Non bisogna aspettarsi proprio nulla, bisogna solo lasciarsi prendere da questo lento fiume di lava che continua a scorrere, e scorrere, e scorrere, senza mai fermarsi se non per pochi illusori attimi, dei quali subito si perde la memoria. L'estasi è assicurata per i fan storici della band, che potranno godere di altri tre quarti d'ora di musica intensa, maestosa e magniloquente, ma qualsiasi appassionato del genere che ancora non conosce gli Ea potrà essere fulminato da questo lavoro e innamorarsi perdutamente della sua grandiosità. "Ea" è molto più di una semplice conferma, molto più di un semplice buon lavoro: è ancora una volta l'espressione di un qualcosa di sovrumano, impossibile da comprendere con la sola intelligenza umana, e che va semplicemente vissuto con l'anima. Del resto, la musica è così. Qualcuno diceva: "Siamo circondati dalla musica e ne ricaviamo grande conforto, ma non abbiamo neppure la più pallida idea di cosa sia". Di fronte ad un lavoro così immane come questo, che si siede tranquillamente a fianco dei suoi predecessori e di qualsiasi altro disco Funeral Doom di valore, anch'io alzo le mani e dico solo: procuratevelo, ascoltatelo, amatelo, fatelo vostro. La vita è breve, bisogna fare in fretta.

01 - Ea (47:38)