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giovedì 26 aprile 2012

Kerbenok - "O"

Northern Silence Productions, 2008
Alcuni dischi sembrano concepiti apposta per spiazzare l'ascoltatore, per catturarlo poco alla volta in un crescendo irresistibile di emozioni e sensazioni, che inizialmente erano soltanto timidi accenni in un mare di nulla; emozioni e sensazioni che si provano nel momento in cui si scoprono le infinite sfaccettature di una musica che inizialmente non aveva trasmesso alcunchè, ma che con il passare degli ascolti è diventata sempre più delineata fino a scoprirsi in tutta la propria recondita bellezza, diventando così una parte importante del proprio vissuto. Posso sicuramente includere in questa categoria il debutto su full - length dei tedeschi Kerbenok, già attivi dal 2000 e reduci dalla pubblicazione dell'interessante extended play "Der Erde Entwachsen", uscito un anno prima di questa release. Il disco che mi trovo tra le mani, in un pregevole formato A5 limitato a mille copie, colpisce subito con l'impatto visivo: l'artwork è infatti eccezionalmente ricco e variopinto, enigmatico, carico di natura e dell'infinita varietà della sua magnificenza. La musica, al contrario, non colpisce subito: e questo è un punto molto importante, che come ho già accennato, costituisce la principale caratteristica di "O".

I Kerbenok si cimentano in un black metal di stampo progressivo e raffinato, carico di riferimenti naturalistici ed estremamente vario, sia come range di influenze black (si va dai Satyricon ai Wolves In The Throne Room) sia come struttura dei brani, che si avvicinano molto alle poliedriche evoluzioni degli In The Woods, specialmente per quanto riguarda la quasi totale assenza di ritornelli, bridge, strofe e di tutto ciò che riguarda la forma canzone come la conoscono tutti. Per una band che è ancora praticamente esordiente, questo è senza dubbio un progetto ambizioso, che sceglie di essere tale non solo per via della sua intinseca natura sfumata e variegata, ma anche per la notevole durata, superiore a settanta minuti. Inizialmente, il disco lascia perplessi: troviamo cascate di riff ruvidi e taglienti che paiono non condurre in nessun luogo in particolare, alternanze notevoli tra sezioni spinte e momenti di quiete atmosferica che paiono messi lì a casaccio, un'apparente destrutturazione e prolissità dei brani che ad un primo ascolto potrebbero essere tacciati di inconcludenza e manierismo tecnico. Tutti elementi che fanno pensare: ma dove vogliono andare a parare i Kerbenok? Sanno almeno che genere di musica vogliono suonare, o si stanno solamente dedicando ad un esercizio di assemblaggio tra generi e sottogeneri, dimenticandosi però di aggiungerci la scintilla di ispirazione? La tentazione di mettere via il disco dopo il primo ascolto, pentendosi dei soldi spesi, è abbastanza forte.

Tuttavia, con il passare degli ascolti (e credetemi, ce ne vogliono davvero tanti) tutto comincia ad andare al suo posto. Come un puzzle che inizia a risolversi per conto suo, nel momento in cui si rinuncia al tentativo di comporlo razionalmente e ci si abbandona al puro istinto risolutore, i brani iniziano progressivamente a sfoggiare delle atmosfere e delle soluzioni davvero notevoli, molto differenziate tra loro e capaci di spaziare tra colori differenti con grandi dosi di fantasia e creatività. Ecco che le apparentemente insensate cavalcate strumentali prendono forma e diventano dei lunghi viaggi psichedelici che ci conducono attraverso una nebbia fitta e persistente, squarciata da veli di beatitudine che giungono del tutto inaspettati e salvifici; ecco che la vulcanicità dei riff di chitarra non è più solamente un esercizio di maniera, ma un ordinato e preciso caleidoscopio emozionale che esalta ad ogni nuovo sviluppo. La spiccata personalità di questa band emerge così dalle acque profonde come un isolotto vulcanico appena nato, ancora incandescente e ricolmo di ribollente vitalità. Sonorità misteriose, cangianti, sopraffine: posata aggressività che si mescola con l'introspezione, suggestioni poetiche unite a suoni grezzi e rugginosi, volutamente soffocati da una produzione sicuramente non pulitissima, ma come al solito adatta allo scopo che vuole raggiungere. Insomma, niente che possa essere compreso dopo pochi ascolti, specialmente per via dei continui cambiamenti che sopraggiungono non solo tra un brano e l'altro, ma anche all'interno dei brani stessi. Ecco quindi alternarsi voci maschili che spaziano dallo screaming acido al possente cantato di un tenore, voci femminili che accompagnano il fluire strumentale con leggiadria e classe, ritmiche talvolta pompate e talvolta dimesse, tastiere soffici e sognanti, sapienti inserti folk, chitarre che sanno tramutarsi in spietate lame di ghiaccio e un attimo dopo diventano giocose e sbarazzine, per poi cambiare di nuovo in delicate e toccanti. Difficile trovare un brano particolarmente memorabile, o al contrario un pezzo inferiore a un altro: e questo è strano, perchè in un disco così eterogeneo è molto insolito che non ci siano pezzi che spiccano sugli altri. Non citerò dunque alcun brano, perchè questo disco ha senso solo se viene ascoltato tutto assieme, come un'unica lunga canzone che esplora ogni possibile lato della vita. Da questo punto di vista "O" è comunque un disco sorprendente, poichè nel suo continuo vagare e sperimentare riesce sempre a mantenere un'invidiabile coerenza interna e una freschezza compositiva che, una volta compresa a fondo, decreterà la longevità e  l'assoluto spessore artistico del disco.

Lasciatevi dunque cullare dalle intriganti sonorità di "O", come se foste degli esseri inermi che vengono trasportati dal vento per centinaia di chilometri. Nel vostro turbinoso viaggio vi passeranno davanti infiniti scenari, che dovrete semplicemente avere la volontà di cogliere, sforzandovi di metterli a fuoco con i vostri occhi disabituati. All'inizio sarete sballottati qua e là senza capire niente, in preda alla nausea e al disorientamento: ma quando vi sarete abituati a tale marasma, aprirete gli occhi e scoprirete che state semplicemente vivendo un'esperienza nuova, interessante e verace; un volo pindarico in un mondo fatto di colori che non esistono nello spettro del visibile, un viaggio psichedelico ed esaltante nella complessità della vita.

"O" è il classico disco che ha bisogno di molto tempo per rivelare la sua essenza, ma che come tutti i grandi classici, una volta scoperto non appassisce mai e non ha mai finito di dire quello che ha da dire. Il mio unico rimpianto è che questo disco probabilmente non verrà mai conosciuto come dovrebbe; queste mie poche righe hanno il solo scopo di tentare di rendergli giustizia, almeno un briciolo di ciò che merita, ma nella piena consapevolezza che pochi sapranno cogliere un frutto succoso e delizioso come questo formidabile debutto.

01 - Aus Der Stille... (2:53)
02 - Heimstatt In Trummern (12:45)
03 - Die Schwere Unserer Glieder (7:11)
04 - Im Kreise Ziehen Wir Unsere Runden (12:18)
05 - Waldfrieden (2:27)
06 - Frihet Er Vaares (9:57)
07 - Verstandes Klinge (5:58)
08 - Lys (1:54)
09 - Hardangervidda (8:56)
10 - ...In Das Was Noch Kommen Mag (7:07)