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martedì 21 febbraio 2012

Drudkh - "Songs Of Grief And Solitude"

Supernaul, 2006
Dopo aver pubblicato diversi album di ottimo valore per quanto riguarda il filone pagan black atmosferico, tralaltro a ritmi molto sostenuti (in certi casi addirittura più di un album all'anno), gli ucraini Drudkh producono quella che rimarrà la mosca bianca nella loro nutrita discografia: un album totalmente acustico e strumentale contenente puro folk slavo, suonato senza distorsioni nè effetti artificiali di alcun genere. Due chitarre acustiche dalla timbrica calda e intensa, qualche breve ma riuscita incursione di strumenti a fiato, e nient'altro. Melodie cristalline, pulite e ripetitive si rincorrono per tutto il disco, andando a ricordare non poco dischi come il seminale "Kveldssanger" (anche se non si può paragonare il folk scandinavo a quello slavo, sono due cose molto diverse) e, secondo me, riuscendo tranquillamente ad eguagliarlo in quanto a intensità emotiva, la quale non segue necessariamente la complessità tecnica ed esecutiva che qui è francamente scarsa. Niente voci, niente basso, percussioni ritmiche ridotte ad alcuni sporadiche e soffici carezze sui tamburi: insomma, una musica spoglia di qualsiasi orpello, che si regge unicamente sull'emozione che provoca. Cosa c'è di più affascinante e stupendamente anacronistico di un album che, in un momento storico nel quale gli effetti elettronici e i suoni artificiali spopolano, decide di affidarsi unicamente alle corde di nylon e al vibrare dell'aria dentro un flauto?

"Songs Of Grief..." è indubbiamente un album di folk tradizionale, come riportato anche nello stupendo e rustico booklet; tuttavia, lo è solo fino ad un certo punto, poichè quasi tutti i brani di questo album sono parziali rivisitazioni acustiche di pezzi già scritti dagli stessi Drudkh in passato. Bisogna specificare che non sono gli stessi brani "rivestiti" con strumenti diversi: vengono mantenuti solo alcuni riff e alcune melodie, il resto è tutto inedito. In veste acustica, i brani acquistano un'atmosfera ancora più particolare, che ne esalta la componente malinconica e drammatica, nonchè lo spirito panteistico e strettamente legato alla Madre Terra. Nonostante alcuni momenti paiano perfino sereni e tranquilli, in realtà il disco è permeato da una continua tristezza, da una sensazione di inquietudine perenne che non può essere facilmente mitigata. "Songs Of Grief..." non è un disco felice, come del resto recita il titolo: è invece un ricettacolo di sofferenza, espressa in modo delicato ma contemporaneamente poderoso.

Poco importa se gli elementi sono pochissimi, se i brani sono abbastanza ripetitivi, se non ci sono grandi variazioni stilistiche tra un pezzo e l'altro: quando la musica ha qualcosa da comunicare, può farlo sia con cento strumenti che con uno solo, e raggiungerà comunque il suo scopo. Il disco brilla di luce propria esattamente per questo motivo: pur basandosi su due soli strumenti, ha tantissimo da dire e riversa le sue emozioni come un torrente inarrestabile, calmo ma capace di erodere il granito, se lasciato libero di agire indisturbato. I brani scorrono l'uno dopo l'altro con fluidità, catturandoci silenziosamente nel profondo e lasciandoci con il fiato sospeso, nell'attesa di sentire come quelle due magiche chitarre riusciranno a far vibrare all'unisono le proprie corde con le nostre, interne. Momenti davvero emozionanti si susseguono senza dover aspettare troppo tra uno e l'altro, anche perchè la brevità del disco fa sì che in poco tempo esso sia già finito. E quando finisce, molto probabilmente schiaccerete di nuovo play e andrete a ripescare il brano che vi ha fatto emozionare di più tra tutti, per poi riascoltarlo ancora e ancora.

"Songs Of Grief..." dimostra ancora una volta come il black metal abbia un'altra faccia: abbandonate le potenti distorsioni, i ritmi rocciosi e le voci gracchianti e primordiali, insomma dopo essere stato spogliato di tutto ed essere stato ridotto al nucleo emotivo, esso si rivela come un'intima confessione di dolore e raccoglimento, che cerca redenzione nella bellezza della natura e nella sua immane potenza. In questo i Drudkh hanno fatto centro, confermandosi come una band piena di talento e idee, capace di variare il proprio stile e di sperimentare, nonostante alcuni detrattori pensino il contrario e li critichino solo per il fatto di aver pubblicato dieci dischi in dieci anni. Questo dischetto è stato ampiamente criticato, ma secondo me il problema è solo una questione di assimilazione: ci vuole tempo prima di comprendere il messaggio nascosto in un disco come "Songs Of Grief...". A mio parere non ha nulla da invidiare agli altri dischi della band, e può tranquillamente sedersi ai primi posti nella classifica. Promuovo dunque a pieni voti questo piccolo gioiello, adatto solo a chi considera la musica anche come un mezzo di riflessione, come uno strumento per cercare dentro di sè cose dimenticate e sopite.

01 - Sunset In Carpathians (2:47)
02 - Tears Of Gods (8:35)
03 - Archaic Dance (3:29)
04 - The Milky Way (9:53)
05 - Why The Sun Becomes Sad (5:45)
06 - The Cranes Will Never Return Here (3:26)
07 - Grey Haired Steppe (2:09)