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lunedì 9 maggio 2011

Ulver - "Perdition City"

Jester Records, 2000
Sono partito subito in quarta nell'aprire il documento che mi porta a recensire questo disco, intimamente uno dei miei preferiti di sempre, ma mi rendo conto di un problema: non mi intendo affatto di elettronica, non so, quindi, giudicarlo con gli occhi di un esperto di questo genere musicale. In ogni caso ritengo che le emozioni che si possono provare ascoltando musica trascendano la forma estetica e le emozioni, in questo disco, sono garantite; traccia dopo traccia, botta dopo botta le emozioni assaltano l'ascoltatore. Sono quindi sicuro che sarò perdonato se il lettore esperto giudicherà superficiale questa mia recensione per il semplice motivo, oltretutto, che questo è un disco profondamente metal, nell'anima.

Perdition City è infatti il quinto lavoro della band norvegese Ulver, capitanata da Krystoffer “Garm” Rygg, uno dei più geniali e poliedrici personaggi del panorama musicale contemporaneo. Dopo un'esordio black metal sperimentale (Bergtatt), un disco interamente folk (kveldssanger) e un vortice black (Nattens Madrigal) i nostri, forti dell'esperienza sperimentale di Garm negli Arcturus, pubblicano una colonna sonora, autentico meltin-pot di black metal ed elettronica (Themes From William Blake's The Marriage Of Heaven and Hell).
Sconcertando gli accaniti fan, che vedevano negli Ulver quella rivoluzione intellettuale del black metal che è sempre un po' mancata, se non nei suoi esponenti più avanguardistici ,la band di Oslo arriva quindi a scrivere un disco di elettronica pura. Ormai le basi di Garm sono pronte ad ergersi da sole per l'intera durata di un disco e la componente metal viene perciò accantonata. Sembrerà strano ma lo scetticismo pervadeva anche il mio animo, mi sono sempre vantato di essere un ascoltatore di molta musica diversa ma il cambiamento, in questo caso, è stato una rivoluzione. Quando ho premuto il tasto “play” però, nonostante i miei preconcetti, è successo qualcosa di magico, l'opener del disco, “Lost in moments”, ha preso il via e un delirio di campionature jazz in un contesto ambient/trip-hop mi ha semplicemente avvolto, la malinconia è esplosa nel refrain, cantato da un più che mai espressivo Garm, la canzone era buona, ma mancava di quel qualcosa di speciale che avrebbe potuto renderla unica, ed è arrivato quando meno me lo sarei aspettato; a trenta secondi dalla fine una botta sonora di cori al sintetizzatore ha aperto una breccia neuronale, il viaggio nella città della perdizione era appena iniziato ed io ero già colpito, nel mio intimo più estremo, il viaggio è durato per cinquantatré minuti, e ad oggi non so ancora dire se sia concluso o meno.

Mi sono quindi reso conto che gli Ulver non sono affatto cambiati, continuano a proporre immagini che se un tempo erano folletti e streghe, ora sono grattacieli ed automobili. L'animismo druidico delle foreste ha lasciato il posto all'anima di una metropoli che esiste dentro ad ognuno di noi. Passando per brani più o meno canonicamente gradevoli ad espressioni sperimentali i nostri archetipi vengono colpiti uno ad uno. Un lavoro magnifico dunque, che segna il punto più alto di una band che ha fatto della versatilità e del cambiamento un suo marchio di fabbrica e che, ancora una volta, testimonia che la grandezza sta nella ricerca, in questo caso, delle ombre musicali nascoste in ognuno di noi.

01 - Lost In Moments (7:16)
02 - Porn pieces or the Scars Of Cold Kisses (7:09)
03 - Hallways Of Always (6:35)
04 - Tomorrow never Knows (7:59)
05 - The Future Sound of Music (6:39)
06 - We Are the Dead (3:40)
07 - Dead City Centres (7:10)
08 - Catalept (2:05)
09 - Nowhere/Catastrophe (4:48)