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domenica 29 maggio 2011

Khanate - "Things Viral"

Southern Lord, 2003
Istruzioni per l’uso: assumere non più di una volta alla settimana, lontano dai pasti, preferibilmente nel mattino o nel pomeriggio. Durante l’ascolto tenere la mente impegnata con altre attività che ne distolgano l’attenzione, in modo da diluirne la concentrazione.
Avvertenze: se eccede le dosi consigliate può causare nervosismo, sbalzi d’umore, vomito, effetti allucinogeni, sonnambulismo, disturbi intestinali.
Controindicazioni: evitare l’ascolto in casi di irritabilità, instabilità dell’umore, acidità intestinale, ipocondria, dissonnie, sconsigliato a chi è predisposto alla depressione e alla nevrosi ossessiva.

Il booklet di Things Viral, il secondo album dei Khanate, non suggerisce nulla di tutto ciò, ma a mio avviso più che un booklet sarebbe occorso un foglietto illustrativo: Things Viral si presenta come un disco malato, un prodotto pericoloso e realmente virale dalla musica rarefatta, minimale fino al midollo. Se nell’omonimo debutto Khanate trovavano molto spazio riff distorti e dissonanti, qui questi si defilano per la maggior parte del disco e lasciano un ampio raggio d’azione ad atmosfere intrise di malattia e miseria. In certi momenti sembra che le note siano stare risucchiate mediante una pompa a vuoto e ne siano rimasti solo echi distanti: come un osso avidamente spolpato, un corpo divorato dalla sarcopenia. Per i Khanate è difficile parlare di musica nell’accezione più comune del termine, ma stavolta lo è ancora di più: quest’album è un viaggio psicologico, se ne può godere appieno - posto che se ne possa godere - solo calandosi nei panni di una persona disperata e impotente, una persona che ha perso tutto fagocitata dalle vicissitudini della vita, immedesimandosi nella situazione di profonda miseria che i testi lasciano trasparire. I testi infatti fanno la differenza, e la fanno ancor più che nell’album precedente: ma non sono tanto i testi in sé che colpiscono, quanto il modo in cui vengono interpretati dal raccapricciante Alan Dubin. Egli ripropone il suo grido stridulo, lento e chiaro che è impossibile non capire e non seguire, e la band sembra voler enfatizzare questo aspetto, metterlo ancor più in evidenza rispetto al passato: la voce qui è la vera spina dorsale del disco alla quale spesso non rimangono attaccati che pochi brandelli dei tessuti e schegge delle costole, poche efficaci frasi spesso ripetute ossessivamente fino alla nausea che imprimono in pochissime parole un intero universo psicologico incentrato sul fallimento. Tanto per fare gli esempi più impressivi si possono citare “red glory!”, strillato più volte in Commuted insieme a “one, two, three times eyes close”, che suppongo si riferisca ad una truculenta strage durante un raptus di follia e alla conseguente incredulità una volta riacquisito lo stato conscio; l’angosciante “[I was] visible, but non seen” in Dead, paranoia di matrice sociale carica di rancore che conduce al suicidio; il febbrile “stay inside” sussurrato in Too Close Enough To Touch, che in due parole è capace di riassumere suggestivamente una forte introversione isterica marchiata a fuoco nella psiche a causa delle disgrazie percepite o vissute nel mondo esterno.

Things Viral non va considerato come album musicale, ma come monologo disperato di una persona abbandonata tra le ceneri del proprio fallimento, un grido irrazionale e incoerente di colui che ha completamente perso il controllo delle proprie facoltà, un grido che nasce da molto lontano dentro ognuno di noi ma che arriva ad affacciarsi alle porte della coscienza solo quando questa si è ormai svincolata dal controllo dell’Io: l’ultimo canto di un brutto anatroccolo cronico, malato e mentalmente decrepito, ultimo canto straziante che nessuno udirà.

Tenere fuori dalla portata dei bambini.

01 - Commuted (19:13)
02 - Fields (19:50)
03 - Dead (09:27)
04 - Too Close Enough To Touch (11:11)