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venerdì 3 dicembre 2010

Opeth - "Blackwater Park"

Music For Nations, 2002
Come non annoverare gli Opeth tra i grandi, anzi tra i grandissimi dell'intera scena metal mondiale? Non è un'esagerazione: il combo svedese ha saputo, pubblicando album magistrali uno dopo l'altro, costruirsi un proprio sound assolutamente inconfondibile, attraverso l'impiego di molteplici influenze e un'enorme dose di fantasia e creatività. Questo li ha portati ad essere ormai tra i mostri sacri del metal "colto", raffinato, seppur potentissimo e granitico come ci si aspetta da una band death metal. Perchè alla fine gli Opeth suonano death metal, massicciamente contaminato da una vena progressive e da un grande utilizzo delle chitarre acustiche. La definizione che è sempre parsa più consona per incasellarli è infatti sempre stata "Progressive Death Metal". Innegabile è il fatto che ormai si siano costruiti una propria identità personale fortissima, che li porta a non somigliare praticamente a nessun'altra band metal in circolazione. Questo album, risalente al 2002, è l'ennesima conferma dell'evoluzione che il gruppo prosegue fin dagli albori della sua carriera, passando dalle atmosfere grezze dei primi album, successivamente per l'irruenza del bellissimo e sottovalutato "My Arms, Your Hears", poi per i suoni caldi e avvolgenti di "Still Life", per arrivare infine ad un disco particolarmente duro, severo, possente e intransigente come questo "Blackwater Park". 

Gli elementi del suono Opeth sono particolarmente facili da distinguere durante l'ascolto, ma non così semplici da definire. Mikael Akerfeldt, Peter Lindgren e soci fanno un massiccio uso di distorsioni massacranti, sezione ritmica sempre in evoluzione e mai statica, incredibili quantità di riff diversi all'interno di ogni composizione, un growling semplicemente eccezionale, pregevoli e frequenti stacchi acustici cantati in voce pulita, ricercatissime melodie ed un quasi totale rifiuto della "forma canzone", attuato tramite la creazione di brani spesso lunghissimi e dalla struttura non convenzionale. Assorbono una forte influenza dal rock progressivo anni 70, dai Porcupine Tree (di cui sono grandi amici, infatti lo stesso Steven Wilson ha curato la produzione di quest'album e ne ha suonato / cantato alcune piccole parti), talvolta perfino dalla musica folk. Non lasciatevi ingannare però da questa descrizione sommaria: c'è molto di più da ascoltare nei dischi degli Opeth, e gli aspetti più importanti non sono mai esplicabili tramite le parole. Incasellarli in qualche canone non renderebbe giustizia all'estro compositivo della band, che risalta sia nella complessità che nella semplicità. Si inizia con The Leper Affinity", brano vorticoso e trascinante, aggressivo al punto da ricordare la potentissima "April Ethereal". Un vero e proprio ciclone di riff e intrecci chitarristici, ora irruenti ora melodici, non ci lascia nemmeno un momento per respirare, se non quando qualche piccolo break acustico riesce a spezzare il muro sonoro, ma senza per questo risolvere la tensione. Lo splendido growl di Mikael, mai fastidioso e sempre ottimamente modulato, ci dà il colpo di grazia per quanto riguarda i sensi, prima che il brano si chiuda con un un desolato e confuso pianoforte, quasi perso nello spazio profondo. La maligna "Bleak" è un pezzo oscuro e schiacciasassi come pochi nella storia del gruppo, estremamente affascinante con le sue melodie decadenti e la sua potenza inarrestabile, spezzata a metà da un break dal sapore settantiano. E quando il brano riprende quota, non ce n'è per nessuno, si salvi chi può. Sicuramente uno dei migliori mai partoriti dal gruppo. "Harvest" invece è un brano totalmente acustico e malinconico, che mostra la seconda faccia degli Opeth, quella più intimista e introspettiva. Sei minuti di tranquillità e semplicità, ma assolutamente non piattezza. "The Drapery Falls" ci ammalia inizialmente con una lunga parte cantata in pulito, per poi esplodere in una strofa centrale particolarmente dura, veloce e dissonante, interpretata da un Mikael ringhioso e spietato. Sta a voi scoprire come va a finire. "Dirge For November" è una nenia funebre di una tristezza disarmante, forse il brano più emotivamente devastante mai inciso dagli Opeth: si apre con una dolcissima chitarra acustica sostenuta da una voce sconsolata, che farebbe pensare ad un intermezzo d'atmosfera, ma ecco che le chitarre iniziano a fare sul serio, con enormi riff sostenuti dalla doppia cassa, che condensano in poche note la tristezza inconsolabile di un funerale, della perdita di qualcuno di amato. Il growl di Mikael si ingrossa ancor di più, schiacciando completamente qualsiasi sentimento positivo e risucchiando la voglia di vivere, finchè la tempesta non si calma ed un lungo finale acustico ci accompagna per mano, desolati e inerti di fronte ad una tale espressività di sentimenti. Meravigliosa. Si prosegue con "The Funeral Portrait", ritmata e veloce, popolata da riff assolutamente esaltanti e altri intarsi memorabili tra le due chitarre. E poi qualcuno dice che non si può fare ottima musica usando esclusivamente chitarra, basso, batteria e voce. Gli Opeth sono la perfetta dimostrazione che non è così. La breve ma intensa strumentale "Patterns In The Ivy", eterea e sognante, ci conduce al gran finale con "Blackwater Park": brano estremamente vario e permeato da una tensione esplosiva, talmente densa e pregnante da poterla tagliare a fette. Un inizio cadenzato sfocia in un inquietante break atmosferico di qualche minuto, che è solo l'inizio della fine...poichè la cavalcata finale è uno spettacolare ed angosciante crescendo, che aumenta minuto dopo minuto, inscenando una vera e propria Apocalisse. Anche in questo caso il finale è veramente una sorpresa.

Non ci sono "se", non ci sono "ma": un gruppo come gli Opeth è quanto di meglio possiamo trovare nel panorama musicale moderno (metal e non). E questo "Blackwater Park" è probabilmente il loro miglior lavoro, il più oscuro, il più intenso, il più maledettamente emozionante. Da avere assolutamente, specialmente per gli scettici che pensano che la musica estrema non abbia nulla di buono da dire.

01 - The Leper Affinity (10:25)
02 - Bleak (9:18)
03 - Harvest (6:03)
04 - The Drapery Falls (10:55)
05 - Dirge For November (7:55)
06 - The Funeral Portrait (8:46)
07 - Patterns In The Ivy (1:54)
08 - Blackwater Park (12:08)