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martedì 22 marzo 2011

Anaal Nathrakh - "Eschaton"

Season of Mist, 2006
A tutti prima o poi nella vita capitano esperienze a cui inizialmente si stenta a credere, esperienze che cambiano il nostro modo di concepire le cose, esperienze che rendono reale ciò che pensavamo fosse impossibile, o meglio di cui non sospettavamo nemmeno l’esistenza. Una di quelle capitate a me si chiama Eschaton: quest’album è un’esperienza sonora devastante.

Si tratta del terzo album degli Anaal Nathrakh, e se il loro precedente Domine Non Es Dignus già fu una mazzata di velocità ed estremismo variegata da sperimentazioni di vario tipo, questo Eschaton è completamente a senso unico: qualsiasi vago spiraglio di riflessività o sperimentazione è stato completamente abbandonato per concentrarsi su quello che è forse il loro migliore marchio di fabbrica: l’esplosività sonora. Sonorità nucleari, velocità spaziale, totale assenza di spazi vuoti nel sound se non tra un brano e l’altro: in altre parole, frastuono assordante. Eschaton suona come un cocktail di vitriolo e nitroglicerina, come una maratona olimpionica corsa su un campo minato. Riff esasperanti velocissimi, batteria spesso spianata in lunghi blastbeats, urla lancinanti e prolungate, voce incomprensibile, ma nonostante tutto ciò ogni brano è perfettamente fruibile grazie alla sua semplicità strutturale. Emergono inoltre con facilità alcuni giri di chitarra, come in The Yellow King, e imperano sovrani gli strabilianti ritornelli in clean di Between Shit And Piss..., When The Lion..., Timewave Zero che dimostrano come alla band debbano essere piaciuti i precedenti esperimenti della splendida Do Not Speak e di This Cannot Be The End. Questi punti di riferimento rappresentano i fuochi attorno a cui tutto il resto ruota, i soli di una virulenta galassia: aiutano a non essere inghiottiti nei buchi neri del grande chaos generale, e permettono così di padroneggiarlo piacevolmente. Questo aiuta a fare di Eschaton un corpo unico, di grande impatto e di fluido scorrimento, senza però renderlo troppo unitario: i brani di punta sono infatti in grado di fare una figura da Hit Parade anche se presi singolarmente. In una parola, quest’album è devastante. Solo nell’ultimo brano Regression To The Mean si ha un po’ di “riposo”, efficace mastodontica outro dai toni snervanti.

L’unico rammarico è non avere a disposizione i testi - da sempre la band non li rende noti, e le parole sono indecifrabili a orecchio - che a giudicare dai titoli profilano un’escatologia della distruzione e dell’oblio. E così, non potendo vivere quest’esperienza escatologica dal sapore nichilista, quest’album rimane una colossale esperienza sonora. Esperienza che dovrebbe fare chiunque è convinto di aver già raggiunto i massimi livelli di violenza musicale, sicuramente non ne resterà deluso.

01 - Bellum Omnium Contra Omnes (03:16)
02 - Between Shit And Piss We Are Born (03:54)
03 - Timewave Zero (03:01)
04 - The Destroying Angel (03:11)
05 - Waiting For The Barbarians (04:46)
06 - The Yellow King (04:54)
07 - When The Lion Devours Both Dragon And Child (04:57)
08 - The Necrogeddon (04:11)
09 - Regression To The Mean (03:12)