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giovedì 17 marzo 2011

Opeth - "Damnation"

Music For Nations, 2003
Una bambola in copertina, artwork quasi completamente bianco, toni delle parole appena accennati e malapena visibili: forse per una similitudine cromatica, questo album è la vera e propria mosca bianca nella discografia degli Opeth.

Idealmente, "Damnation" costituisce la controparte ideale di "Deliverance", il precedente full - length che faceva della durezza e delle atmosfere oscure il suo punto di forza, pur senza dimenticare le consuete e variegate melodie Made in Opeth. "Damnation" è invece un album suonato totalmente senza distorsioni, delicato ed etereo, un pò settantiano e un pò Porcupine Tree, un po' Pink Floyd e un po' progressive, un po' new age e un po' country. Nessun suono terrificante, nessuna voce in growl: la band svedese ha proprio cambiato faccia, seppure per un solo album. I nostri amici svedesi hanno sempre amato sperimentare, e lo hanno fatto cambiando praticamente ogni album, seppur mantenendo sempre inalterato il loro marchio di fabbrica. Qui la sperimentazione tocca lidi completamente differenti, come capiamo subito ascoltando le prime due tracce, probabilmente le più esemplificative dell'album. "Windowpane" è sostenuta da una batteria incalzante, ma la trama strumentale e soprattutto la linea vocale rimane sempre leggera, non propriamente malinconica, ma più che altro pacata e "narrante". L'uso dell'organo Hammond e alcuni caratteristici assoli di chitarra elettrica contribuiscono non poco a rendere l'atmosfera molto anni '70, un periodo che ha avuto molte rivisitazioni, non tutte propriamente convincenti. "In My Time Of Need" è invece più spinta dal lato emotivo, più intricata dal lato ritmico e più tirata dal lato vocale, ma non manca mai di ritornare alla quiete, dopo aver alzato un po' la testa. Ma gli Opeth non si sono rammolliti: hanno solo deciso, per una volta, di suonare una musica rilassante e piacevole, sotto la costante regia di Steven Wilson che anche stavolta si occupa della produzione e del mixaggio, con ottimi risultati. La suadente e melliflua "Death Whispered A Lullaby" non deve tuttavia ingannare: con la sorprendente "Closure" i nostri confezionano una mosca bianca all'interno della mosca bianca, grazie alla presenza dell'unico riff distorto di tutto l'album nonchè di un'atmosfera insolitamente tesa, ed infine uno splendido finale dal sapore arabeggiante, condito da percussioni indiavolate che si interrompono di colpo (non è un difetto del CD) per passare a "Hope Leaves", diametralmente opposta nella sua tranquillità, e poi a "To Rid The Disease", nella quale il basso fa sentire la sua presenza non come semplice accompagnatore, ma come elemento importante. Chiudiamo il cerchio con la strumentale "Ending Credits", questa volta realmente malinconica e carica di emotività grazie soprattutto ai toccanti assoli di chitarra elettrica. Una vera perla che probabilmente rappresenta il punto più alto dell'album insieme alla sopracitata "Closure".

Manca solo "Weakness", riempitivo finale che non mi sento di citare come reale conclusione, perchè praticamente non esiste nè lato strumentale nè dal lato vocale: un pò di mellotron e voci filtrate, come per chiudere l'album nella maniera più sconsolata possibile, dopo tre quarti d'ora di beatitudine mista ad una leggera venatura di irrequietezza. Già, gli Opeth non hanno perso la capacità di suonare musica sconsolata eppur tremendamente coinvolgente: e questo "Damnation" non è un passo falso, ma solo una riuscita incursione in lidi che la band ha sempre incluso nella propria musica, ma ai quali non ha mai assegnato un ruolo centrale, lasciandoli sempre come validissimi gregari. Tanto di cappello a Mikael e soci.

01 - Windowpane (7:44)
02 - In My Time Of Need (5:49)
03 - Death Whispered A Lullaby (5:49)
04 - Closure (5:15)
05 - Hope Leaves (4:30)
06 - To Rid The Disease (6:21)
07 - Ending Credits (3:39)
08 - Weakness (4:08)