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venerdì 11 marzo 2011

Sadist - "Above The Light"

Nosferatu Records, 1993
Siamo nel 1993, anno in cui il primo Death Metal era ormai un genere affermato e seguito che cominciava a figliare i primi interessanti sottogeneri: Brutal, Technical, Melodic. Quest’ultimo può dire di essersi sviluppato proprio nel 1993: si assiste infatti alla prima release di gruppi come Dissection, Dark Tranquillity, In Flames e Cynic, alla seconda release di Hypocrisy e At The Gates (in entrambi i casi la prima era più vecchia di solo un anno) e allo storico Heartwork dei Carcass. In un simile irripetibile tripudio di classe e magnificenza passa letteralmente inosservato l’esordio degli italiani Sadist, che arriveranno a ricevere qualche attenzione solo tre anni più tardi con Tribe.

Eppure Above The Light è un album che non ha nulla da invidiare ai dischi dei gruppi succitati: si tratta di un lavoro creativo ed ispirato che presenta otto tracce – di cui una è una semplice intro e un’altra è un brano unicamente strumentale – che si snodano in assoli melodici memorabili e riff ispirati, ben concepiti e perfettamente incastonati tra loro. Ma Above The Light non è solo un buon disco superiore alla norma: ha tutte le carte in regola per essere acclamato come uno dei grandi classici del Melodeath, e forse addirittura come il disco che insieme a Focus dei Cynic ha dato il là a quello che potrebbe essere chiamato Progressive Death Metal; nonostante ciò ad oggi resta un disco sconosciuto. Musicalmente parlando sono principalmente due gli aspetti importanti. Il primo sono gli assoli: splendidi duetti tra chitarra e tastiera dal gusto talvolta neoclassico - vedi Enslaver Of Lies e Happiness’N’Sorrow - che vanno sempre a parare da qualche parte, hanno una loro fisionomia ben precisa; si tratta di quel tipo di assoli che rimane impresso, un po’ come quelli degli Iron Maiden. Il secondo è la struttura dei brani: furiosi riff di chitarra ritmica che lasciano emergere linee melodiche bellissime in chitarra e tastiera, e che talvolta si diradano per lasciar spazio a ottimi arpeggi; il tutto supportato da una batteria che fa quello che una batteria deve fare: accelerazioni, improvvisi stop e battere in levare. E’ molto bello anche il growl, tutto in stile Old School: invece che puntare sulla cavernosità è strozzato, soffocato. Ma la cosa più importante è l’estrema naturalezza con cui questa musica scorre via: nonostante la durata di alcuni brani, atipica per il Melodeath, non si ha mai l’impressione che essa sia tirata per le lunghe per mancanza di idee, non è mai “come burro spalmato sottile su troppo pane” [cit. Bilbo Baggins]; è costantemente ispirata, fluida, e presenta una buona varietà di soluzioni. Per chi volesse farsi un’idea veloce i brani più indicati e rappresentativi sono Enslaver Of Lies e Sometimes They Come Back; ma io consiglio di ascoltare il disco per intero perché ne vale davvero la pena. Molto belle anche le progressive Hell In Myself (grande intro!) e Sadist (strumentale), e la camaleontica Breathin’ Cancer.

Quale può essere allora il motivo di questo ostracismo nei confronti di Above The Light dalla hall of fame del Melodeath? Forse le tanto odiate tastiere che secondo uno strano dogma non andrebbero d’accordo col Death Metal? O forse il fatto che si tratta di un album che era già troppo avanti per l’epoca? O ancora, sarà stata colpa dell’orribile copertina? No dai, la copertina in fondo non è così orribile...quindi la risposta è che davvero non lo so. Pace, me lo godrò da solo!

01 - Nadir (02:12)
02 - Breathin' Cancer (07:25)
03 - Enslaver Of Lies (05:37)
04 - Sometimes They Come Back (06:27)
05 - Hell In Myself (05:32)
06 - Desert Divinities (05:06)
07 - Sadist (04:21)
08 - Happiness’N’Sorrow (06:40)